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Cinefilia 2.0

Scorsese rilancia il passato del cinema.
di Roy Menarini

In foto Asa Butterfield e Jude Law in una scena del film Hugo Cabret di Martin Scorsese.
Asa Butterfield (28 anni) 1 aprile 1997, Londra (Gran Bretagna) - Ariete. Interpreta Hugo Cabret nel film di Martin Scorsese Hugo Cabret.

lunedì 6 febbraio 2012 - Approfondimenti

Oltre a presentarsi come primo grande film del 2012, almeno per noi italiani che lo vediamo all’alba di quest’anno nuovo, Hugo Cabret lancia la sfida a The Artist nel campo dell’amore per il cinema del passato. Non solo le due pellicole si contendono l’Oscar fino all’ultimo minuto, ma esprimono un sentimento di cinefilia rinnovata, convincente e tutt’altro che conservatrice (altrimenti non riuscirebbero a parlare a un pubblico così ampio).

Se del film muto con Jean Dujardin – e del suo assai contemporaneo spirito di "falso d’autore" – si è ormai detto molto, è con il capolavoro di Scorsese che dovremo misurarci per molto tempo a partire da oggi. Nella fiaba cinematografica di Hugo, infatti, si nascondono certamente decine di allusioni e citazioni (Pabst, Lumière, Fellini, Keaton, Chaplin, Murnau solo per citare le più visibili), ma soprattutto un ragionamento finissimo sulla cinefilia stessa. Una volta che il cinema sembra stretto d’assedio tra nuove tecnologie e profezie di sventura, ecco che Scorsese agghinda con le vesti del 3D (un 3D pensato e necessario, dove i primi piani valgono più degli effetti speciali) le forme possibili dell’amore per la settima arte. Ripescare Méliès, ovvero il prestigiatore di un cinema pensato come incanto e prodigio – prima ancora che come arte – significa suggerire che lo stupore e la meraviglia non sono finiti nemmeno nell’epoca del digitale. Ovvero, vuol dire che la cinefilia si può ricostruire a partire dalle nuove tecnologie, che non vanno considerate come il nemico, ma come un mezzo ulteriore per scambiarsi il dono del cinema.

C’è di più. Non è un caso che Scorsese negli ultimi anni abbia dedicato enormi sforzi al restauro dei film del passato e alla divulgazione della storia del cinema attraverso i documentari, finendo quasi col far prevalere l’attività di conservatore su quella di regista. Hugo Cabret rappresenta l'ideale fusione delle due anime scorsesiane, quella del cinefilo preservatore e quella del regista innamorato della sua arte. Il cinema, qui, diviene ora strumento di crescita, ora mezzo di recupero memoriale, ora archivio di immagini, e infine automa vivente. Il burattino di ferro che fa partire la ricerca del tempo perduto, infatti, non rappresenta tanto un omaggio a Collodi, quanto la perfetta metafora del film come oggetto artificiale e dotato di personalità, da custodire e far rivivere, da amare come mezzo meccanico e al tempo stesso come essere senziente. Scorsese ci ricorda anche che la cinefilia contiene lati solitari e disperati, perché i film non possono fermare lo scorrere del tempo (l’insistenza su ingranaggi e lancette), né la guerra (il dramma della Prima Guerra mondiale che segna tutto il racconto), né le ingiustizie sociali. La cinefilia, però, può legare tra loro le persone, costruire nuove "famiglie", sollecitare la reciproca fantasia anche nei periodi più gretti. Hugo Cabret illumina la camera verde custodita nella testa di Scorsese e inscena una commovente ribellione contro ogni sentimento di superficialità e ogni mancanza d’immaginazione creativa.

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