Habemus Papam

Sono un po' di parte, per via del mio amore totale e totalizzante per Nanni Moretti.
Avevo letto molte recensioni e articoli prima di vederlo ma nessuno di questi citava la componente teatrale cechoviana (Il Gabbiano) che va a braccetto con depressione improvvisa, mancanza di volontà, mancanza di risposte, sentimento di incapacità, punti interrogativi che aleggiano. Non mi interessa clero/anticlericalismo/luogo comune del Papa in mezzo ai mortali o cose di questo genere e nemmeno il discorso di maturità autoriale il miglior/il peggior film di Nanni, Nanni fa i film per la gente con la camicia sotto il maglioncino* o tutta la socialità/società che c’è intorno al protagonista; finché so che in un qualsiasi film potrò trovare un personaggio molto umano e molto estraniato, alienato, mi ci ritrovo ed è allora che scatta il meccanismo del ‘mi piace’. Sono ahimé per questo tipo di coinvolgimento assoluto, sono quella che se ne va di punto in bianco da una stanza se non riesce più a starci, sono quella che si veste moralmente di nero, sono in cerca dei motivi per cui non ricordo più come facevo a fare le cose che facevo, sono quella che non ha potuto fare una tesi sul teatro in Nanni Moretti perché non c’era abbastanza materiale fino ad ora.
Il Papa è simbolo di messaggi e vita dedicati agli altri, ma soprattutto il Gabbiano è simbolo, forse fondamentale, delle forze che non abbiamo più per poterlo fare.