braxio
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lunedì 25 ottobre 2010
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il fallimento di un sequel
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Ben 23 anni sono trascorsi da quando il primo Wall Street comparve sui nostri schermi. Il decennio dei rampanti manager della Grande Mela volgeva al termine e le crepe dell'imbellettato edonismo reaganiano cominciavano ad affiorare in superficie. All'epoca Stone, tormentato e contraddittorio osservatore della società a stelle e strisce, costruì un convincente apologo sulle possibili deviazioni dell'economia di mercato, servendosi delle maschere azzeccatissime di Michael Douglas e Charlie Sheen ( al primo andò un Oscar per il suo ruolo ) e di una sceneggiatura che, per buona parte del film, riusciva ad evitare uno dei difetti più cospicui del regista, quello del moralismo didascalico; difetto che, ahimé, riaffiora pesantemente in questo sequel, il cui obiettivo, stavolta, è costituito dal recente crollo finanziario delle banche d'affari come Lehman Bros e Goldman-Sachs.
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Ben 23 anni sono trascorsi da quando il primo Wall Street comparve sui nostri schermi. Il decennio dei rampanti manager della Grande Mela volgeva al termine e le crepe dell'imbellettato edonismo reaganiano cominciavano ad affiorare in superficie. All'epoca Stone, tormentato e contraddittorio osservatore della società a stelle e strisce, costruì un convincente apologo sulle possibili deviazioni dell'economia di mercato, servendosi delle maschere azzeccatissime di Michael Douglas e Charlie Sheen ( al primo andò un Oscar per il suo ruolo ) e di una sceneggiatura che, per buona parte del film, riusciva ad evitare uno dei difetti più cospicui del regista, quello del moralismo didascalico; difetto che, ahimé, riaffiora pesantemente in questo sequel, il cui obiettivo, stavolta, è costituito dal recente crollo finanziario delle banche d'affari come Lehman Bros e Goldman-Sachs. Il cinico speculatore Gekko, nel primo film, finiva travolto dalla sua brama di denaro e potere grazie alla ottimistica convinzione che la società americana possieda anticorpi in grado di spedire in galera anche il lestofante più potente; un punto di vista forse ingenuo e puerile, ma sostanziato da un sincero bisogno di giustizia, quel bisogno che ci fa sperare, da sempre, in un futuro meno minaccioso e criminale del presente; ora, uscito di galera, Gekko scrive libri e tiene lezioni all'università sui meccanismi che sono alla base delle bolle speculative, ammonendo studenti e lettori sul disastro imminente. Il lupo si è trasformato in agnello dopo la lunga detenzione? No, si direbbe dal resto della storia; semmai il suo posto è stato preso da altri, che Gekko stesso contribuisce, per tramite del broker fidanzato di sua figlia, a smascherare; il cattivone di turno è lo stesso che procurò la rovina di Gekko e che ha spinto al suicidio un bravo (?) banchiere che il broker venerava come un padre. Il basic instinct del predatore, però, non si è affatto affievolito in Gekko e, proprio mentre egli sembra aver riacquistato l'affetto della figlia, le zanne del lupo brillano ancora di sinistro scintillio. Se il film fosse finito qui, sarebbe stato molto meglio; ne sarebbe affiorata una visione desolante, ma decisamente più realistica, dell'alta finanza e della sua accolita di avvoltoi senza scrupoli. Ma il film prosegue, la sceneggiatura si sfilaccia e il ritmo decade, mentre si fa strada in Stone l'irresistibile tentazione dell'happy ending, prevedibilissimo, scontatissimo, zuccherosissimo, con il Bene che finisce per trionfare, anche se con mezzi discutibili e maldestramente escogitati pur di garantire lo scopo. Ottime alcune riprese sullo skyline di New York e negli interni, buona la prova degli attori, ma la narrazione manca di incisività e conosce non poche falle in grado di vanificarne le buone (troppo?) intenzioni.
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francocesario
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sabato 30 ottobre 2010
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la corrotta strada del capitale.
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Wall Strett è un film potente, sostanzioso, un bel pugno nello stomaco in pieno stile Oliver Stone che è riuscito a concepire un sequel di un mitico film anni '80 senza scimmiottarne le idee cardine e i maggiori spunti che lo hanno reso un cult degli scorsi decenni.
Convincente la prova di Michael Douglas, quasi profetico nel momento in cui parla di malattie incurabili e di tempo che passa viste le sue recenti vicissitudini personali.
Molto azzeccate, come quasi sempre nelle opere del regista newyorkese, alcune battute (“ho combattuto il socialismo per tutta la vita!” “mia figlia lavora ancora per quel sito di comunisti?”) al vetriolo degli squallidi personaggi che popolano (tragicamente per noi) il mondo patinato e finto del brokeraggio assassino e incurante delle esigenze della collettività che in America ha il suo massimo brodo di coltura (nonostante anche la recente crisi economica).
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Wall Strett è un film potente, sostanzioso, un bel pugno nello stomaco in pieno stile Oliver Stone che è riuscito a concepire un sequel di un mitico film anni '80 senza scimmiottarne le idee cardine e i maggiori spunti che lo hanno reso un cult degli scorsi decenni.
Convincente la prova di Michael Douglas, quasi profetico nel momento in cui parla di malattie incurabili e di tempo che passa viste le sue recenti vicissitudini personali.
Molto azzeccate, come quasi sempre nelle opere del regista newyorkese, alcune battute (“ho combattuto il socialismo per tutta la vita!” “mia figlia lavora ancora per quel sito di comunisti?”) al vetriolo degli squallidi personaggi che popolano (tragicamente per noi) il mondo patinato e finto del brokeraggio assassino e incurante delle esigenze della collettività che in America ha il suo massimo brodo di coltura (nonostante anche la recente crisi economica).
Il film ha il merito di parlare di derivati e strumenti finanziari in modo comprensibile anche per un pubblico scevro da minuziose nozioni di economia ma comunque avido di opinioni sulla folle via presa dal sistema capitalistico speculativo.
Anche la maschera di Brolin è ben fatta ed interpretata da colui che può essere considerato un novello Marlon Brando, attore di cui ci si innamora artisticamente dopo la riuscita interpretazione dell'alcolizzato presidente Usa in W sempre di Stone.
Meno convincente, invece, l'interpretazione di Shia LeBeouf, non solo in fase recitativa ma anche a livello facciale ed espressivo: lungi da me essere lombrosiano ma considero impossibile che un “pivello” come l'attore di Transformers possa reggere il confronto con il Charlie Sheen (cameo in questo film forse da evitare...) del precedente capitolo e non si può sopportare di vederlo ringhiare, vincendo lo scontro verbale, contro Brolin o chicchessia.
Il film perde varie occasioni per avere un finale in climax: poteva finire dignitosamente, ad esempio, quando Gekko vede il dvd del nipote, ed avrebbe sicuramente guadagnato punti.
Il risultato è un po' di gratuita prolissità che stucca leggermente, niente a che vedere con la dovuta lunghezza di Nixon o JFK opere monumentali dello stesso Stone.
Meno cinismo e un po' più di senso metaforico lo rendono un film godibile per un più vasto pubblico e comunque un'opera assolutamente da vedere. Franco Cesario sinonimomacontrario.splinder.com
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armstrong
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lunedì 18 luglio 2011
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la leggenda torna in vita
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Non ce lo sarebbe mai aspettato, tantomeno da uno come Oliver Stone. Ecco invece che il controverso regista newyorkese riprende in mano il film capolavoro del 1987 attualizzandolo alla odierna situazione economica che l'uomo si ritrova a fronteggiare.
Dopo quasi nove anni trascorsi in prigione, Gordon Gekko ritrova la libertà della quale l'epilogo del primo film l'aveva privato. Ma nessuno, al di là del cancello del penitenziario, c'è ad aspettarlo. La figlia, Winny, l'ha rinnegato, attribuendogli la colpa per la morte di suo fratello, tossico-dipendente probabilmente morto di overdose. La trama del film si dipana attraverso l'intreccio che viene a crearsi tra la famiglia Gekko e il giovane broker di successo Jake Moore, fidanzato di Winny e grande ammiratore di Gordon.
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Non ce lo sarebbe mai aspettato, tantomeno da uno come Oliver Stone. Ecco invece che il controverso regista newyorkese riprende in mano il film capolavoro del 1987 attualizzandolo alla odierna situazione economica che l'uomo si ritrova a fronteggiare.
Dopo quasi nove anni trascorsi in prigione, Gordon Gekko ritrova la libertà della quale l'epilogo del primo film l'aveva privato. Ma nessuno, al di là del cancello del penitenziario, c'è ad aspettarlo. La figlia, Winny, l'ha rinnegato, attribuendogli la colpa per la morte di suo fratello, tossico-dipendente probabilmente morto di overdose. La trama del film si dipana attraverso l'intreccio che viene a crearsi tra la famiglia Gekko e il giovane broker di successo Jake Moore, fidanzato di Winny e grande ammiratore di Gordon.
Il film è costruito abbastanza bene, i colpi di scena non mancano e sono stato molto felice di vedere per la prima volta un La Boef maturo, capace di sopportare ruoli centrali che divergono dal classico teenager al quale ci eravamo abituati. Anche alla Mulligan, impegnata nel ruolo di fidanzata e figlia in crisi con sé e con il mondo, il ruolo riesce abbastanza bene. Apprezzo particolarmente di vedere lei e non una modella incapace di recitare. È un peccato che vi sia una palese finzione di feeling tra i due personaggi, i cui attori singolarmente riescono a gestire, ma quando viene il momento di interagire non soddisfano.
Douglas, fulcro del film, è anche la sua più grande disgrazia. Sia chiaro, non è che non riesca più ad impersonare il "vecchio volpone", cinico e letale, ma purtroppo questo profilo non si adatta più al "nuovo" Gekko, quello dopo la permanenza in prigione, che risulta (stonando) molto più sentimentale. Stupisce moltissimo che abbia ricevuto la candidatura ad un Golden Globe, che (per fortuna) non ha vinto, surclassato di spanne da un Bale strepitoso.
Il film, nel complesso, è più che discreto. Ha permesso di (ri)venire in contatto con un mondo difficile e controverso quale quello economico, anche se l'occhio con cui è guardato è quello del cospirazionista, tipico di Stone, secondo il quale alcune persone attorno ad un tavolo hanno deciso, quando è stata ora, delle sorti dell'intera america, trattando con grandissima sufficienza addirittura lo stesso governo.
Film che però raggiunge il suo più grande difetto nel finale. Un happy ending del quale in effetti si sentiva l'esigenza, dopo la tristezza portata dai temi trattati, ma che viene affrontato in maniera troppo frettolosa, incoerente, quasi infantile. Peccato.
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cannedcat
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domenica 24 ottobre 2010
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pretty women 2010
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A parte la presunzione di Stone di voler superare sir Alfred Hitchock nel piazzarsi in ben due camei, il film è una specie di Pretty Women 2010, una melensa ingombrante storia familiare - per altro recitata malissimo da una insignificante ragazzetta - in una storia dove non si spiega nulla di come sia scoppiata l'ennesima (e purtroppo non ultima bolla finanziaria) e dove le riunioni fra i big brass della finanza non danno per niente nè il senso dell'immane dramma finanziario ma neppure dell'arroganza megagalattica dei banchieri "to big to fail".
Una regia lenta, vuota, con ben 7 minuti iniziali di visioni di New York che dimostrano il fascino che Big Apple, mezza buona e mezza avvelenata coem la mela di Crimilde, ha su Oliver Stone, uno che fa il fustigatore (ma con frusta di velluto d'ordinanza) della società americana di cui subisce il fascino, sopratutto di quella ricchissima di belle donne e case di lusso.
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A parte la presunzione di Stone di voler superare sir Alfred Hitchock nel piazzarsi in ben due camei, il film è una specie di Pretty Women 2010, una melensa ingombrante storia familiare - per altro recitata malissimo da una insignificante ragazzetta - in una storia dove non si spiega nulla di come sia scoppiata l'ennesima (e purtroppo non ultima bolla finanziaria) e dove le riunioni fra i big brass della finanza non danno per niente nè il senso dell'immane dramma finanziario ma neppure dell'arroganza megagalattica dei banchieri "to big to fail".
Una regia lenta, vuota, con ben 7 minuti iniziali di visioni di New York che dimostrano il fascino che Big Apple, mezza buona e mezza avvelenata coem la mela di Crimilde, ha su Oliver Stone, uno che fa il fustigatore (ma con frusta di velluto d'ordinanza) della società americana di cui subisce il fascino, sopratutto di quella ricchissima di belle donne e case di lusso.
Il film è una marea di luoghi comuni: il boss pelato testosteronico, il grande banchiere vecchio e onesto (ma dove?, ma quando? in quale universo parallelo?), il banchiere avido e versipelle (un povero Eli Wallach cui Stone dedica la suoneria del cellulare del fighetto aspirante marito della insignificante sciacquetta nonchè genero di Gordon Geko), i conti in Svizzera, le corse in moto fra il fighetto e uno Josh Brolin assolutamente inandatto alla parte, come gran parte degli attori, salvo il povero Douglas che speriamo stia bene per evitare che concluda la sua vita artistica con un film di una bruttezza unica.
Unica novità, tanto per catturare il pubblico giovane, è il giornale online della sciacquetta, una specie di Huffington Post che sbatte il mostro "finanziere" in prima pagina e, altra caduta di stile, colpisce il cattivo che a suo tempo aveva inguiato il papà della ragazzetta, insomma: anche il conte di Montecristo con tesoro d'ordonanza depositato in Svizzera.
Susan Sarandon è proprio inutile, un cachet buttato, un riempitivo indigesto, mentre solo il povero Michael Douglas ci mette tutto il mestiere a cercare di rendere passabile un copione senza senso.
Le ciliegine su questa torta zuccherosa sono la scena serale finale, che gronda miele e rose a tonnellate davanti alle classiche scale di una casa newyorkese, e i titoli di coda che, avrebbe detto il vecchio Freud, sono l'aspirazione di Oliver Stone che un giorno l'America si svegli dal Nightmare e la favola continui, business as usual.
Purtroppo Stone non ha capito niente: l'America è in guerra, e ci sarà per i prossimi decenni, e la crisi continuerà senza che i banchieri possano farci nulla, come nulla ci possono fare i governi.
Ma lui, povera stella, crede ancora ai complotti!
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marce84
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sabato 20 novembre 2010
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superficialità economiche: si salva solo douglas
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L’argomento è di stretta attualità ( la crisi economica ), il regista viene da una serie di flop ( Alexander e World Trade Center ), ma è una garanzia quando si tratta di mettere a nudo gli eccessi della società americana, eppure Wall Street, sequel del film di successo del 1987, non riesce un granchè. In primis, perché la materia è già di per sé difficile e poco cinematografica ed in secondo luogo perché il più delle volte i sequel nascono con l’ombra ingombrante del primo film e con l’obiettivo di proseguire i guadagni iniziali, risolvendosi solamente in una macchina da soldi di scarsa qualità artistica.
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L’argomento è di stretta attualità ( la crisi economica ), il regista viene da una serie di flop ( Alexander e World Trade Center ), ma è una garanzia quando si tratta di mettere a nudo gli eccessi della società americana, eppure Wall Street, sequel del film di successo del 1987, non riesce un granchè. In primis, perché la materia è già di per sé difficile e poco cinematografica ed in secondo luogo perché il più delle volte i sequel nascono con l’ombra ingombrante del primo film e con l’obiettivo di proseguire i guadagni iniziali, risolvendosi solamente in una macchina da soldi di scarsa qualità artistica. Inoltre, a mio modo di vedere, c’erano due soluzioni per fare un’opera il cui tema principale fosse di carattere finanziario: si poteva scavare nel marcio dell’economia americana e denunciare, dare allo spettatore un lavoro di approfondimento, di conoscenza dei meccanismi finanziari, a differenza della superficialità con cui viene trattata la materia nel film, con bolle speculative che scoppiano senza dare un minimo di spiegazione, frasi fatte e dialoghi noiosi e privi dell’incisività necessaria per queste opere di denuncia. Oliver Stone invece opta per la seconda strada, quella di far rientrare il tema della crisi in una narrazione a forte impatto emotivo, condendola con una storia familiare, con l’intento di coinvolgere sentimentalmente lo spettatore: il punto è che tutto il film è poco credibile, dai dialoghi alle interpretazioni degli attori, dalla superficialità del tema economico, alla stereotipata storia familiare, per cui lo spettatore non viene per nulla catturato nel vortice della narrazione e, di conseguenza, l’opera non è in grado nemmeno di coinvolgere. Inoltre, la telecamera si innamora dei grattacieli di New York, scenario affascinante in cui tutto si svolge, compiendo inizialmente movimenti lineari per poi dare vita a veri e propri vortici, come a mimare il vortice dell’economia, dei soldi, un mondo affascinante, tentatore, del quale l’uomo si sente inevitabilmente attratto. Tutto vero, ma lo spettatore non viene catturato, rimane esterno a questo vortice, guardando il film con freddenza e spesso con noia, visto che la maggior parte è caratterizzato da dialoghi e la sceneggiatura non riesce a reggerne il peso. Forzata è anche l’unica scena di azione, il duello motociclistico tra Lebeouf e Brolin, con il primo a ringhiare in faccia al potente e a tirare fuori gli artigli, con un’ interpretazione degna di un ragazzino e non di un broker in ascesa, stretto tra due fuochi come Brolin e Douglas. Solamente accennato è anche il tema dell’energia pulita, che poteva essere sfruttato meglio ed essere contrapposto maggiormente ai meri interessi economici che favoriscono petrolio e derivati: ma si sa è solo un elemento in più da buttare dentro in questo enorme calderone, per poi mischiarlo insieme a tutto il resto, senza spiegarne il perché e senza utilizzarlo in modo appropriato. “Il denaro non dorme mai” recita il sottotitolo, allo spettatore viene la tentazione di dormire, soprattutto quando il tema familiare diventa predominante e si perde negli stereotipi e nel vuoto di una coppia di figurine e di attori insufficienti per il ruolo e non aiutati dalla sceneggiatura. Tutto questo minestrone non poteva concludersi che con un’ inevitabile happy ending, con il ritorno del grande “cannibale” ( che mangia anche i soldi della figlia ), inizialmente parso cambiato, poi confermando di essere il solito malvagio e poi facendo intravedere un lato di umanità: tutto troppo forzato, così come l’inserimento del povero nascituro nel meccanismo narrativo. Lo spettatore ha un sussulto positivo quando Michael Douglas prende in mano le redini del film, soprattutto, nella prima scena del monologo agli universitari per la presentazione del libro, ma purtroppo la sua interpretazione ( la sua sì che è credibile ) non riesce a rendere più interessante il tutto. Nella monotonia dei dialoghi rimane questa frase “follia è ripetere la stessa azione sperando in un risultato diverso”: fosse tutto di questo livello, la sceneggiatura avrebbe potuto reggere un film di soli dialoghi, ma purtroppo questa frase è un’eccezione. Film insufficiente, con un più per Michael Douglas, già oscar per Wall Street nell’87.
VOTO 5+
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dario carta
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lunedì 8 novembre 2010
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il sequel profetico
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Nel 1987 con "Wall Street",Oliver Stone catturò l'era e l'ethos di un idealismo economico che animava una società pervasa dai fermenti innovativi dell' America agitata dagli scompensi consumistici che segnarono per la nazione un passaggio epocale.
Gli eventi descritti nel film tessevano la storia di un giovane agente che speculava in borsa con abili strategie commerciali,avvalendosi del denaro di un potente finanziere,in uno scenario di complessi movimenti di titoli da parte di società inserite in una struttura comunitaria predatrice ed eticamente inerte quale era la realtà di Wall Street degli anni '80.
Non a caso la pellicola entrò nei cinema poche settimane dopo il collasso del mercato mondiale registrato come il Black Monday del 19 ottobre 1987,ratificando il sospetto di un pubblico avverso al malcostume dell'organico bancario corrotto dall'avidità fatta passare per virtù.
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Nel 1987 con "Wall Street",Oliver Stone catturò l'era e l'ethos di un idealismo economico che animava una società pervasa dai fermenti innovativi dell' America agitata dagli scompensi consumistici che segnarono per la nazione un passaggio epocale.
Gli eventi descritti nel film tessevano la storia di un giovane agente che speculava in borsa con abili strategie commerciali,avvalendosi del denaro di un potente finanziere,in uno scenario di complessi movimenti di titoli da parte di società inserite in una struttura comunitaria predatrice ed eticamente inerte quale era la realtà di Wall Street degli anni '80.
Non a caso la pellicola entrò nei cinema poche settimane dopo il collasso del mercato mondiale registrato come il Black Monday del 19 ottobre 1987,ratificando il sospetto di un pubblico avverso al malcostume dell'organico bancario corrotto dall'avidità fatta passare per virtù.
La favola sociale venata dalla fredda morale di Stone segnò la dinamica finanziaria mondiale per più di un decennio,virando la rotta del comportamento societario coinvolto nella psicopatia annidata fra le mura di Wall Street.
Passati 23 anni e centuplicati i furti sanzionati dai governi,il regista iconoclasta di Platoon,Salvador e Talk Radio,crea il sequel che rivisita le condizioni disastrate di una nazione devastata dallo sfascio di Bernard Madoff,Goldman Sachs e Lehman Brothers,inserendo la nuova storia del denaro che non dorme sullo stesso sfondo della profezia sulla Crisi del Capitalismo evocata nei fatti dell'estate del 2008.
La vera storia della calamità economica calata sullo scenario mondiale è così vasta e complessa che nessun distillato fictionale può prendersi il merito di una configurazione credibile della sua realtà.
Stone anche stavolta non redige un'iperbole morale ma tesse un racconto di una condizione sociale e politica nelle quali innerva una storia dalle valenze umane.
Gekko pare cambiato e invecchiato e,nella saggezza che deriva dall'errore,pare ora muoversi seguendo un'etica che si è fatta mancare a vantaggio della concretezza dei profitti,anche a costo di perdere una figlia,sorda al richiamo del legame famigliare.
Le ossessioni e le menzogne di Jacob smarrito nel suo proposito di vendetta provocano l'altra rottura affettiva della storia,quella tra lui e Winnie,aprendo un quadro di situazione umane allo sbando,un microcosmo relazionale che il regista innesta nel palcoscenico di una condizione economica mondiale in caduta verticale.
Stone imbastisce la storia nella disciplina della sua conformazione registica,misurando metafore e dribblando retoriche e riapre il sipario chiuso 23 anni fa sullo scenario inquieto di una escatologia finanziaria mondiale,un allarme profetico che oggi raccoglie per portare a termine con un indotto maturato in una riflessione sull'animo umano forse placato nell'età e nella somma delle esperienze.
L'oscurità di Gekko e il suo potere seduttivo,qui allegorie del sistema eticamente ed intellettualmente corrotto di Wall Street,entrano in conflitto con una saggezza troppo celebrata su un fronte di un pubblico morbosamente attento alla farina del diavolo e con il malinconico risvolto di una dimensione affettiva alla deriva.
La rabbia che pervadeva la prima pellicola di Oliver Stone si stempra nel sequel in una considerazione che il regista lascia in sospeso sulla reale mutevolezza della natura dell'uomo messo davanti a compromesso e redenzione
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immanuel
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domenica 24 ottobre 2010
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un ventaglio di dinamiche umane globali
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Lungo la narrazione del film si intrecciano più piani. Quello del dramma umano, col quale si apre e conclude la pellicola, quello dello psicodramam globale e in ultima analisi quello delle problematiche future che attendono l'umanità e le loro potenziali soluzioni, discutibili o meno che siano. La tragedia personale, lo iato intrafamiliare, la sconfitta individuale che attraversano la trama sono il riflesso oscuro di una più ampia lacerazione sovrastrutturale. In gioco c'è infatti l'equilibrio di un mondo. In discussione ci sono l'efficacia di un modello economico, la sua attualità, praticabilità, l'alternativa tra anarchismo, socialismo e capitalismo. Nessuna di queste sembra essere stata prediletta dal cineasta.
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Lungo la narrazione del film si intrecciano più piani. Quello del dramma umano, col quale si apre e conclude la pellicola, quello dello psicodramam globale e in ultima analisi quello delle problematiche future che attendono l'umanità e le loro potenziali soluzioni, discutibili o meno che siano. La tragedia personale, lo iato intrafamiliare, la sconfitta individuale che attraversano la trama sono il riflesso oscuro di una più ampia lacerazione sovrastrutturale. In gioco c'è infatti l'equilibrio di un mondo. In discussione ci sono l'efficacia di un modello economico, la sua attualità, praticabilità, l'alternativa tra anarchismo, socialismo e capitalismo. Nessuna di queste sembra essere stata prediletta dal cineasta. Se è vero che il conflitto padre-figlio che percorre il film è la proiezione dell'esperienza umana del regista, certo è che tale dinamica ha una valenza fortemente simbolica. Ad essa potrebbe essere sovrapposto un piano di frammentazione e dissoluzione umano-societario molto più vasto. In sostanza, Stone non si fa mancare nulla e tira tutto in ballo. Ben'inteso, opportunamente. Perché l'aspetto personale e quello globale non si confondono mai, anzi si intrecciano, interfacciano, interscambiano e attraversano con continuità e assoluta pertinenza. Bene fa quindi Stone nella sua denuncia e mettere insieme questioni che costituiscono la faccia della stessa medaglia: la speculazione finanziaria, la tragedia parentale, le grandi problematiche ambientali, le grandi questioni economiche ci riguardano tutte ugualmente e sotto lo stesso grado di interesse. Affrontarle e risolverle è un bene per il presente e soprattutto per le generazioni future, iconizzate nell'immagine del feto che appare sul monitor dello spregiudicato Gekko, alle quali il regista riserva alla fine una chiusa di speranza con l'auspicio in un impegno più assorto nel finanziamento della ricerca quando il protagonista, divorato e alla fine mutato dal rimorso, si risolve a concedere la donazione sperata alla ricerca sullo svuluppo della laser-energia dell'avvenire.
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brunus10480
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mercoledì 29 dicembre 2010
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uno spaccato del mondo finanziario
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A sentire parecchi commenti ero scettico. Ebbene il film è risultato piacevole e ben costruito; un sequel a distanza di vent'anni deve proporre qualcosa di diverso e questa pellicola centra il bersaglio: viene mostrata un'America che si scopre debole, che prova a cambiare, ma che inevitabilmente cade negi stessi errori che ha compiuto nel passato. Le bolle e le criso sono cicliche, così come la buona e la cattiva sorte, sia nell'ambito professionale che familiare. Stone mostra le due facce dell'animo umano( solo americano?)teso a soddisfare le proprie ambizioni ma nello stesso tempo rivolto alla famiglia. Buone le interpretazioni dei tre protagonisti, compresa quella di Carey Mulligan, adattissima al ruolo col suo viso fragile e infantile.
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A sentire parecchi commenti ero scettico. Ebbene il film è risultato piacevole e ben costruito; un sequel a distanza di vent'anni deve proporre qualcosa di diverso e questa pellicola centra il bersaglio: viene mostrata un'America che si scopre debole, che prova a cambiare, ma che inevitabilmente cade negi stessi errori che ha compiuto nel passato. Le bolle e le criso sono cicliche, così come la buona e la cattiva sorte, sia nell'ambito professionale che familiare. Stone mostra le due facce dell'animo umano( solo americano?)teso a soddisfare le proprie ambizioni ma nello stesso tempo rivolto alla famiglia. Buone le interpretazioni dei tre protagonisti, compresa quella di Carey Mulligan, adattissima al ruolo col suo viso fragile e infantile. La trama scorre veloce e lo spettatore non si annoia grazie ai clpi di scena e agli artifici e ai segnali che la fotografia evidenzia: le bolle, i grafici derivati dalla Skyline, i simboli del capitalismo, i germi della crisi economica sparsi quà e là ma sbattuti in faccia allo spettatore attento. Il finale è forse scontato ma rapido e improvviso al punto giusto, così come è velocissima l'ascesa e la caduta nel mondo finanziario globalizzato e corrotto dei nostri giorni.
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carmineantonellovillani
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martedì 2 novembre 2010
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il capitalismo secondo stone
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Il fascino del denaro non conosce confini. Lo sa bene il guru della finanza che in piena epoca reaganiana guadagnò un mucchio di soldi speculando anche contro le leggi dello stato. Sì, perché Gordon Gekko è appena uscito di prigione dopo una condanna per insider trading ed ora è deciso più che mai a riprendersi la poltrona. Dopo oltre vent’anni da quel capolavoro che valse a Michael Douglas l’ambita statuetta Oliver Stone torna dietro la macchina da presa per raccontare la vita dei pescecani in doppiopetto. Regia solidissima e qualche trovata di fino, “Wall Street –Il denaro non dorme mai-” può definirsi un film dalla doppia anima quando alla critica feroce alterna un velato atto d’amore per i bankers.
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Il fascino del denaro non conosce confini. Lo sa bene il guru della finanza che in piena epoca reaganiana guadagnò un mucchio di soldi speculando anche contro le leggi dello stato. Sì, perché Gordon Gekko è appena uscito di prigione dopo una condanna per insider trading ed ora è deciso più che mai a riprendersi la poltrona. Dopo oltre vent’anni da quel capolavoro che valse a Michael Douglas l’ambita statuetta Oliver Stone torna dietro la macchina da presa per raccontare la vita dei pescecani in doppiopetto. Regia solidissima e qualche trovata di fino, “Wall Street –Il denaro non dorme mai-” può definirsi un film dalla doppia anima quando alla critica feroce alterna un velato atto d’amore per i bankers. Ma il tributo maggiore Stone lo fa alla propria città, le inquadrature dall’alto mettono in cornice una New York bella e maledetta. Tra bonus milionari Shia LeBeouf prepara la sua vendetta mentre Josh Brolin è coinvolto in una brutta storia di società off shore; nella moderna Sodoma spicca il vecchio Gekko che ritrova tra i suoi effetti personali persino un cellulare grande come una casa. A testimonianza dei tempi che furono, come i camei di Oliver Stone e Charlie Sheen diventato ricco grazie ai consigli del mentore. Ma è Michael Dougals a farla da padrone, il vecchio leone cattura il pubblico come una calamita quando è chiamato a parlare del suo libro. “L’avidità è una cosa buona?”, si chiede Gekko. Con sorprendente puntualità passa in rassegna le bolle finanziarie ed i crolli del 2008 dove sono fallite quasi tutte le banche d’affari: la risposta è un’accusa senza mezzi termini al capitalismo esasperato ed all’indebitamento fuori controllo. Analisi lucidissime eppure smentite dallo stesso protagonista che non ci pensa due volte a speculare con i “risparmi” della figlia. Come dire, i banchieri fanno ammenda ma non ci pensano davvero a cambiare il sistema. Business is business.
Carmine Antonello Villani
(Salerno)
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giovedì 4 novembre 2010
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i cattivi (e i buoni) pescecani
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Non è il film più riuscito di Oliver Stone. Wall Street 2 non poteva essere 1 ma ci auguriamo che non sarà 3, 4, ecc. . La rappresentazione dei meccanismi e delle feroci regole che sottendono i rapporti tra i grossi operatori di borsa fa da sfondo a una harmony storia d' amore. I cattivi sono così cattivi, i buoni sono veramente buoni (w la fusione), il pentito è prima buono, poi cattivo ma infine ottimo. A proposito di quest' ultimo viene un dubbio: per decuplicare il valore del suo fondo in poco tempo quante persone ha dovuto rovinare? Il film non ce lo dice. Probabilmente si sarebbe incrinata la felice conclusione. L' ostentazione dei marchi del lusso ricorda molto i pacchetti di sigarette presentati in primo piano in molti B movie.
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Non è il film più riuscito di Oliver Stone. Wall Street 2 non poteva essere 1 ma ci auguriamo che non sarà 3, 4, ecc. . La rappresentazione dei meccanismi e delle feroci regole che sottendono i rapporti tra i grossi operatori di borsa fa da sfondo a una harmony storia d' amore. I cattivi sono così cattivi, i buoni sono veramente buoni (w la fusione), il pentito è prima buono, poi cattivo ma infine ottimo. A proposito di quest' ultimo viene un dubbio: per decuplicare il valore del suo fondo in poco tempo quante persone ha dovuto rovinare? Il film non ce lo dice. Probabilmente si sarebbe incrinata la felice conclusione. L' ostentazione dei marchi del lusso ricorda molto i pacchetti di sigarette presentati in primo piano in molti B movie. Non manca il riconoscimento alla funzione salvifica della rete anche se gli ultimi casi reali sembrano dimostrare che infine tutto viene digerito. Con un piccolo sbuffo. Di veramente nuovo poco: due o tre belle frasi, non un morso non un graffio. Forse il regista era appena uscito dalla manicure. Vi raccomando la didascalica scena finale con l' anellino delle patatine e la futura bolla che vola lontano lontano ma ancora non scoppia. Può scapparci un sorriso.
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