L’argomento è di stretta attualità ( la crisi economica ), il regista viene da una serie di flop ( Alexander e World Trade Center ), ma è una garanzia quando si tratta di mettere a nudo gli eccessi della società americana, eppure Wall Street, sequel del film di successo del 1987, non riesce un granchè. In primis, perché la materia è già di per sé difficile e poco cinematografica ed in secondo luogo perché il più delle volte i sequel nascono con l’ombra ingombrante del primo film e con l’obiettivo di proseguire i guadagni iniziali, risolvendosi solamente in una macchina da soldi di scarsa qualità artistica. Inoltre, a mio modo di vedere, c’erano due soluzioni per fare un’opera il cui tema principale fosse di carattere finanziario: si poteva scavare nel marcio dell’economia americana e denunciare, dare allo spettatore un lavoro di approfondimento, di conoscenza dei meccanismi finanziari, a differenza della superficialità con cui viene trattata la materia nel film, con bolle speculative che scoppiano senza dare un minimo di spiegazione, frasi fatte e dialoghi noiosi e privi dell’incisività necessaria per queste opere di denuncia. Oliver Stone invece opta per la seconda strada, quella di far rientrare il tema della crisi in una narrazione a forte impatto emotivo, condendola con una storia familiare, con l’intento di coinvolgere sentimentalmente lo spettatore: il punto è che tutto il film è poco credibile, dai dialoghi alle interpretazioni degli attori, dalla superficialità del tema economico, alla stereotipata storia familiare, per cui lo spettatore non viene per nulla catturato nel vortice della narrazione e, di conseguenza, l’opera non è in grado nemmeno di coinvolgere. Inoltre, la telecamera si innamora dei grattacieli di New York, scenario affascinante in cui tutto si svolge, compiendo inizialmente movimenti lineari per poi dare vita a veri e propri vortici, come a mimare il vortice dell’economia, dei soldi, un mondo affascinante, tentatore, del quale l’uomo si sente inevitabilmente attratto. Tutto vero, ma lo spettatore non viene catturato, rimane esterno a questo vortice, guardando il film con freddenza e spesso con noia, visto che la maggior parte è caratterizzato da dialoghi e la sceneggiatura non riesce a reggerne il peso. Forzata è anche l’unica scena di azione, il duello motociclistico tra Lebeouf e Brolin, con il primo a ringhiare in faccia al potente e a tirare fuori gli artigli, con un’ interpretazione degna di un ragazzino e non di un broker in ascesa, stretto tra due fuochi come Brolin e Douglas. Solamente accennato è anche il tema dell’energia pulita, che poteva essere sfruttato meglio ed essere contrapposto maggiormente ai meri interessi economici che favoriscono petrolio e derivati: ma si sa è solo un elemento in più da buttare dentro in questo enorme calderone, per poi mischiarlo insieme a tutto il resto, senza spiegarne il perché e senza utilizzarlo in modo appropriato. “Il denaro non dorme mai” recita il sottotitolo, allo spettatore viene la tentazione di dormire, soprattutto quando il tema familiare diventa predominante e si perde negli stereotipi e nel vuoto di una coppia di figurine e di attori insufficienti per il ruolo e non aiutati dalla sceneggiatura. Tutto questo minestrone non poteva concludersi che con un’ inevitabile happy ending, con il ritorno del grande “cannibale” ( che mangia anche i soldi della figlia ), inizialmente parso cambiato, poi confermando di essere il solito malvagio e poi facendo intravedere un lato di umanità: tutto troppo forzato, così come l’inserimento del povero nascituro nel meccanismo narrativo. Lo spettatore ha un sussulto positivo quando Michael Douglas prende in mano le redini del film, soprattutto, nella prima scena del monologo agli universitari per la presentazione del libro, ma purtroppo la sua interpretazione ( la sua sì che è credibile ) non riesce a rendere più interessante il tutto. Nella monotonia dei dialoghi rimane questa frase “follia è ripetere la stessa azione sperando in un risultato diverso”: fosse tutto di questo livello, la sceneggiatura avrebbe potuto reggere un film di soli dialoghi, ma purtroppo questa frase è un’eccezione. Film insufficiente, con un più per Michael Douglas, già oscar per Wall Street nell’87.
VOTO 5+
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