Paolo Virzì ritorna nella sua Livorno, ma questa volta decide di mettere da parte la politica e le “grandi”
problematiche sociali. Grazie alla collaborazione di Francesco Piccolo e Francesco Bruni, gli altri sceneggiatori della pellicola, riesce a realizzare una commedia quasi perfetta, in cui si ride spesso, ma non mancano i momenti commoventi, emozionanti, senza essere mai banale.
Ad uscirne sconfitta è l’immagine della donna nella società italiana, visto che subiscono sempre il potere dell’altro sesso, in famiglia, a lavoro.
Non è un caso che il personaggio interpretato da Micaela Ramazzotti (compagna del regista) non sia molto diverso da quello che aveva interpretato nel film precedente di Virzì. Una giovane madre con grosse difficoltà a trovare lavoro, costretta a crescere i propri figli senza il padre.
La prima cosa bella racconta un dramma familiare che ruota intorno ad una malattia, quei tragici momenti in cui si mettono da parte i rancori e l’orgoglio personale, quando il dolore diventa l’occasione per tirare le somme e superare i contrasti del passato. Molte pellicole americane di successo degli ultimi anni sono stati film di cinema indipendente con caratteristiche simili. Non è quindi un azzardo paragonare l’ultima opera di Virzì a titoli quali Little Miss Sunshine, Il calamaro e la Balena, La famiglia Savage. La musica accompagna i protagonisti per tutta la durata del film, diventa il punto di unione nei momenti di maggior sconforto, quando per distrarsi dalle “pallonate in faccia” che gli arrivano nella vita, si fanno forza l’un l’altro cantando insieme dei classici della musica italiana, modo originale per metabolizzare il dolore.
Una grande interpretazione di Valerio Mastandrea, con un insolito accento toscano, e di una “recuperata” Claudia Pandolfi, ridanno respiro alla commedia italiana, genere nel quale Virzì si muove con assoluta padronanza della macchina da presa, anche se a volte per soddisfare la “richiesta” di lacrime da alternare alle risate, rischia di avvicinarsi troppo al linguaggio televisivo, confezionando per gli spettatori un nuovo cinema italiano, “il cinema del dolore”.
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lazia
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martedì 19 gennaio 2010
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vorrei vederne tante di donne perdenti
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Non mi pare proprio che l'immagine della donna in genere ne esca male. La protagonista è una donna semplice, senza un grande bagaglio culturale che si lascia trascinare nelle vicende della vita amando SEMPRE,i sui figli, il marito, gli amanti occasionali. In ogni caso amando la vita ed affrontando le difficoltà ed anche la morte con coraggio ed il sorriso sulle labbra. E come se non bastasse riuscendo anche a dare la determinazione alla figlia di cambiare la propria vita. C'è anche il riscatto della sorella (quando esorta Bruno a cancellare i rancori).........stronzissima, ma anche lei con le sue ragioni! Quindi direi: VORREI AVERNE TANTISSIME DI DONNE PERDENTI COSI'!!!!
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(di fabrizio cirnigliaro)
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gibigi
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giovedì 21 gennaio 2010
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forse non è così
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Io non ho visto donne perdenti, bensì delle donne che avevano un senso della vita ben definito e che per quel sentimento hanno pagato prezzi e hanno compiuto scelte sempre coerenti e vincenti perchè rendevano le stesse coerenti con se stesse.
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trilli77
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giovedì 28 gennaio 2010
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punti di vista
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Ho difficioltà a considerare perdente una donna che riesce ad affrontare la vita ed i problemi con gioia e con sorriso, anche negli ultimi istanti che le restano. Paga le conseguenze delle scelte (discutibili) sue e degli altri con tenerezza e con coraggio, perchè tentare di progteggere i figli dalle situazione e dai casini con il gioco è di una forza disarmante. E' umana in tutte le sue sfaccettature e come tale sbaglia, ma non esce perdente. E' buona d'animo, semplice, ingenua ed è proprio per questo che s'incasina la vita, ma i suoi sono sbagli dovuti proprio all'ingenuità. A mio avviso, il perdente è il marito, limitato dalla sua gelosia/possessività, non vede Anna realmente e per orgoglio o stupidità, pur amandola non accetta di tornarci insieme, quando poi ne avrà la forza sarà troppo tardi.
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Ho difficioltà a considerare perdente una donna che riesce ad affrontare la vita ed i problemi con gioia e con sorriso, anche negli ultimi istanti che le restano. Paga le conseguenze delle scelte (discutibili) sue e degli altri con tenerezza e con coraggio, perchè tentare di progteggere i figli dalle situazione e dai casini con il gioco è di una forza disarmante. E' umana in tutte le sue sfaccettature e come tale sbaglia, ma non esce perdente. E' buona d'animo, semplice, ingenua ed è proprio per questo che s'incasina la vita, ma i suoi sono sbagli dovuti proprio all'ingenuità. A mio avviso, il perdente è il marito, limitato dalla sua gelosia/possessività, non vede Anna realmente e per orgoglio o stupidità, pur amandola non accetta di tornarci insieme, quando poi ne avrà la forza sarà troppo tardi. Per me è qusto perdere...essere in ritardo con la vita.La "vera" Coco Avant Chanel, è indubbiamente una donna forte e determinata, ma il film, che ho trovato molto noioso, non rappresenta bene nè la storia nè il personaggio, che non viene mai fuori nella sua interezza... leggi la biografia e te ne renderai conto. Sono punti di vista...le cose le puoi vedere sotto diverse angolazioni.
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cali61
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venerdì 28 maggio 2010
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l'anima livornese
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Non mi sembra di riconoscere in Anna la figura della donna perdente, bensì una persona che affronta le traversie della vita con coraggio, in maniera discutibile anche, ma senza mai piangersi addosso. Secondo me il tema del film non è tanto raccontare il dolore, ma raccontare lo spirito di Livorno. Nessuno meglio di Virzì sa cogliere l'anima livornese, di cui Anna è spendida interprete. E Livorno è tutto nelle parole dette da Anna prima di morire:"Però ci siamo divertiti"
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