lazia
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martedì 19 gennaio 2010
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diventa bella anche livorno
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Tenero e struggente direi che possono sintetizzare bene l'intero film. E' un film dove si prediligono le EMOZIONI e lascerei stare tutte le reinterpretazioni, non ne ha bisogno. Anzi avrei evitato anche l'insegna al neon del defunto PCI , ma capisco che è ostico abbandonare totalmente il proprio credo.
C'è anche l'assoluzione finale, perchè tutto sommato nessuno è totalmente brutto sporco e cattivo e nessuno è totalmente bello biondo e bravo. Il genere umano e la vita non sono bianchi e neri ma una serie interminali di sfumature di grigio
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iltex74
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martedì 19 gennaio 2010
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non il virzì di una volta...
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Film indubbiamente fatto con impegno, ma riconosco un Virzì più in vena di grandi storie, che di piccole, ingenue verità raccontate, come nel film precedenti. La sensazione che ho maturato durante la visione del film è che il tema stesso sia troppo grande, fumoso e nemmeno chiaro a Virzì stesso, forse. A volte il tempo non corre e il film s'intreccia e ingarbuglia in troppe anse, risultando a tratti davvero lento (cosa davvero strana per il cinema di Virzì).
Ho sempre giudicato Virzì uno dei più promettenti registi del nostro cinema. Qui a mio avviso ha voluto anticipare un film senza averne ben delineato la trama ma sopratutto gli intenti. Speriamo non faccia la fine dei tanti registi italiani che dopo 3/4 film eccellenti inciampano in temi troppo impegnativi.
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Film indubbiamente fatto con impegno, ma riconosco un Virzì più in vena di grandi storie, che di piccole, ingenue verità raccontate, come nel film precedenti. La sensazione che ho maturato durante la visione del film è che il tema stesso sia troppo grande, fumoso e nemmeno chiaro a Virzì stesso, forse. A volte il tempo non corre e il film s'intreccia e ingarbuglia in troppe anse, risultando a tratti davvero lento (cosa davvero strana per il cinema di Virzì).
Ho sempre giudicato Virzì uno dei più promettenti registi del nostro cinema. Qui a mio avviso ha voluto anticipare un film senza averne ben delineato la trama ma sopratutto gli intenti. Speriamo non faccia la fine dei tanti registi italiani che dopo 3/4 film eccellenti inciampano in temi troppo impegnativi...
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fabrizio cirnigliaro
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martedì 19 gennaio 2010
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il cinema del dolore
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Paolo Virzì ritorna nella sua Livorno, ma questa volta decide di mettere da parte la politica e le “grandi”
problematiche sociali. Grazie alla collaborazione di Francesco Piccolo e Francesco Bruni, gli altri sceneggiatori della pellicola, riesce a realizzare una commedia quasi perfetta, in cui si ride spesso, ma non mancano i momenti commoventi, emozionanti, senza essere mai banale.
Ad uscirne sconfitta è l’immagine della donna nella società italiana, visto che subiscono sempre il potere dell’altro sesso, in famiglia, a lavoro.
Non è un caso che il personaggio interpretato da Micaela Ramazzotti (compagna del regista) non sia molto diverso da quello che aveva interpretato nel film precedente di Virzì.
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Paolo Virzì ritorna nella sua Livorno, ma questa volta decide di mettere da parte la politica e le “grandi”
problematiche sociali. Grazie alla collaborazione di Francesco Piccolo e Francesco Bruni, gli altri sceneggiatori della pellicola, riesce a realizzare una commedia quasi perfetta, in cui si ride spesso, ma non mancano i momenti commoventi, emozionanti, senza essere mai banale.
Ad uscirne sconfitta è l’immagine della donna nella società italiana, visto che subiscono sempre il potere dell’altro sesso, in famiglia, a lavoro.
Non è un caso che il personaggio interpretato da Micaela Ramazzotti (compagna del regista) non sia molto diverso da quello che aveva interpretato nel film precedente di Virzì. Una giovane madre con grosse difficoltà a trovare lavoro, costretta a crescere i propri figli senza il padre.
La prima cosa bella racconta un dramma familiare che ruota intorno ad una malattia, quei tragici momenti in cui si mettono da parte i rancori e l’orgoglio personale, quando il dolore diventa l’occasione per tirare le somme e superare i contrasti del passato. Molte pellicole americane di successo degli ultimi anni sono stati film di cinema indipendente con caratteristiche simili. Non è quindi un azzardo paragonare l’ultima opera di Virzì a titoli quali Little Miss Sunshine, Il calamaro e la Balena, La famiglia Savage. La musica accompagna i protagonisti per tutta la durata del film, diventa il punto di unione nei momenti di maggior sconforto, quando per distrarsi dalle “pallonate in faccia” che gli arrivano nella vita, si fanno forza l’un l’altro cantando insieme dei classici della musica italiana, modo originale per metabolizzare il dolore.
Una grande interpretazione di Valerio Mastandrea, con un insolito accento toscano, e di una “recuperata” Claudia Pandolfi, ridanno respiro alla commedia italiana, genere nel quale Virzì si muove con assoluta padronanza della macchina da presa, anche se a volte per soddisfare la “richiesta” di lacrime da alternare alle risate, rischia di avvicinarsi troppo al linguaggio televisivo, confezionando per gli spettatori un nuovo cinema italiano, “il cinema del dolore”.
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viacolvento
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lunedì 18 gennaio 2010
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quando il cinema italiano ci sorprende
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Capita spesso di dover difendere il cinema italiano, in certe conversazioni più o meno salottiere, e spesso uno dei pochi argomenti spendibili sono i film di Virzì. Ebbene, stavolta Virzì ci ha fornito un vero e proprio assist per le nostre future conversazioni. La prima cosa bella è un film che scuote anche gli animi più insensibili e scettici. Lo segui col fiato sospeso, pronto a sorridere o a struggerti il cuore, per le sorti dei suoi buffi, dolenti, patetici, umanissimi adorabili personaggi. Alla fine ti lascia esausto e appagato e ti vien voglia di applaudire. La storia di Anna (Micaela Ramazzotti) una bellezza provinciale che tutti vorrebbero per sè, perché trabocca di dolcezza e disponibilità, e che invece non fa altro che subire bastonate ed umiliazioni, e che nonostante tutto continua con amorosa ed ingenua allegria a cercare di proteggere i suoi due piccoli figli Bruno e Valeria anche nei momenti più penosi, cantando con loro le liete canzoncine pop di quegli anni difficili, ha una forza da grande narrazione romanzesca, e non somiglia soltanto alle grandi commedie italiane della stagione d'oro, ma anche ad un certo cinema americano classico, che va da John Huston ad Arthur Penn, Oggi Bruno (Valerio Mastandrea), fuggito dalla sua città e dagli affetti per rifugiarsi in una vita nevrotica ed infelice, viene convinto dalla sorella Valeria (Claudia Pandolfi), a ritornare nella città natale, una Livorno fotografata magnificamente dal Director of photography preferito diTerry Gilliam, l'italoamericano Nicola Pecorini, per andare a rendere l'ultima visita alla madre Anna (Stefania Sandrelli), ormai malata terminale.
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Capita spesso di dover difendere il cinema italiano, in certe conversazioni più o meno salottiere, e spesso uno dei pochi argomenti spendibili sono i film di Virzì. Ebbene, stavolta Virzì ci ha fornito un vero e proprio assist per le nostre future conversazioni. La prima cosa bella è un film che scuote anche gli animi più insensibili e scettici. Lo segui col fiato sospeso, pronto a sorridere o a struggerti il cuore, per le sorti dei suoi buffi, dolenti, patetici, umanissimi adorabili personaggi. Alla fine ti lascia esausto e appagato e ti vien voglia di applaudire. La storia di Anna (Micaela Ramazzotti) una bellezza provinciale che tutti vorrebbero per sè, perché trabocca di dolcezza e disponibilità, e che invece non fa altro che subire bastonate ed umiliazioni, e che nonostante tutto continua con amorosa ed ingenua allegria a cercare di proteggere i suoi due piccoli figli Bruno e Valeria anche nei momenti più penosi, cantando con loro le liete canzoncine pop di quegli anni difficili, ha una forza da grande narrazione romanzesca, e non somiglia soltanto alle grandi commedie italiane della stagione d'oro, ma anche ad un certo cinema americano classico, che va da John Huston ad Arthur Penn, Oggi Bruno (Valerio Mastandrea), fuggito dalla sua città e dagli affetti per rifugiarsi in una vita nevrotica ed infelice, viene convinto dalla sorella Valeria (Claudia Pandolfi), a ritornare nella città natale, una Livorno fotografata magnificamente dal Director of photography preferito diTerry Gilliam, l'italoamericano Nicola Pecorini, per andare a rendere l'ultima visita alla madre Anna (Stefania Sandrelli), ormai malata terminale. Ebbene, il ritorno a casa di Bruno sarà l'inizio di un viaggio nella memoria di tutte le disavventure di quella famiglia, ed un sorprendente incontro con la vitalità fatta persona. Anna, sebbene condannata dall'evidenza clinica, è la donna più gioiosa ed allegra ed ingorda di vita che sia mai stata raccontata dal cinema. Il film si giova di un gruppo di eccezionali attori in stato di grazia, su tutti una Micaela Ramazzotti che sembra la clamorosa reincarnazione toscana di Marilyn - altro che quella pallida parodia del recente e scialbo film dell'altro toscano Pieraccioni - una messinscena leggera e mai melensa, anzia, a tratti ruvida, spietata, eppure così pertinente e puntuale da risucchiarti letteralmente dentro il film, al punto che quando si riaccendono le luci ti ricordi che eri seduto in una sala cinematografica, e non lì dentro, nell'anima di quei meravigliosi personaggi.
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goldy
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lunedì 18 gennaio 2010
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un'ennesima biografia
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L'impressione è che Virzì abbia esaurito gli argomenti e ora appioppandoci la sua biografia anzitempo, abbia raschiato il fondo. Spero vivamente che non sia così perchè con Caterina va in città aveva dimostrato di essere il più credibile erede della connedia all'italiana.
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asterione
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lunedì 18 gennaio 2010
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quella strada chaimata. . . livorno
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Sarebbe un grave errore ridurre l’ultimo film di Paolo Virzì (che deve molto alla linearità narrativa di “Quella strada chiamata paradiso”) ad un approdo intimistico del regista livornese; al contrario questo lavoro, pur distanziandosi – finalmente direi – dal tema ricorrente delle sue pellicole più note (la delusione delle aspirazioni politiche, la deriva culturale della società, la perfetta sincronia dei personaggi tratteggiati del regista con le “ostriche” verghiane), ne è la naturale conseguenza, poiché non fa altro che rispondere alla originaria aspirazione del regista; a cosa possiamo ancora credere?
Questa madre priva di compromessi, senza mezze misure, eccessivamente ingenua e semplice, completamente inadatta a qualsiasi parvenza di normalità, è però una donna generosissima e meravigliosamente aperta nei confronti del prossimo; per questo la società che è intorno a lei non può che rifiutarla o sfruttarla con ogni meschineria.
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Sarebbe un grave errore ridurre l’ultimo film di Paolo Virzì (che deve molto alla linearità narrativa di “Quella strada chiamata paradiso”) ad un approdo intimistico del regista livornese; al contrario questo lavoro, pur distanziandosi – finalmente direi – dal tema ricorrente delle sue pellicole più note (la delusione delle aspirazioni politiche, la deriva culturale della società, la perfetta sincronia dei personaggi tratteggiati del regista con le “ostriche” verghiane), ne è la naturale conseguenza, poiché non fa altro che rispondere alla originaria aspirazione del regista; a cosa possiamo ancora credere?
Questa madre priva di compromessi, senza mezze misure, eccessivamente ingenua e semplice, completamente inadatta a qualsiasi parvenza di normalità, è però una donna generosissima e meravigliosamente aperta nei confronti del prossimo; per questo la società che è intorno a lei non può che rifiutarla o sfruttarla con ogni meschineria. In questo Virzì è coerente con se stesso e con i suoi film, dipingendo una realtà di 30 anni fa affatto diversa da quella di oggi, dove il figlio del farmacista fa il farmacista, quello dell’avvocato fa l’avvocato e dove i disperati non si aiutano tra loro ma si fanno la guerra.
Ed ecco allora che, costretto a ripensare a questa esperienza di amore tradito, il protagonista si trova a fare i conti con la timidezza esasperata ed il cinismo in cui si è asserragliato per non rimanere deluso da ciò che lo circonda e, quindi, anche con la propria infelicità. Ma è giusto da qui che questo professore-per-necessità riparte per trovare la sua serenità: non potendo dare un senso alla propria vita né con la propria professione, né con le proprie convinzioni politico-intellettuali (rimaste stavolta quasi totalmente estranee al film), è costretto a ripescare nelle proprie origini, in ciò che da vivi si può testimoniare delle persone che ci hanno preceduto, della loro eredità spirituale, nella particolarità inafferrabile della loro esistenza.
Questo, sembra dirci il regista (ed è una conclusione tutt'altro che semplicistica), è forse il solo modo che in una realtà totalmente arida di sentimenti e che si trascina verso un ineluttabile incomunicabilità, abbiamo per creare veramente un contatto con il prossimo e con la sua bellezza. Insomma, come diceva il protagonista di Radiofreccia, “se hai voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e da te stesso non ci scappi neanche se sei Eddie Merckx”. La scelta di Livorno è perfetta per contesto e inquadrature (bellissima quella del cartello stradale con il nome della città, completato dalla scritta “area defascistizzata”).
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[+] cartello stradale
(di magic)
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crinal
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lunedì 18 gennaio 2010
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uno dei migliori film della stagione
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Bel Film. Emozionante e divertente. Grande prova di Mastrandrea. Uno dei migliori film della stagione (sicuramente quello che mi ha emozionato di più).
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michilove
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lunedì 18 gennaio 2010
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ottimo
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giba62
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lunedì 18 gennaio 2010
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bellissimo
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La leggerezza con cui si muovono i protagonisti, la storia, l' ambientazione, gli attori...
fanno di questo film un vero capolavoro.
Un racconto pieno di umanità, colorato da tanti sentimenti diversi, commovente ma non patetico.
Bellissimo.
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claudiorec
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lunedì 18 gennaio 2010
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il capolavoro di virzì
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Dopo tante schifezze viste al cinema finalmente un filmone.
La Ramazzotti perfetta!
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