toty bottalla
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giovedì 30 aprile 2015
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altra storia drammatica del delirio umano!
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Sarah starzynski una bambina ebrea francese prima di essere prelevata dalla polizia insieme al padre e alla madre, per salvare il suo fratellino dall'arresto lo nasconde chiudendolo in un armadio, fuggita dal campo di prigionia, torna, ma trova il piccolo morto dove lo aveva lasciato.
La chiave di sara è il racconto di una storia tra le infinite storie sulla shoah, il film di paquet-brenner sbriga in fretta e con indulgenza la pratica orrenda difficilmente riproducibile e ci narra una storia a basso ritmo alternata da flashback che tra passato e presente raccontano l'indagine di una giornalista alla ricerca di sarah, splendide: la k. s. thomas e la piccola mèlusine mayance convincenti senza enfasi, valutazione: 2,5 stelle.
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Sarah starzynski una bambina ebrea francese prima di essere prelevata dalla polizia insieme al padre e alla madre, per salvare il suo fratellino dall'arresto lo nasconde chiudendolo in un armadio, fuggita dal campo di prigionia, torna, ma trova il piccolo morto dove lo aveva lasciato.
La chiave di sara è il racconto di una storia tra le infinite storie sulla shoah, il film di paquet-brenner sbriga in fretta e con indulgenza la pratica orrenda difficilmente riproducibile e ci narra una storia a basso ritmo alternata da flashback che tra passato e presente raccontano l'indagine di una giornalista alla ricerca di sarah, splendide: la k. s. thomas e la piccola mèlusine mayance convincenti senza enfasi, valutazione: 2,5 stelle. Saluti.
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harrysalamon
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venerdì 11 dicembre 2015
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onesta drammatizzazione di una tragedia vera
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Non riassumo la storia, già ben descritta nell'articolo di mymovies e nelle altre recensioni. Mi preme evidenziare due argomenti: uno è l'equilibrata testimonianza di due opposte verità, cioè il delitto commesso dalla Francia, di cui quest'ultima non potrà mai più cessare di vergognarsi (e il più emblematico è la distruzione del Veld'hiv, ricordato da una semplice targa) contrapposto alla testimonianza d'umanità di qualcuno dei Francesi. Non si può infatti dimenticare che tre quarti degli Ebrei francesi si salvarono. E lo dovettero ai non pochissimi "Giusti fra le Nazioni", qui indirettamente ricordati. L'altro è la ripresa di un fatto storico (giustamente visto attraverso una vicenda splendidamente raccontata, che così diventa un racconto visto da moltissimi: pochi Francesi hanno saltato la visione del film o la lettura del libro) che troppi in Francia vorrebbero invece rimuovere.
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Non riassumo la storia, già ben descritta nell'articolo di mymovies e nelle altre recensioni. Mi preme evidenziare due argomenti: uno è l'equilibrata testimonianza di due opposte verità, cioè il delitto commesso dalla Francia, di cui quest'ultima non potrà mai più cessare di vergognarsi (e il più emblematico è la distruzione del Veld'hiv, ricordato da una semplice targa) contrapposto alla testimonianza d'umanità di qualcuno dei Francesi. Non si può infatti dimenticare che tre quarti degli Ebrei francesi si salvarono. E lo dovettero ai non pochissimi "Giusti fra le Nazioni", qui indirettamente ricordati. L'altro è la ripresa di un fatto storico (giustamente visto attraverso una vicenda splendidamente raccontata, che così diventa un racconto visto da moltissimi: pochi Francesi hanno saltato la visione del film o la lettura del libro) che troppi in Francia vorrebbero invece rimuovere. A mio parere il massimo possibile fra i racconti di testimonianza civile. Su un'altra galassia rispetto, per esempio, all'ambiguo "La vita è bella" di Benigni. Oltretutto banale e piatto nell'esecuzione.
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elgatoloco
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martedì 31 gennaio 2017
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tra passato e presente, efficace romanzo e poi fil
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"Je m'appelle Sarah"di Gilles Paquet-Brenner è molto efficace, benintenso a partire dal romanzo, nel mostrare la viltà che aveva portato non dei nazisti ma dei Francesi(certo"colla", "collaborateurs", in italiano, meno efficacemente"collaborazionisti" a costruire un lager per Ebrei francesi in un velodromo. Uso opportuno del flash back che non è più tale, "presentificando" completamente il passato o meglio equiparandolo allo stesso, in un'operazione filmicamente convincente, che è denuncia dell'orrore(con l'eccezione del soldatino che lascia scappare le due bambine desiderose di tornare a casa, una per salvare il fratellino nascosto in uno sgabuzzino, anche se non riuscirà a farlo), ma anche smascheramento dell'ignoranza attuale-contemporanea(i due govani giornalisti che "non ne sanno nulla", lettaralmente, pensando che il velodromo esista ancora come tale.
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"Je m'appelle Sarah"di Gilles Paquet-Brenner è molto efficace, benintenso a partire dal romanzo, nel mostrare la viltà che aveva portato non dei nazisti ma dei Francesi(certo"colla", "collaborateurs", in italiano, meno efficacemente"collaborazionisti" a costruire un lager per Ebrei francesi in un velodromo. Uso opportuno del flash back che non è più tale, "presentificando" completamente il passato o meglio equiparandolo allo stesso, in un'operazione filmicamente convincente, che è denuncia dell'orrore(con l'eccezione del soldatino che lascia scappare le due bambine desiderose di tornare a casa, una per salvare il fratellino nascosto in uno sgabuzzino, anche se non riuscirà a farlo), ma anche smascheramento dell'ignoranza attuale-contemporanea(i due govani giornalisti che "non ne sanno nulla", lettaralmente, pensando che il velodromo esista ancora come tale...), individuazione delle complicità(il pétainismo quasi come un qualcosa di"normale", di esistente nel passato in quanto avvenuto, apppunto, però, "passato"da derubricare come tale), con interpreti di entrambi i generi molto convincenti, anche quando si saprà la"verità"sulla madre ebraica di un uomo che non ne sapeva nulla, in realtà-quando la"Sarah"protagonista viene scoperta come tale... Gioco di specchi, di rimandi, in una chiave(quella che è nel titolo italiano, non in quello originale, ma la chiave c'è davvero, è quella che dovrebbe"proteggere"il fratellino, appunto)che è di denuncia, come già detto, ma anche e soprattutto di scoperta, vista la mistificazione che tiene nascosta la verità-la demistificazione come"chiave"(repetita juvant, ma qui mi scuso, visto l'abuso del lemma)di quanto realmente avvenuto. Leggerezza(francese), ossia esprit de finesse nell'affrontare il tema tragico, senza infingimenti e senza"nuove mistificazioni", come appunto si dovrebbe fare, affrontando un tema cruciale come questo, dove spesso è la volontà di incrudelire gli effetti a prendere la mano, perdendo invece la"barra"del timone, ossia il senso della regia. Pericolo qui ampiamente evitato, appunto, per fortuna. Dove sarà da ripensare la modalità di fare film storici, a partire da questo esempio, più che convincente, El Gato
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gufetta76
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venerdì 5 maggio 2017
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l'indelebile dramma dell'olocausto
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La regia è splendida veloce e narrativa. Kristin Scott Thomas è intensa e splendida. Il dramma seppur tragico le vite di due donne si incrociano in uno strano caso. Guardando il fim viene la voglia di leggere il libro. Assolutamente da vedere.
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elgatoloco
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martedì 28 gennaio 2020
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para no olvidar
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Angolo visuale particolare, in questo"Elle s'appelait Sarah"(2019), che rilegge la storia della Shoah nella Francia occupata(governo di Vichy, Pétain etc.)attraverso il racconto di una giornalistaa americana trasferita in Francia, che viene a sapere di esser venuta a vivere in una casa che, all'epoca(anni 1940)era stata proprietà di Ebrei Francesi. Sconcerto, dubbi, crisi esistenziale e coniugale(per di più la donna, inaspettatamente, aspetta un bambino), report, ma soprattutto lezione etica anche per il figlio della donna, che da decenni(vivendo a Firenze, tra l'alltro)non era neppure al corrente delle origini ebraiche della donna. Importante pamphlet anti-razzista, che afronta la tematica indirettamente, mostrando come anche qualche soldato(francese, comunque)dissentisse dagli ordini petainiani, lasciando fuggiere dal campo di concentramento le due(allora)bambine, con il segreto-per una-del bambino nascosto e custodito in una stanza "segreta"o meglio"secretata"attraverso una chiave.
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Angolo visuale particolare, in questo"Elle s'appelait Sarah"(2019), che rilegge la storia della Shoah nella Francia occupata(governo di Vichy, Pétain etc.)attraverso il racconto di una giornalistaa americana trasferita in Francia, che viene a sapere di esser venuta a vivere in una casa che, all'epoca(anni 1940)era stata proprietà di Ebrei Francesi. Sconcerto, dubbi, crisi esistenziale e coniugale(per di più la donna, inaspettatamente, aspetta un bambino), report, ma soprattutto lezione etica anche per il figlio della donna, che da decenni(vivendo a Firenze, tra l'alltro)non era neppure al corrente delle origini ebraiche della donna. Importante pamphlet anti-razzista, che afronta la tematica indirettamente, mostrando come anche qualche soldato(francese, comunque)dissentisse dagli ordini petainiani, lasciando fuggiere dal campo di concentramento le due(allora)bambine, con il segreto-per una-del bambino nascosto e custodito in una stanza "segreta"o meglio"secretata"attraverso una chiave. Per compiere un'operazione più completa rispetto al film bisognerebbe conoscere anche il romanzo da cui esso è tratto, dia Talia de Rosmay(chi scrive questa nota non ha avuto l'opportunità di leggerlo), ma certamente l'operazione filmica è di qualità, possiamo/dobbiamo considerarla tale, a meno che non si voglia a tutti costri una spettacolarizzazione a tutti i costi di tale problematica, magari nella chiave nobilissima di un film come lo "Schindler's Livst"spielberghiano. La Scott-Thomas è interprete assolutamente convincente, come anche gli altri/le altre coinvolti/e nel film, che si caratterizza per aver scelto, non una scorciatoia ma una via differente, in qualche modo, volendo, "tangente"nell'affrotnare l'orrore. El Gato
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lello
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sabato 28 gennaio 2023
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recensione al film la chiave di sara
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La cinematografia è una libera arte che non deve sottostare ai paletti degli eventi storici quando il fine non è divulgare i fatti, piuttosto muovere le coscienze collettive.
La "Pellicola" parte dal fatto storico: il rastrellamento del velodromo, per invitarci a riflettere sui giorni nostri, di quando milioni di Hitler decidono se un essere umano è degno di venire al mondo oppure rimanere per sempre nel luogo lì dove la vita ha inizio. La bambina rimanda inconsapevolmente il fratellino al buio con l'incoscienza di chi ritiene opportuno che una vita va nascosta al mondo crudele.
Quando però da adulta la coscienza prevale sull inconsapevolezza il fardello diviene troppo pesante perché venga sopportato e lei stessa non si reputa più degna di vivere.
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La cinematografia è una libera arte che non deve sottostare ai paletti degli eventi storici quando il fine non è divulgare i fatti, piuttosto muovere le coscienze collettive.
La "Pellicola" parte dal fatto storico: il rastrellamento del velodromo, per invitarci a riflettere sui giorni nostri, di quando milioni di Hitler decidono se un essere umano è degno di venire al mondo oppure rimanere per sempre nel luogo lì dove la vita ha inizio. La bambina rimanda inconsapevolmente il fratellino al buio con l'incoscienza di chi ritiene opportuno che una vita va nascosta al mondo crudele.
Quando però da adulta la coscienza prevale sull inconsapevolezza il fardello diviene troppo pesante perché venga sopportato e lei stessa non si reputa più degna di vivere.
La domanda è: come può accadere che esseri umani possano diventare carnefici spietati dei loro simili?
Risposta: con l'indifferenza di chi vuole dimenticare le malvagità per continuare inperterriti con l'egoismo e la cieca tracotanza per continuare a godere dei beni terreni senza ritegno e rispetto alcuno. Soprattutto della vita.
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ultimoboyscout
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venerdì 25 gennaio 2013
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per non dimenticare.
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Durante una retata Nazista a Parigi, quella tristemente nota del Velodromo d'Inverno, una bimba di una decina d'anni, Sara, salva il fratellino più piccolo chiudendolo in un ripostiglio. Fuggita dal lager dove era stata confinata con la famiglia, non riuscirà a liberare il bambino e il rimorso non l'abbandonerà nemmeno da adulta emigrata negli Stati Uniti. Una giornalista, sessant'anni dopo, darà voce alla sua testimonianza ritrovandosi a seguire le orme di quella ragazzina che potrebbero condurla a misteri che toccano direttamente la sua famiglia. Tratto dal romanzo di Tatiana DeRosnay è un film didascalico, lento e noioso a cui non giova nemmeno il montaggio alternato dei due periodi di narrazione per spezzare la monotonia ritmica e dare un pò di brio.
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Durante una retata Nazista a Parigi, quella tristemente nota del Velodromo d'Inverno, una bimba di una decina d'anni, Sara, salva il fratellino più piccolo chiudendolo in un ripostiglio. Fuggita dal lager dove era stata confinata con la famiglia, non riuscirà a liberare il bambino e il rimorso non l'abbandonerà nemmeno da adulta emigrata negli Stati Uniti. Una giornalista, sessant'anni dopo, darà voce alla sua testimonianza ritrovandosi a seguire le orme di quella ragazzina che potrebbero condurla a misteri che toccano direttamente la sua famiglia. Tratto dal romanzo di Tatiana DeRosnay è un film didascalico, lento e noioso a cui non giova nemmeno il montaggio alternato dei due periodi di narrazione per spezzare la monotonia ritmica e dare un pò di brio. Un'occasione persa se si pensa che la storia sarebbe stata interessante, forte e importante, commovente anche, ma la pellicola non ha lo stesso impatto del libro e l'indagine della giornalista Julio Jarmond appare fin troppo fragile e superficiale. Il ruolo di Julia ha creato non pochi grattacapi a Kristin Scott Thomas, attrice eccezionale senza dubbio, ma che in carriera ha fatto decisamente di meglio. Innegabile comunque come sia riuscita, all'interno di un'interpretazione non proprio da ricordare, a trovare gli sguardi giusti e un'intensità di non poco conto. Discreta la regia di Paquet-Brenner, bravo a passare nel territorio del giallo d'inchiesta e a far venire a galla eventi e segreti man mano che la storia procede. Film che non centra la propria attenzione sull'Olocausto ma sulle storie di destini incrociati e soprattutto sulla memoria e sulla sua importanza.
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