beatrice fiorentino
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giovedì 5 gennaio 2012
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sogni di celluloide
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Opera seconda della giovane cineasta francese Mia Hansen Love, Il padre dei miei figli porta in sé la freschezza di un’opera prima.
Premiato al festival di Cannes del 2009 nella sezione Un Certain Regard, il film narra le ultime vicende di Gregoir Canvel (egregiamente interpretato da Louis-Do De Lencquesaing), personaggio ispirato a Humbert Balsan, produttore cinematografico morto suicida nel 2005 in seguito all’affondamento della propria casa di produzione.
E’ un uomo straordinario Gregoir, totalmente assorbito da una passione che si fonde con la vita (e con la morte). Realizza sogni di celluloide, regala finestre sul mondo e speranza a talentuosi e talvolta capricciosi registi.
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Opera seconda della giovane cineasta francese Mia Hansen Love, Il padre dei miei figli porta in sé la freschezza di un’opera prima.
Premiato al festival di Cannes del 2009 nella sezione Un Certain Regard, il film narra le ultime vicende di Gregoir Canvel (egregiamente interpretato da Louis-Do De Lencquesaing), personaggio ispirato a Humbert Balsan, produttore cinematografico morto suicida nel 2005 in seguito all’affondamento della propria casa di produzione.
E’ un uomo straordinario Gregoir, totalmente assorbito da una passione che si fonde con la vita (e con la morte). Realizza sogni di celluloide, regala finestre sul mondo e speranza a talentuosi e talvolta capricciosi registi. E’ una vita senza sosta la sua, alla continua ricerca della risoluzione dei problemi sui set e di finanziamenti da impiegare per portare a termine i “suoi” film. Generoso e idealista al limite dell’incoscienza, Gregoir non abbandona il suo sogno fino all’ultimo, quando, ormai schiacciato da debiti insanabili, sceglie di darsi la morte.
Gregoir lascia così la moglie Sylvie e tre figlie che lo adorano, che lo hanno sempre sostenuto con pazienza accogliendo con gioia e con immenso amore i brevi momenti rubati al suo incessante mestiere. Momenti magici, che resteranno impressi per sempre nelle loro vite, così come gli insegnamenti e le passioni che renderanno sicuramente le sue bambine delle persone speciali. Certamente non è un compito facile essere la compagna di Gregoir Canvel ed è una vita senza distrazioni quella di Sylvie (Chiara Caselli), la vita di una donna forte e consapevole della natura e della missione del proprio compagno. Sarà questa consapevolezza a farle da guida dopo la scomparsa del marito. Sylvie farà ogni sforzo possibile per salvare la Moon Film dal fallimento, cercando di sanare i debiti della società con lucidità e affetto. Ma alla famiglia è riservato un futuro aperto a tutte le incognite che può riservare la vita. Que serà serà…
Il padre dei miei figli è un film ben diretto, ben pensato e privo di eccessi. Regia e montaggio accorti sono sostenuti dalle straordinarie e misurate interpretazioni di tutti gli attori.
La storia è narrata in due blocchi narrativi: la presenza di Gregoir, anche visiva, e l’assenza di Gregoir con il vuoto che ci lascia. La prima parte del film non ci dà respiro, viviamo e siamo Gregoir, con le sue telefonate, le sue sigarette sempre accese, i suoi spostamenti, i piani ravvicinati su di lui a coglierne l’essenza. Indaghiamo su Gregoir così come Truffaut indagava e insisteva sul suo Antoine Doinel. Dalla morte di Gregoir in poi, in un attimo, così come avviene quando la vita ci lascia, tocca alla moglie e alla figlia maggiore riempire la sua assenza nella vita e sullo schermo. Commovente e delicato, infatti, il percorso di crescita cui è costretta Clemence, adolescente che si trova di fronte al compito di dover diventare una donna quando ancora donna non è. Dovrà conoscere il padre, scoprirlo, comprenderlo in una fase della vita in cui è ancora tutto bianco o nero, infine accettare. E vivere.
Il padre dei miei figli è infatti un film che non indugia mai sulla morte. In un istante Gregoir scompare ma il suo lavoro, il suo amore, la sua bellezza continueranno a vivere attraverso i suoi film, i suoi figli, la sua famiglia.
Quanti figli ha cresciuto Gregoir. I figli della Moon Film, la casa di produzione di un uomo che amava il cinema più del profitto. Il padre che avrebbe dovuto produrre anche il primo film della stessa Hansen Love e cui la regista ha voluto rendere questo affettuoso e delicato omaggio.
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ipno74
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lunedì 27 giugno 2011
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un povero produttore
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Il film narra di un produttore che ormai non riesce più a far guadagnare la sua casa di produzione.
Ma la storia più bella è l'impatto psicologico che ha la sua famiglia.
Il film scorre bene e la regia è fluida.
La sceneggiatura è abbastanza originale, e ha dei tratti molto forti.
Gli attori sono bravi anche se poi la vera allegria o tristezza la trasmetto il trio di bambine che rendono vivo il film.
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silvianovelli
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martedì 7 dicembre 2010
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un ritratto del cinema indipendente
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"Il padre dei miei figli", vincitore del Premio Speciale della Giuria nella sezione Un certain Regard del Festival di Cannes, è un ritratto del mondo del cinema indipendente ed è ispirato alla storia di Humbert Balsan, uno dei pochi produttori che ha vissuto il cinema come una missione e che per questa causa è morto suicida nel 2005. La giovane regista Mia Hansen-Love aveva conosciuto Balsan un anno prima che si togliesse la vita. Balsan aveva deciso di produrre il suo film di esordio e dopo la tragedia del suicidio Mia, per testimoniare la personalità, il coraggio e l'amore per il cinema di quel produttore decide di girare "Il padre dei miei figli": il titolo fa riferimento infatti all'uomo che ha reso possibile i film della regista (e non solo i suoi).
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"Il padre dei miei figli", vincitore del Premio Speciale della Giuria nella sezione Un certain Regard del Festival di Cannes, è un ritratto del mondo del cinema indipendente ed è ispirato alla storia di Humbert Balsan, uno dei pochi produttori che ha vissuto il cinema come una missione e che per questa causa è morto suicida nel 2005. La giovane regista Mia Hansen-Love aveva conosciuto Balsan un anno prima che si togliesse la vita. Balsan aveva deciso di produrre il suo film di esordio e dopo la tragedia del suicidio Mia, per testimoniare la personalità, il coraggio e l'amore per il cinema di quel produttore decide di girare "Il padre dei miei figli": il titolo fa riferimento infatti all'uomo che ha reso possibile i film della regista (e non solo i suoi).
Nel film l'alter ego di Balsan è Grégoire Canvel (Louis-Do De Lencquesaing). Grégoire sembra avere tutto dalla vita: una donna che lo ama (Chiara Caselli), tre figlie, il lavoro di produttore a cui dedica tutto se stesso. E' un uomo carismatico e stimato, ha prodotto tanti film, anche rischiando. Adesso però la sua Moon Film è sull'orlo del fallimento. Lui resiste senza voler far pesare sugli altri queste difficoltà, ma il danno è irreparabile. Sceglie così di uscire di scena con un gesto estremo e senza dare spiegazioni.
Dal punto di vista formale questo film mi ha fatto pensare a "Somewhere" per lo stile rarefatto e didascalico e l'assenza di un vero e proprio sviluppo drammatico della sceneggiatura, nonostante la tragica vicenda del protagonista. Tutto scorre senza scossoni nè picchi emotivi, con la giusta lentezza dei film francesi ma senza noia. E' interessante il contrasto tra il protagonismo assoluto di Grégoire nella prima ora di film e la sua assenza nella seconda parte del film, in cui il testimone passa alla moglie, che decide di portare avanti stoicamente il lavoro del marito, e poi alla figlia maggiore. La morte del protagonista è posta al centro del film, anzichè alla fine, proprio per esprimere un'idea di continuazione, anzichè di arresto, una volontà assoluta di andare avanti da parte della famiglia. Manca una sceneggiatura forte nel film, che non è certo un capolavoro, tuttavia ci sono alcuni spunti interessanti, soprattutto per chi è incuriosito dai meccanismi interni del cinema. Da vedere per giudicare (se riuscite a trovarlo ancora in qualche sala!).
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mercoledì 8 settembre 2010
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una piccola grande tragedia
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Gregoire (Luis-Do de Lencquesaing), produttore parigino titolare della piccola casa cinematografica Moon Films, è travolto dai debiti ed il fallimento incombente lo induce a togliersi la vita. Gettate nello sconforto, la moglie Sylvia (Chiara Caselli) cerca di risollevare le sorti della società, mentre la figlia adolescente Clemence (Alice de Lancquesaing, la migliore del cast) si appassiona al cinema d'autore, scopre l'esistenza di un fratellastro di cui era all'oscuro, esce con uno sceneggiatore in erba conosciuto per caso, si prende cura delle sorelline. Finirà, con loro e con la madre, per lasciare Parigi.
La giovane e promettente Mia Hansen-Love si ispira alla storia vera di Humbert Balsan, conosciuto personalmente, per girare un film intimista che racconta una piccola grande tragedia, l'angoscia di chi non ce l'ha fatta, la solitudine impotente di chi è rimasto.
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Gregoire (Luis-Do de Lencquesaing), produttore parigino titolare della piccola casa cinematografica Moon Films, è travolto dai debiti ed il fallimento incombente lo induce a togliersi la vita. Gettate nello sconforto, la moglie Sylvia (Chiara Caselli) cerca di risollevare le sorti della società, mentre la figlia adolescente Clemence (Alice de Lancquesaing, la migliore del cast) si appassiona al cinema d'autore, scopre l'esistenza di un fratellastro di cui era all'oscuro, esce con uno sceneggiatore in erba conosciuto per caso, si prende cura delle sorelline. Finirà, con loro e con la madre, per lasciare Parigi.
La giovane e promettente Mia Hansen-Love si ispira alla storia vera di Humbert Balsan, conosciuto personalmente, per girare un film intimista che racconta una piccola grande tragedia, l'angoscia di chi non ce l'ha fatta, la solitudine impotente di chi è rimasto. Per metà il protagonista è Gregoire: uomo dinamico, intraprendente, forse leggero, spinto dall'entusiasmo e l'amore per il cinema verso un baratro senza via di scampo. Poi il film si fa corale, si riempie dei tentativi di colmare il vuoto interiore lasciato da un gesto tanto disperato che spingono Sylvia e la figlia Clemence ad introdursi sommessamente nel mondo che era di Gregoire, per capirlo, per ricordarlo, per "farlo rivivere" attraverso di loro. Questa malinconia ineffabile, questo male di vivere è rappresentato con grande pacatezza di toni, ma se il pudore delle emozioni e dei sentimenti è una dote che solitamente apprezziamo, la distanza a volte è sinonimo di freddezza ed è proprio questa la sensazione che talvolta lascia un film che mostra l'odissea di un uomo senza però farla sentire fino in fondo, che descrive lo smarrimento dei suoi cari senza però lasciarne le tracce sulla pelle dello spettatore. E'l'unica annotazione ad un film che pure ha molto di buono, non ultima una regia accorta ed una fotografia pregevole.
Le terribili difficoltà a cui vanno incontro le piccole produzioni indipendenti sono denunciate come anticamera della scomparsa di un certo cinema, raffinato ed autoriale, schiacciato dalle regole inumane di un mercato che non sa comprenderlo e rispettarlo.
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angelo umana
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lunedì 5 luglio 2010
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piattume
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Piattume è la parola che + mi rimane in mente di qst. film, l'ha detta l'operatore del cinema dove l'ho visto, cinematografaro a sua volta: non sbagliava! Un film da "non ti curar di esso ma guarda e passa", ed è un peccato averlo guardato, tempo perso che non dà emozione, improbabile, improponibile, soprattutto la figura del papà che poi si spara; si sperava che da allora qualcosa succedesse ma ... piattume. Incredibile ciò che recava la locandina, "10 minuti di applausi alla regista a Cannes", forse saranno stati applausi registrati o di convenienza. Tolto qualche breve paesaggio (ma allora meglio farsi un viaggio) sembra un film-passerella o promozione per - forse - la bambina maggiore, che vedremo presto sugli schermi, c'è da scommetterci!
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minnie
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domenica 20 giugno 2010
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se la vita ti accascia
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Torno ora da aver visto a Bari, in un cinema che finalmente non fa intervalli né pubblicità, questo gioiello di film. Intanto come non innamorarsi del protagonista? Un attore che non dà in escandescenze, indossa sempre gemelli, è impeccabile e poi...si spara, gettando nell'angoscia noi, pubblico, e le sue deliziose figliolette. Poche volte ho visto riprendere dei bambini così come nella scena del teatrino familiare; poche volte ho visto un attore - che non conoscevo e che scopro con gioia - passare fisicamente dalla routine alla disperazione vera, pur senza scatenarsi in effettacci, scene madri...se si guardano le ultime sequenze, praticamente dopo che lui chiede di fare un pisolino, beh sembra che il quarantenne si trasformi in ottantenne e la fine sia inevitabile.
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Torno ora da aver visto a Bari, in un cinema che finalmente non fa intervalli né pubblicità, questo gioiello di film. Intanto come non innamorarsi del protagonista? Un attore che non dà in escandescenze, indossa sempre gemelli, è impeccabile e poi...si spara, gettando nell'angoscia noi, pubblico, e le sue deliziose figliolette. Poche volte ho visto riprendere dei bambini così come nella scena del teatrino familiare; poche volte ho visto un attore - che non conoscevo e che scopro con gioia - passare fisicamente dalla routine alla disperazione vera, pur senza scatenarsi in effettacci, scene madri...se si guardano le ultime sequenze, praticamente dopo che lui chiede di fare un pisolino, beh sembra che il quarantenne si trasformi in ottantenne e la fine sia inevitabile. A spazzare via ogni intento agiografico ci pensa la figlia grande, che per il padre stravede e la piccola obietta "Ma lui non ha pensato a noi": il dolore che lascia una morte, volontaria poi, è sempre straziante), con la scoperta del piccolo grande segreto di Grégoir, un figlio voluto solo dalla madre, come spiega un po' troppo sbrigativamente Silvia. Ecco, con un uomo così, con Gregoire colto, affascinante, elegante, una donna come Silvia vive un po' di luce riflessa per cui sembra sempre la mogliettina esigente, e la prima casa e la seconda casa e le vacanze e solo sul ponte ha un abbraccio per il suo uomo, e prima della morte non mette piede in ufficio, e all'inizio non sa nemmeno cosa dirgli di carino e chiede alle figlie che le suggeriscono, tenere loro sì, "digli che lo ami" e poi non si capisce bene perché sia andata a Londra (ecco qui c'è uno sbafo nella calibratissima sceneggiatura, perché Silvia non risulta lavorare né andare a Londra per la Moonfilm), quindi s'intravvedono delle crepe, un suicidio in fondo è sempre una denuncia, uno schiaffo per chi rimane...Colpo di genio finale: Doris Day, ovvero la felicità, la bionda incoscienza, che canta "Que sera sera": lei Doris finisce meglio nell'Uomo che sapeva troppo, laddove né lei né James Stewart avrebbero mai messo mano alla pistola se non per difendere il figlio rapito. Qui pure Gregoire è stato rapito da tanti doveri, incombenze e purtroppo non è bastata la sua apparente felicità e la sua bella famiglia a farlo restare nella "nostra vita". Per tutti coloro che hanno visto nel film di Luchetti una denuncia sociale...il malessere è interclassista come pure il benessere ed è difficile in ogni caso vivere. Brava regista! Incantevole anche la colonna sonora e il ritratto degli adolescenti, dalla figlia al regista in erba.
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ralphscott
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sabato 19 giugno 2010
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esecuzione diligente
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Mentre lo vedevo mi stupivo che il sonno non avesse il sopravvento. Intendiamoci,è ben fatto,ma manca di scene madri,levata quella del suicidio. Film tipicamente francese:come spesso succede,mettono in scena tutti i piccoli (e grandi,in questo caso) tribolii quotidiani. Dopo un giorno dalla visione,ricordavo poco di ciò che avevo visto (non mi capita spesso)
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