claudio esse
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venerdì 29 agosto 2008
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valentino:l'ultimo imperatore
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Un antico adagio che ha il sapore di verità eterna recita che una vita spesa per l’arte, è una vita ben spesa.
Perché l’arte non ha padroni, è essa stessa dominatrice delle infatuazioni altrui e pretende esattamente che ci si dedichi con la consapevole rassegnazione e devozione di una madre che cresce il proprio figlio, in attesa di orizzonti futuri da vivere assieme.
Valentino Garavani è artista; lo è nel momento stesso in cui si prendono le misure del suo lavoro, della sua ispirazione, della sua creatività, e del lascito ponderoso e poderoso che segna l’eredità meno corrotta e corruttibile del mondo della moda.
Caso raro, se non unico, dell’artista che si identifica con l’uomo che è, e viceversa, Valentino ha abdicato il suo trono dopo quarantacinque anni di successi inopinabili a livello professionale.
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Un antico adagio che ha il sapore di verità eterna recita che una vita spesa per l’arte, è una vita ben spesa.
Perché l’arte non ha padroni, è essa stessa dominatrice delle infatuazioni altrui e pretende esattamente che ci si dedichi con la consapevole rassegnazione e devozione di una madre che cresce il proprio figlio, in attesa di orizzonti futuri da vivere assieme.
Valentino Garavani è artista; lo è nel momento stesso in cui si prendono le misure del suo lavoro, della sua ispirazione, della sua creatività, e del lascito ponderoso e poderoso che segna l’eredità meno corrotta e corruttibile del mondo della moda.
Caso raro, se non unico, dell’artista che si identifica con l’uomo che è, e viceversa, Valentino ha abdicato il suo trono dopo quarantacinque anni di successi inopinabili a livello professionale.
Successi che hanno contribuito ad alimentare il mito di un dio vivente che si è immolato nel culto della bellezza come un nuovo Dioniso, senza gli eccessi dell’auto-distruttività, divenendo egli stesso icona e arte insieme, padrone, quindi, della propria vita che rinasce nell’arte del suo nome, di quella V che con classe e semplicità si tramanda sempiterna.
Valentino: L’Ultimo Imperatore; è dunque il titolo del bellissimo documentario sull’ultimo anno di attività che il giornalista di Vanity Fair Matt Tyrnauer ha tratto dalla frequentazione con lo stilista e il suo entourage di amici e confidenti, impiegati e sarte, perno inamovibile e riconosciuto di un successo planetario, che parte dai sogni coriacei di un ragazzino di Voghera che da Parigi a Roma ha saputo incantare e commuovere il mondo, farlo impazzire di gioia e crepare di invidia con classe, sobrietà e il fantasmagorico strascico di polvere di stelle che alimenta ogni storia votata alla divinizzazione.
È soprattutto una storia d’amore e complicità, amicizia e fedeltà che da quasi mezzo secolo lega due persone, Valentino e il compagno e imprenditore Giancarlo Giammetti, che vivono la propria grandiosità con l’umana consapevolezza di un quotidiano che elargisce sfide continue e passioni infiammate da grandi litigi e silenziose e dolcissime riappacificazioni.
E insegna che dietro quell’arte elitaria e sfavillante che è la creazione di un abito d’alta moda, c’è la genialità e la forza d’animo di chi non ama piegarsi alle ingerenze del mero commercio o alle logiche del portafoglio, perché dentro quell’arte, ci si vive, indossandola.
Viva a lungo l’ultimo imperatore Valentino, dunque, che si è ritirato da grande, quando ancora gli altri si divertono.
CLAUDIO SALVATI
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vincenzo carboni
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lunedì 17 gennaio 2011
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garavani e giammetti: lasciare la festa finchè...
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Credevo di vedere un film su di un genio creativo, un monumento all’ego di un artefice, ho visto –più sommessamente, e allo stesso tempo grandiosamente- la storia di un sodalizio, di un legame, e –insieme- di una morte. Giammetti ha il ruolo più importante in questo legame -e nella morte simbolica che seguirà- senza per questo essere un’ombra, come la cronista suggerisce nella domanda, in extremis corretta –bontà sua- in un “…seppur determinante”. Direi piuttosto che Giammetti organizza e circonda di un’aura di tenera protezione il genio incerto e capriccioso di Garavani, che procede questo per fiammate, al di fuori di ogni sospetto di necessità, in un mondo ideale, dove vivono le star, e la notte si sogna tutta la bellezza del mondo: “Da piccolo mi ricordo benissimo facevo finta di dormire…”.
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Credevo di vedere un film su di un genio creativo, un monumento all’ego di un artefice, ho visto –più sommessamente, e allo stesso tempo grandiosamente- la storia di un sodalizio, di un legame, e –insieme- di una morte. Giammetti ha il ruolo più importante in questo legame -e nella morte simbolica che seguirà- senza per questo essere un’ombra, come la cronista suggerisce nella domanda, in extremis corretta –bontà sua- in un “…seppur determinante”. Direi piuttosto che Giammetti organizza e circonda di un’aura di tenera protezione il genio incerto e capriccioso di Garavani, che procede questo per fiammate, al di fuori di ogni sospetto di necessità, in un mondo ideale, dove vivono le star, e la notte si sogna tutta la bellezza del mondo: “Da piccolo mi ricordo benissimo facevo finta di dormire…”.
Non vorrei scomodare un’altra genialità –quella di Freud-, e tirare fuori la vecchia storia sempre nuova di Eros e Thanatos. La pulsione di morte nell’uomo è qualcosa che non si scarica mai, e sappiamo che per una azienda che riesce ce ne sono almeno cento che muoiono, che non sono riuscite a creare legame. Di uomini così, di eroi nel senso ellenico della parola, aristocratico, non avremo mai bisogno abbastanza per lo standard che fissano e per il modello a cui spingono per mimesi. Si impara per imitazione, come per il mestiere di sarto, fin quì può esser facile. Ma come imparare ad amministrare una azienda (ecco la professione da inventare) senza saperlo già? Come dare seguito nelle cose alla terribile evidenza che tre più tre fa sei?
Giancarlo Giammetti, braccio destro del Maestro, ex compagno di vita, ex amministratore delegato (ho detto bene?) del gruppo che porta il nome "Valentino" è un genio, ma della qualità -appunto geniale- del genius loci romano. Nel 2002 vende il marchio alla Marzotto con queste parole: "Cercavo qualcuno che mi aiutasse a gestire l'azienda con me. L'azienda era diventata enorme. Pensavo di non essere abbastanza bravo, o abbastanza ricco, o abbastanza intelligente". All'opposto di quello che comunemente si pensa, il genio (quello di Giammetti) opera attraverso una sottrazione di sè, crea legami, opera mediante il pensiero dell'altro, assume su di sè l’estenuante compito di simbolizzare un Reale che non si lascia dire dalle parole, ma sempre sfugge.
“Valentino torna a raccontarci una bella storia. È come leggere un romanzo capitolo dopo capitolo. Vogliamo che finisca bene” dice Giammetti. È finita bene come ogni cosa che finisce, cioè con la morte, ma una morte simbolica, tale da imprimere sulle sue carni il marchio dell’umano, appunto del simbolico. Il ritiro dalle scene nel 2007 in occasione delle celebrazioni all’Ara Pacis è un atto estremo di vitalità, e –aggiungo- sorprendentemente fuori moda, oggi che ogni essere è un essere di scena, e non si priva della scena questa stessa intesa come forma di necrofilo godimento, proprio nel rimanere aggrappato alla cima di una vita, all’ebbrezza di una passerella. Ancora Freud: godere è rinnegare il proprio desiderio, che in estremo è desiderio di morte, di ritorno all’inorganico.
Quei vestiti sospesi all’Ara Pacis come tanti corpi senza vita, non saranno più indossati da donne, divengono pure astrazioni. A guardare i volti dei manichini dorati a guardare in alto, sembra di assistere all’ascensione in cielo del corpo senza vita di un Cristo che ha finito la sua mission nel mondo, lasciando a Cesare quel che è di Cesare, ossia il fasciame del corpo, e facendo salire a dio la propria arresa ma trionfante volontà.
L’importante -scriveva Marcello Marchesi- è che la morte ci trovi vivi, quindi ancora parlanti, in grado di parlare proprio con ciò che non è possibile essere detto. Giammetti c’è riuscito. Ecco l’opera di Giammetti, solo sua, per sè e per Garavani: far morire una parte di sè, per dire con Dylan Thomas che la morte non avrà dominio; fargli trovare pace: ecco il desiderio, impossibile come ogni desiderio. La morte se mai arriverà, quando arriverà, troverà –Flaiano dixit- questi due uomini orgogliosamente in piedi perchè sè la morte non ha dominio, anche l’uomo, la vita, non ne ha.
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