La guerra di Charlie Wilson |
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Un film di Mike Nichols.
Con Tom Hanks, Philip Seymour Hoffman, Julia Roberts, Amy Adams.
continua»
Titolo originale Charlie Wilson's War.
Drammatico,
durata 97 min.
- USA 2007.
- Universal Pictures
uscita venerdì 8 febbraio 2008.
MYMONETRO
La guerra di Charlie Wilson
valutazione media:
3,31
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Sempre godibiledi johngarfieldFeedback: 1350 | altri commenti e recensioni di johngarfield |
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giovedì 31 ottobre 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un tema fondamentale nella cinematografia di Nicholas Ray è quello del conflitto letale fra un individuo in difficoltà e la società ostile. Non è una posizione del tutto originale. Anthony Mann lo segue da vicino, così come, in parte Tom Gries (Costretto ad uccidere (WILL PENNY)(1968) ed altri. In Mann quest’opposizione è di solito tra individui, di cui uno segue tranquillamente le regole e non intende sfidarle e mettersi in pericolo, mentre l’altro (o gli altri) è un accidente, una scheggia sbagliata di una società che, tutto sommato, difende coloro che vivono secondo le regole. La posizione di Ray, invece, è molto più pessimista e vede nella società qualcosa di essenzialmente ingiusto, prontissimo nel condannare e assai meno a “capire”, giustificare. Per Ray, il personaggio preferito è il giovane, magari fragile, colpevole di essere cresciuto in ambienti disagiati, senza la protezione sociale rappresentata da centri di aggregazione positiva (scuola, oratorio, organizzazioni giovanili, famiglia) e quindi facilmente in balìa delle tentazioni facili e proibite. Pensiamo, per esemplificare, a pellicole come La donna del bandito (THEY LIVE BY NIGHT)(1948), Gioventù bruciata (REBEL WITHOUT A CAUSE)(1955), All’ombra del patibolo (RUN FOR COVER)(1956) e, ma ce ne sono altre, questa. Il film in questione è quanto di più Rayano ci possa essere. Ci troviamo di fronte a un ragazzo di aspetto piacevole, fragile ed eccessivo, come tutte le persone di carattere debole. Nasce e cresce nei bassifondi di San Francisco, in uno dei peggiori quartieri di tutto il Paese, luogo ideale di ruffiani, delinquenti e prostitute. La sua famiglia è disagiata, il padre è scomparso la madre inabile. A mandare avanti la baracca dovrebbe essere lui, il giovane Nick Romano (un buon John Derek); purtroppo, invece di trovare aiuto ed assistenza, trova solo chi lo induce al crimine. Un giovane avvocato, Andrew Morton (un grande Humphrey Bogart) lo ha difeso in diverse occasioni, ma stavolta Nick l’ha fatta grossa. E’ accusato di aver ucciso un poliziotto durante una rapina. Morton, sulle prime, si rifiuta di difenderlo, stanco dell‘inaffidabilità e delle bugie del giovane. Poi, alla fine, accetta, ma, nonostante i suoi sforzi, le prove sono contro di lui. Alla fine, Nick viene processato e condannato a morte. Il film è stato diretto nel 1949 ed è una delle sue prime prove. E’ possibile, però, con un po' di attenzione riconoscere quello che poi Ray sarebbe diventato e cioè un regista coraggioso, progressista, di idee liberali, ma ossessionato dall’idea della società ingiusta, diseducativa, spietata verso i deboli e riverente verso i forti, l’establishment con i suoi pilastri e cioè la scuola, la polizia, il potere politico e finanziario. E’ un film che considero tra i più interessanti di Ray, pur se riconosco che in questo film a basso budget, della Columbia, ci sono aspetti che contribuiscono a mortificare il potenziale esplosivo che ne è alla base: le limitazioni del budget, la frettolosità, la troppo facile giustificazione “sociale” del crimine. Però il merito di Ray è di essere riuscito ad ottenere da Bogart un’interpretazione misurata, controllata ma capace di suggerire nello spettatore una potenzialità, pur se in parte inespressa, che riesce a fuoruscire, pur se distillata, solo nell’arringa finale. In quest’arringa, modello di abilità retorica, da un lato, e di precisa accusa contro un certo tipo di società, c’è già quello che sarebbe diventato un grande regista. La sceneggiatura, di Daniel Taradash (Oscar per Da qui all’eternità (FROM HERE TO ETERNITY)(1954)e un ottimo lavoro registico per Al centro dell’uragano (STORM CENTER)(1956), gran bel film dimenticato) e di John Monks Jr. (ottimo il suo lavoro in Omertà (THE PEOPLE AGAINST O’HARA)(1951) di John Sturges (altro ottimo film dimenticato), è di gran livello e arricchisce indubbiamente le ambizioni limitate (colpa dei producer) del film. La condanna finale e, come detto, le limitazioni del budget non hanno sicuramente giovato al successo del film e, tantomeno nei teen-agers che a quell’epoca riempivano le sale. Questo film, a livello personale, mi ha sempre colpito ed è diventato uno dei miei preferiti. Una delle scene che meglio ricordo, a parte l’arringa, di per sé sufficiente a salvare il film, è quella in cui Morton e il giovane Romano sono ripresi dall’alto, senza che all’intorno non si veda alcunchè, come se la macchina da presa fosse l’occhio del giudice, seduto sulla sua poltrona e dal quale dipende la vita dell’accusato. “E adesso cosa ne sarà di Nick Romano?” chiede fra l’altro Morton, ormai rassegnato al verdetto di condanna. La sua è un’espressione quasi implorante, ma dignitosa, e nasconde tutta l’amarezza per non essere riuscito a salvare una vita che, pur se colpevole, poteva essere seguita con maggiore sensibilità e dedizione. La società è quella che è, ma lui, difensore aperto e di idee progressiste, capisce che anche per lui c’è un po' di condanna morale.
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