L'amante perduto

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Un film di Roberto Faenza. Con Juliet Aubrey, Ciarán Hinds, Stuart Bunce, Clara Bryant, Erick Vazquez.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 98 min. - Francia, Italia, Gran Bretagna 1999. Acquista »
   
   
   

Irene Bignardi

La Repubblica

Per una devota lettrice di Abraham B. Yehoshua (la "B." sta per Bully, attaccabrighe, come pare fosse da ragazzino lo scrittore) è difficile accogliere l'invito che Roberto Faenza rivolge attraverso le note di regia che accompagnano la presentazione alla stampa di L'amante perduto: e cioè che gli "piacerebbe tanto che un giorno si smettesse di fare troppi raffronti fra cinema e letteratura, un esercizio riduttivo e fuorviante per entrambi". Per molti versi ha ragione. Ma quell'"esercizio" è l'inevitabile risvolto che accompagna il tam tam aggiuntivo, l'aura di notorietà in più derivante dalla fama del romanzo dello scrittore - tanto più se si tratta di un autore molto speciale e molto amato come Abraham Yehoshua (che è pubblicato, per chi ancora fosse sfuggito al fascino dei suoi libri, quasi in toto da Einaudi, editore dei tre più belli, L'amante, Un divorzio tardivo e il suo complesso e affascinante capolavoro, Il signor Mani). Accogliamo dunque l'invito, limitandoci a precisare a puro titolo di cronaca che L'amante perduto tratto da l' Amante (quel "perduto" è stato reso necessario da un'assurda regola che impedisce i titoli identici, in questo caso un preesistente film ispirato a un romanzo di Marguerite Duras - e per fortuna che nel mondo dei libri questo non succede) sposta l'azione dai giorni successivi alla guerra del yom kippur al periodo dell'Intifada. E, soprattutto, che guarda al complesso nodo delle realtà e dei sentimenti raccontati dal romanzo con la speranza e la proposta di un ebreo laico della diaspora piuttosto che con il lucido pessimismo di un osservatore quotidiano e "autoctono" come Yehoshua. Asya, dunque, è una donna che si è chiusa in se stessa dopo la morte del suo bambino. Bella (è Juliet Aubrey, che con Faenza ha già lavorato in Jona che visse nel ventre della balena), silenziosa, intelligente, vive con il marito Adam (Ciaran Hinds), che gestisce un garage a Tel Aviv e la ama senza mai riuscire a spezzare la sua cornice di indifferenza, e sua figlia Dafi (Clara Bryant), un'adolescente inquieta e ribelle - ma in italiano l'hanno doppiata come una bambina petulante - che dorme poco e s'interroga continuamente sul rapporto tra i suoi genitori. Finché un bel giorno piove al garage su una vecchia Morris da riparare (quella della locandina del film) uno strano ragazzo, Gabriel (Stuart Bunce), venuto da Parigi per ricevere l'eredità della nonna Phyllida Law che è in coma. Tra Asya e Gabriel nasce un rapporto dai confini indefinibili (sono veramente amanti, come pensa Adam e come dice il titolo del film, o si tratta solo della tenerezza quasi materna di una donna per un ragazzo solo e un po' matto?). Fatto sta che Gabriel dopo un po', convocato per il servizio militare, scompare, precipitando Asya nel mutismo e Adam, protagonista di un amore più che comprensivo, nella generosa e assurda ricerca dell'"amante" della moglie. Mentre viene assunto al garage un ragazzino palestinese, fratello (ma nessuno lo sa) di un terrorista da poco ucciso durante un attentato, con cui Dafi intreccia la sua prima, vera e all'apparenza impossibile storia d'amore. Sulle orme di un piccolo e illustre drappello di registi italiani del passato - da Pontecorvo a Leone - Roberto Faenza ha quasi sempre preferito lavorare sull'altrove, fuori dai confini di casa, andando a cercare le sue storie, oltre che sui libri, sulla carta geografica delle idee e dei problemi. Il non piccolo merito di L'amante perduto è di portare al grande pubblico un paese (Israele) il cui cinema - e paesaggi, volti, quotidianità - circola poco e i cui problemi troviamo sulle pagine dei giornali di solito in occasione di eventi drammatici. Ma nonostante lo sfondo interessante e l'originalità della vicenda umana che racconta, il film è percorso da una strana mancanza di tensione e di passione, salvo che nei brevi minuti della storia d'amore dei due ragazzi, che è insieme la proposta e lo "scandalo" politico del film. Una parte di responsabilità ce l'ha Stuart Bunce, che interpretando Gabriel come uno squilibrato si rende poco simpatico e poco credibile come oggetto d'amore. Una parte la regia di Faenza, che eccede in pudore e in distacco, come se il regista avesse avuto paura dell'eccesso di romanzesco che c'è nella storia e avesse trattenuto la naturale emozione che ne derivava.
Da La Repubblica, 10 ottobre 1999

di Irene Bignardi, 10 ottobre 1999

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