Polvere di Napoli

 Un autore colto ed impegnato, Antonio Capuano, scrive una sceneggiatura non convenzionale con Paolo Sorrentino per raccontare una Napoli altra rispetto a quella folkloristica, che, nonostante tutto, perdura nell’immaginario collettivo, e realizza un film surreale e visionario prendendo le mosse da un famoso episodio dell’Oro di Napoli del 1954 di De Sica. Ne stravolge il senso, pur mimandone l’ambientazione nello storico palazzo Pandola, che si affaccia su Piazza del Gesù Nuovo, ed il tema della sfida a carte, al gioco della scopa, che diventa esiziale per il protagonista, Alan De Luca, trasformato, alla fine, da perdente, in prosciutto.
Visionati a fatica altri tre episodi, quello di due giovani, lei interpretata dalla bravissima Teresa Saponangelo, senza una casa propria e senza futuro che litigano per le strade di Pozzuoli, sul treno che porta a Napoli, sotto gli occhi divertiti e partecipi degli altri viaggiatori, per finire in una chiesa deserta dove si sposano da soli religiosamente riappacificandosi, quello della visita rubata agli scavi di Pompei mentre è in corso uno sciopero dei custodi, con Silvio Orlando nella parte di un napoletano argentino con giovane e provocante moglie al seguito, Lola Pagnani, ed un altro su un aspirante attore, il simpatico Giovanni Esposito, vittima di un ciarlatano che dalla tv promette di rendere divo chiunque si presenti alla sua agenzia in cambio di 300 mila lire ed improvvisatosi rapinatore di una vecchia, ribaltandosi i ruoli, diventa vittima delle sue perverse manie. [+]

 Un autore colto ed impegnato, Antonio Capuano, scrive una sceneggiatura non convenzionale con Paolo Sorrentino per raccontare una Napoli altra rispetto a quella folkloristica, che, nonostante tutto, perdura nell’immaginario collettivo, e realizza un film surreale e visionario prendendo le mosse da un famoso episodio dell’Oro di Napoli del 1954 di De Sica. Ne stravolge il senso, pur mimandone l’ambientazione nello storico palazzo Pandola, che si affaccia su Piazza del Gesù Nuovo, ed il tema della sfida a carte, al gioco della scopa, che diventa esiziale per il protagonista, Alan De Luca, trasformato, alla fine, da perdente, in prosciutto.
Visionati a fatica altri tre episodi, quello di due giovani, lei interpretata dalla bravissima Teresa Saponangelo, senza una casa propria e senza futuro che litigano per le strade di Pozzuoli, sul treno che porta a Napoli, sotto gli occhi divertiti e partecipi degli altri viaggiatori, per finire in una chiesa deserta dove si sposano da soli religiosamente riappacificandosi, quello della visita rubata agli scavi di Pompei mentre è in corso uno sciopero dei custodi, con Silvio Orlando nella parte di un napoletano argentino con giovane e provocante moglie al seguito, Lola Pagnani, ed un altro su un aspirante attore, il simpatico Giovanni Esposito, vittima di un ciarlatano che dalla tv promette di rendere divo chiunque si presenti alla sua agenzia in cambio di 300 mila lire ed improvvisatosi rapinatore di una vecchia, ribaltandosi i ruoli, diventa vittima delle sue perverse manie. Abbandonata l’impresa per noia progressiva e crescente, non ho guardato l’ultimo episodio e questo nonostante l’ottimo cast e gli intenti apprezzabili di Capuano che metaforicamente avvolge Napoli in una polvere onnipresente ed asfissiante che ne offusca l’artificiosa brillantezza, costruita da una certa conformistica narrazione, scoprendovi, al contempo, delle  rare gemme di naturale e semplice bellezza, come la sposa felice nell’episodio delle nozze.
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Se il grande De Sica ci ha mostrato l'Oro di Napoli, Capuano nel suo piccolo ce ne mostra la polvere. Fatta di tanti granelli composti da personaggi ora comici, ora tragici, ora grotteschi.
Una polvere comunque magica, di una città che stupisce e fa innamorare. Anche nelle piccole, semplici, vicende del quotidiano.