Clerks - Commessi

Irene Bignardi

Scoperta e successo dell’edizione 1994 del Sundance Film Festival, Clerks - Commessi, del ventitreenne Kevin Smith, che esce giusto un anno dopo in Italia, è un film che la dice lunga sull’America. Non solo per il microcosmo divertentissimo e assurdo che costruisce attorno al Quick Stop Grocery di Leonardo, New Jersey; non solo perché è un’atipica storia fortunata, quella di un film costato 27.575 dollari, poco più di quaranta milioni, e girato in venti giorni tra amici, in un bianco e nero da poveri, che approda al circuito internazionale con la benedizione di tutti; ma anche perché in America hanno evidentemente così paura delle parole e delle idee che il piccolo Clerks, con la sua corrosiva carica anarchica, il suo filosofare nero, la sua violenza verbale e umorale, ha avuto l’onore di spaventare i censori Usa, che lo hanno etichettato “R”, vietato cioè ai minori di diciassette anni.
Vero è che il film non ci risparmia nulla in termini verbali. Ma ci sarebbe da ridere, con quello che si vede e si sente in giro, se non fosse quasi lusinghiero per il film: ovviamente ne uccide più la lingua che l’immagine.
Datemi un punto di osservazione e vi racconterò il mondo, potrebbe essere il motto di questo piccolo film di grande divertimento. Il punto di osservazione è un minimarket con annesso negozio di video, dove in effetti il regista Kevin Smith ha a lungo lavorato, e che si trasforma nel palcoscenico di un piccolo dramma orchestrato sull’arco di una giornata di domenica. Dante (del cui malumore Brian O’Halloran dà una simpatica interpretazione) viene svegliato nel suo unico giorno libero perché deve so-stituire un collega. Si trova così in una mattina di domenica ad affrontare l’universo lunatico e balzano della periferia americana: filosofi da coffee-shop, moralisti da treno pendolare, ventenni troppo intelligenti per il lavoro deficiente che fanno, salutisti ossessivi, litigiosi professionisti, piccoli maniaci taccagni, fidanzate ed ex fiamme, spacciatori di mezza tacca (a proposito, il regista è, dei due che trafficano fuori dal negozio, quello che non parla mai).
Nel corso della giornata, Dante litiga con la sua ragazza sulle sue passate storie di sesso, affronta un feroce nemico dei fumatori, assiste alla morte fuori scena di un cliente, con relativa coda boccaccesca, becca una denuncia per aver venduto sigarette a una bambina di quattro anni, filosofeggia e polemizza con il suo amico del negozio accanto (Jeff Anderson), provocatore per vocazione e ultimo anarchico. L’azione, in Clerks, è tutta affidata alle parole (e la scommessa di tradurre i dialoghi, strettissimi e veloci, è stata vinta con successo da Giuseppe Manfridi) e si svolge tutta dentro e davanti il Quick Stop, salvo la piccola eccezione di una partita di hockey giocata su un tetto e una sortita per andare a un funerale. Kevin Smith ha un invidiabile orecchio per la commedia, per i suoi tempi, per la follia serpeggiante sotto la normalità, per le piccole ossessioni quotidiane, per le leggende metropolitane, per le frustrazioni giovanili, per le perversioni di una società dei consumi vista attraverso i suoi consumi più poveri. E il film è un piccolo gioiello dell’arte (cinematografica) di arrangiarsi: un Davide intelligente contro i Golia delle grandi produzioni. Speriamo che il successo non sciupi la vena di Kevin Smith, perché (forse) è nata una stella della commedia.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996