Rorret

Un film di Fulvio Wetzl. Con Massimo Venturiello, Lou Castel, Anna Galiena, Patrizia Punzo.
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Horror, durata 92 min. - Italia 1988. MYMONETRO Rorret * * 1/2 - - valutazione media: 2,67 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

autobiografia di un serial-killer cinefilo Valutaz Valutazione 4 stelle su cinque

di MONFARDINI ILARIA


Feedback: 100
martedì 19 marzo 2024

 Già il titolo è una genialata: Rorret, che letto al contrario dà Terror. Il regista Fulvio Wetzl ci introduce subito a quella che sarà la caratteristica principale di questa sua opera prima: l’ambiguità. Pare incredibile tutto quello che vediamo, in questo giallo/thriller classe 1987, e fino alla fine non si sa con certezza cosa sia reale e cosa sia invece finzione. Rorret è un film già diventato un piccolo cult, a causa della sua quasi introvabilità, sebbene nel 1988 sia uscito regolarmente nelle sale distribuito dalla Chance Film di Massimo Civilotti, dopo una prima proiezione avvenuta al Cineclub Labirinto di Roma, dove è stato girato. Co-prodotto dalla società Nuova Dimensione dello stesso Wetzl e da Rai1, è stato quindi mandato in onda sulle reti Rai almeno una decina di volte durante questi 36 anni. Vincitore di svariati premi (Prix CICAE ad Annecy cinéma italien, Premio Miglior Opera Prima e Miglior Protagonista al Festival di Salerno), era l’unico film italiano al Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel 1988, dove venne venduto alla New Yorker Film di Dan Talbot, che lo fece uscire anche nei cinema americani, a cominciare dal Forum One di New York gestito da David Byrne. Successivamente esce in VHS NTSC nella versione americana con sottotitoli.
Carlo trova lavora come proiezionista in un piccolo cinema, il Peeping Tom, il cui proprietario, Joseph Rorret, si rivela subito essere un tipo molto particolare: infatti non vuole mai essere visto dai suoi dipendenti, e comunica loro solo per telefono, ma la paga è buona e non sembrano esserci problemi di sorta, quindi Carlo accetta il lavoro e  le condizioni del suo capo, che però appaiono piuttosto strane ed inquietanti alla fidanzata Sara, che comincia a credere che Rorret nasconda col suo anonimato qualcosa di poco buono. Inoltre il cinema ha una particolarità: vi vengono proiettati solo film di paura, e l’eccentrico proprietario, che vive proprio dietro lo schermo, all’insaputa di tutti, passa il suo tempo a spiare attraverso i tendaggi le spettatrici in sala, per poi chiedere loro di uscire. Tuttavia le prescelte da Rorret dovranno ritenersi tutto tranne che fortunate …
Perché Rorret cerca di far vivere alle donne che attraggono la sua attenzione un percorso iniziatico di tipo traumatico nella Paura? La risposta a questa domanda verrà data alla fine del film, e sarà quanto mai suggestivo il metodo meta cinematografico e meta teatrale che Wetzl sceglie per svelare l’arcano. Quasi sempre dietro a personaggi così bizzarri e fuori dal comune c’è un qualche trauma infantile, ma quale sarà quello di Joseph Rorret? Dovremo cercare di capire cosa si nasconde dietro ai modi quasi impacciati di questo buffo ometto, vestito come Peter Lorre in M – Il Mostro di Düsseldorf, capolavoro di Fritz Lang del 1931, e lo faremo insieme alle donne che lui deciderà di portare nell’antro oscuro della paura, la segretaria Sheila, la pittrice Barbara e l’attrice teatrale Cecilia. Più che un giallo o un thriller tradizionale, Rorret può essere considerato un elegante noir con un interessante substrato intellettuale di tipo cinefilo, in quanto il regista, anche importante critico cinematografico, si diverte a rigirare di sua mano ed a proiettare sullo schermo del Peeping Tom sequenze de L’Altro Uomo (1951), Il delitto Perfetto (1954) e Psyco (1960) di Alfred Hitchcock, ed anche de L’Occhio che Uccide di Michael Powell (1960), il cui titolo originale è proprio Peeping Tom, che, per altro, è la definizione inglese del termine voyeur. Rorret ha un problema ancestrale con la paura, cerca di vincerlo a modo suo, ed apre un cinema dove si proiettano solo film horror chiamandolo Peeping Tom, dove lui fa ogni sera il guardone. Insomma, una struttura ad incastri che senza un minimo di cultura cinefila sarebbe impossibile apprezzare fino in fondo.
Rorret è meta cinema dentro a un cinema, come lo era stato solo due anni prima, anche se in maniera differente, Dèmoni di Lamberto Bava, ma è anche meta teatro che viene rappresentato su un palco dietro lo schermo cinematografico. È un’operazione davvero affascinante, che non può non colpire per la maestria con cui il regista, allora alle prime armi, la mette sapientemente in atto. C’è un enorme compiacimento dell’edificio cinema e della sala cinematografica in tutta la pellicola: il proprietario ama così tanto stare lì che vi costruisce la sua casa. Ma, sorpresa!, sopra il cinema c’è una vecchia chiesa sconsacrata, quindi significa che l’odierna sala un tempo era la cripta sottostante, ed infatti ha ancora gli affreschi dei santi alle pareti, nascosti da pesanti tendaggi (curiosità: l’ex Cineclub Labirinto era effettivamente ospitato nel sotterraneo dell’adiacente chiesa di san Gioacchino in Prati). Il Peeping Tom è “cripta, teatro, cinema e casa”, e tutti questi aspetti albergano anche nella personalità del nostro affascinante e controverso protagonista. Bisognerebbe scrivere un saggio su un’opera così complessa e stratificata, nata dalla mente dello stesso Wetzl e di Enzo Capua.
Joseph porta le ragazze con cui esce in luoghi che possano suscitare la loro paura, di cui lui sembra abbeverarsi. Emblematica la lunga sequenza girata al luna park dell’EUR a Roma, realmente allucinatoria, che immagino sarebbe stata molto coinvolgente anche oggigiorno realizzata in 3D, con Rorret e Sheila sulle montagne russe, dove lui sembra quasi svenire dal terrore. La parte successiva, girata all’interno della casa degli orrori, mi ha ricordato a tratti le atmosfere di un grande classico horror dell’epoca, il Tunnel dell’Orrore di Tobe Hooper del 1981.
Di notevole valore anche la colonna sonora, che contiene, tra gli altri, alcuni pezzi del compositore Ferruccio Busoni, mentre i titoli di coda scorrono sulle mote dell’Otello di Verdi cantato da Plácido Domingo. Certo, a tratti la visione rischia di arenarsi a causa dell’eccessiva lentezza dei ritmi e del buio che normalmente regna sovrano, ma bisogna andare a fondo, capire la metafisica introspezione di quest’opera, che riproduce in immagini lo stato d’animo del protagonista, come una sorta di viaggio all’interno della sua mente guasta, corrotta da qualcosa che non gli ha mai permesso di vivere una vita normale, come tutti gli altri.
Il cast è decisamente interessante ed all’altezza del difficile compito che Wetzl gli assegna. Nel ruolo di Rorret troviamo l’attore svedese Lou Castel, che esordisce in Italia negli Anni Sessanta diretto da grandi nomi come Luchino Visconti, Marco Bellocchio, Damiano Damiani, Liliana Cavani, Umberto Lenzi. Interprete giustissimo per la parte, Castel ci consegna un protagonista a metà tra l’inquietante ed il commiserevole, che ha dei tratti quasi autistici, eppure in grado, non si sa come, di suscitare le fantasie delle donne che incontra, che gli danno subito la più totale fiducia. L’attore recita in italiano con la sua cadenza, non è stato doppiato, e questo particolareggia ancora di più il suo personaggio. Altro fulcro maschile del film, nel ruolo di Carlo, è il salernitano Massimo Venturiello, accanto al quale troviamo l’attrice romana Enrica Rosso nel ruolo dell’inquieta ma perspicace fidanzata Sara. Una delle donne corteggiate, se così si può dire, da Rorret, la pittrice Barbara Liegi, è interpretata dalla brava Anna Galiena, che aveva esordito pochi anni prima, nel 1985, nel cult thriller di Carlo Vanzina Sotto il Vestito Niente, per poi continuare nel genere nel 1987, in Caramelle da uno Sconosciuto di Franco Ferrini, regista e storico sceneggiatore di Dario Argento. Barbara è una donna indipendente e forte, dalla personalità prorompente, ma proprio la sua eccessiva fiducia in se stessa la porterà a commettere più di un passo falso. Nel ruolo dell’attrice Cecilia troviamo la milanese Patrizia Punzo, al suo debutto nel cinema, con una lunga carriera in teatro ed in televisione, che al cinema lavorerà con nomi quali Silvio Soldini, Marco Bellocchio e Marco Tullio Giordana, ma che per noi horror dipendenti resterà sempre la mamma del motociclista Claudio nel capolavoro di Michele Soavi Dellamorte Dellamore (1994). Qui interpreta una donna introversa, fragile, che fa del teatro la sua essenza, e proprio per questo suo carattere, se vogliamo, affine al suo, Rorret stabilirà con lei un’intesa particolare, diversa che con tutte le precedenti. In alcuni cammei troviamo gli attori Pino Quartullo, Marco Giallini e Sebastiano Somma. Insomma, un cast di tutto rispetto per un’opera prima, che non poteva che segnarla in positivo.
In Rorret Wetzl porta all’estremo il connubio, quasi simbiotico, tra arte e vita che ogni regista dovrebbe vivere, ed è quindi una sorta di esperimento autobiografico, ovviamente declinato in chiave thriller. Rorret è un continuo corto circuito tra realtà e finzione, cinematografica e teatrale, che riesce bene a far crescere man mano la suspense, fino al finale che tiene letteralmente lo spettatore col fiato sospeso, mischiando elementi del gotico più puro (la cripta coi corpi nascosti) a flashback inquietanti della vita di Joseph (lui da piccolo) e di Cecilia (una rappresentazione dell’Otello shakespeariano finita in tragedia). L’opera prima di Wetzl è quindi un’elegia sulla Paura, quella che ci spinge a chiudersi al buio per vedere un film horror, della quale, una volta scopertala ed assaporatala, non possiamo più fare a meno: Joseph Rorret ama la paura, la corteggia nelle donne che sceglie dopo aver guardato le loro emozioni in sala, il suo desiderio per loro si nutre della loro paura, non gli interessano i sorrisi, le moine, parrebbe nemmeno il sesso, quello che lo eccita maggiormente è vedere il terrore nei loro occhi. Nel tormento interiore del suo protagonista, Wetzl pone la vertigine insondabile di chi si trova ad ammirare dentro il baratro della paura, che lo immobilizza ma lo affascina al tempo stesso, sempre con un piede sul precipizio, pur conoscendone bene i rischi, ma quasi ammaliato, ipnotizzato, dalla dolcezza del panico, del terrore. Alla fine del film tutte le barriere tra spettatore ed opera crollano, e resta solo il messaggio dell’Arte pura che si fa Vita, per una vita dedicata quasi esclusivamente alla rappresentazione, alla visione ed all’ammirazione di quell’arte stessa.
 

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