La dolce vita |
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Un film di Federico Fellini.
Con Marcello Mastroianni, Anita Ekberg, Anouk Aimée, Yvonne Furneaux.
continua»
Commedia,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 173 min.
- Italia, Francia 1960.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 7 ottobre 2024.
MYMONETRO
La dolce vita ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Un film profetico
di minnieFeedback: |
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martedì 1 settembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E’ straordinario come rivedere oggi questo film epocale, sia ancora un evento denso di significato. Come tutti i capolavori, La dolce vita è un film seminale: ci sono in esso i prodromi di tutto quello che avverrà dopo, e il riassunto di ciò che è stato prima. Film che viene ricordato giustamente anche per fotogrammi, la scena di Silvya, l’attrice svedese che chiama Marcello a seguirla nella fontana di Trevi, la tromba delle scale nell’appartamento del folle scrittore Steiner (folle solo nel tragico, imprevisto finale) - magistralmente interpretato da Alain Cuny - la scena dell’isterismo religioso sotto la pioggia che ricorda L’asso nella manica (e lì Marcello è Kirk Douglas) di Billy Wilder ma anche molti film di Rossellini, di cui Fellini può ben dirsi l’allievo più geniale, torna stranamente d’attualità proprio adesso. La scena iniziale infatti, con la grande carrellata della cinepresa dall’elicottero che trasporta un Cristo di legno, noi l’abbiamo vista due anni fa al telegiornale, ma certo: era l’elicottero che portava via papa Benedetto XVI dal Vaticano al volontario esilio di Castelgandolfo. E il giovanilismo del padre di Marcello (uno straordinario, elegantissimo Marcello Mastroianni, che nel film si chiama di cognome Rubini e sarà, anni dopo, proprio un autentico Rubini, Sergio, a interpretare Fellini da giovane), è lo stesso di tanti sessantenni d’oggi (a partire da Gep Gambardella de La grande bellezza)e il fenomeno dei paparazzi (il nome fu inventato allora, con la complicità di Flaiano, cosceneggiatore con Fellini), e le scazzottate in via Veneto, questo ormai è storia. Ma era agli albori l’insofferenza del maschio nella classica crisi dei 30 anni che di solito si risolve con il matrimonio nei confronti delle donne che amano troppo (una patologia di là da venire), come Emma magnificamente interpretata da Yvonne Furneaux a cui Marcello si ribella per abbracciare uno stile di vita più effimero e non a caso passando da giornalista a pubblicitario, naturale evoluzione della società dei consumi. E quante stragi in famiglia abbiamo visto? Famiglie normali, in cui a un certo punto quello che fino a ieri era un padre amorevole si trasforma in assassino dei suoi figli, come appunto Steiner, che Marcello ammirava e seguiva come un guru. Sarà che gli ha portato male la chiesa dove suonava l’organo; quella stessa chiesa di don Bosco al Tuscolano dove i Casamonica hanno recentemente dato spettacolo, così come la moglie di Steiner è nientemeno che la compianta Renée Longarini, a fianco di Enzo Tortora nella sfortunata tragedia di Portobello e della denuncia falsa nei confronti del conduttore televisivo. E quel suo ritorno a casa, ignara del dramma imminente, ci pare sinistramente profetico, anche qui. Ma del resto Fellini era un mago, si sentiva così ma mai si sarebbe pensato che lo fosse fino a tal punto, che un film talmente famoso fosse in fondo tanto consapevole delle sorti della stessa Italia che rappresentava e che anticipasse i tempi fino all’abisso. L’occhio della manta, scrutatore e distante come la natura infinita e distante, sembra poi come indicare il confronto costante con il pianeta (un po’ come i fenicotteri a Roma nel film di Sorrentino e il rinoceronte in “Prova d’orchestra”, sempre di fellini). Piero Gherardi ha avuto l’Oscar per i costumi e giustamente perché sono tutti molto eleganti in questa pellicola, primo fra tutti Marcello, ma sono fenomenali anche le sue scenografie e la fotografia. E un Oscar sarebbe spettato sicuramente anche a Nino Rota per le musiche indimenticabili e pure ad Anita Ekberg, mai più così fortemente eponima, un’attrice un film. Marcello è il prototipo di tutti i vitelloni, di tutti i perdigiorno di un’Italia in cui ormai anche il lavoro non è che un tentativo di guadagnarsi il pane senza alcuna certezza. Eh sì, il buon Federico aveva davvero capito tutto. E Sorrentino ha appreso la lezione.
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