Un'opera che immortala la decadenza di un uomo e di un'intera società. Da vedere all'interno dell'iniziativa i Grandi Classici del Cinema Polacco a Roma il 17 novembre alle 17. Ingresso gratuito.
GRANDI CLASSICI DEL CINEMA POLACCO - SCOPRI IL PROGRAMMA
di Giancarlo Zappoli
Il cappio è uno dei film selezionati per la seconda edizione dei “Grandi classici del cinema polacco” che si sta svolgendo a Roma a Palazzo delle Esposizioni e che andrà avanti fino al 17 novembre.
Del programma fanno parte otto titoli, tutti in versione restaurata che arrivano dagli Studi cinematografici WFDiF di Varsavia, al 75° anno della loro attività. Oltre a Cenere e diamanti che ha inaugura la rassegna, il ciclo è stato composto da Il cineamatore (1979) di Krzysztof Kieslowski, Colori mimetici (1976) di Krzysztof Zanussi, La terza parte della notte (1971) di Andzej Zulawski, La perla della corona (1971) di Kazimierz Kutz, Il treno della notte (1959) di Jerzy Kawalerowicz, Attori di provincia (1978) di Agnieszka Holland e appunto Il cappio (1957) di Wojciech Jerzy Has che sarà proiettato domenica 17 novembre alle 17.
La storia è quella di Kuba Kowalski, un artista alcolizzato che alle 8 del mattino riceve la sua fidanzata la quale gli ricorda che passerà a prenderlo alle 20 per accompagnarlo in una clinica in cui inizierà la terapia di disintossicazione. Da quel momento seguiamo l’evolversi della sua giornata.
Wojciech Has, che in precedenza era un documentarista, sceglie un testo ‘difficile’ per il suo esordio nel lungometraggio cosiddetto ‘di finzione’. Ma di finzione ce n’è così poca che il suo film non riceverà il visto per le proiezioni al di fuori dei confini. Non si vuole, da parte del Potere, che passi all’estero l’immagine di una Polonia in cui l’alcolismo è una piaga diffusa che si rivela come un chiaro sintomo di un malessere sociale ed esistenziale.
La regia di Has può sembrare oggi molto teatrale ma già la scelta di quel tipo di bianco e nero che lo avvicina al noir più classico ci prepara a vicende oscure che in questo caso non contemplano omicidi ma piuttosto una dissoluzione interiore. Has è abile nel fondere il privato con il contesto sociale che non lascia spazio alla speranza finendo con l’indicare la vodka come ineluttabile strumento di alienazione.