Titolo originale | Bulli e pupe |
Anno | 2018 |
Genere | Documentario musicale, Sociologico, |
Produzione | Italia |
Durata | 76 minuti |
Regia di | Steve Della Casa, Chiara Ronchini |
Attori | Claudio De Pasqualis, Elisa Turco Liveri, Rachele Minelli, Rocco Tedeschi, Matteo Ceci . |
Distribuzione | Cinecittà Luce |
MYmonetro | 3,02 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 26 novembre 2018
Biografia per immagini di un'Italia inedita in perenne trasformazione.
CONSIGLIATO SÌ
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Come sono cresciute le generazioni di italiani nate dopo la Seconda guerra? Che tipo di educazione, valoriale ed emotiva, e di approccio al mondo hanno ereditato e vissuto? I Cinquanta, decennio chiave della storia nazionale, sfilano in Bulli e pupe, studio complementare al precedente Nessuno ci può giudicare (sul fenomeno tutto anni Sessanta dei “musicarelli”, i film cuciti addosso ai protagonisti della canzone pop melodica, in Festa Mobile al Torino Film Festival nel 2016). Gli anni Cinquanta sono reimpaginati in un catalogo ben cadenzato ed eclettico di archivi pubblici e privati, alla ricerca di un punto di vista meno accademico e più vicino, diretto, alle fonti autentiche. In parallelo, grazie all’accesso all’archivio dei film della Titanus, sfila anche il filo rosso del cambiamento tutto interno al cinema tricolore, cioè il Neorealismo dai tratti drammatici dei maestri come Visconti e Rossellini che cede il passo al suo figlio cosiddetto “rosa”, collettore del benessere in graduale salita e dell’entusiasmo spensierato diffuso dai nuovi consumi mutuati dallo stile di vita statunitense.
Rispetto ad altre rielaborazioni di materiali preesistenti, il film di Della Casa e Ronchini (classe 1976, montatrice che viene da studi di antropologia culturale) ha il pregio il puntellare la rassegna con le voci degli intellettuali dell’epoca che seppero cogliere l’evoluzione dei costumi mentre avveniva sotto i loro occhi.
Goffredo Parise, Luciano Bianciardi, Silvio D’Amico, Pier Paolo Pasolini, Anna Maria Ortese, Ennio Flaiano, Alberto Moravia, Italo Calvino. Una trasformazione tutt’altro che lineare e priva di costi, non solo materiali, come ricorda il puntualmente citato Monologo di Eduardo De Filippo sulla natura sfuggevole dell’eppure celeberrimo piano Marshall o le parole di Bianciardi su una sorta di americanizzazione del territorio.
Un accurato lavoro di selezione e accostamento del girato (non solo Istituto Luce, ma anche AAMOD, Centro Sperimentale di Cinematografia, Superottimisti, gli statunitensi Nara e Prelinger). Al quale si assommano i contributi radiofonici del decennio, in forma di interventi di esperti ma soprattutto di interviste a scopo statistico e le voci, le effettive aspirazioni di chi era ragazzo in quella decade: tra conflitti intergenerazionali, legittime aspirazioni di emancipazione, consapevolezze, disagi, delusioni.
La musica dei liberatori – il boogie e il blues, oltre al rock – incoraggerebbero a sperare in un cambiamento, nella liberazione dai codici rigidi di classe e di genere. Quello slancio innovatore poi si spegnerà in maniera consistente nell’omologazione, nell’adattamento a un sistema conformista e più confortevole che intimamente rivoluzionario, forse anche a causa dell’eccessiva, traumatica, inconsapevole rapidità dei cambiamenti, come la transizione di massa dalla campagna e dal suo universo valoriale all’inurbamento nelle città del Nord.
Nel ricostruire le fasi di riorganizzazione del tempo libero attorno a inedite forme di lavoro automatizzato e di intrattenimento, gli autori esibiscono spesso un gusto per il ritrovamento della sequenza rara, poco vista o dimenticata, perché a volte più emblematica di qualsiasi trattato sociologico: la risata di scherno in I ragazzi dei Parioli di Sergio Corbucci che stigmatizza il permanente conflitto di classe, il gruppo che si accalca in un club in Il blues della domenica sera di Valerio Zurlini, il padre severo di Lazzarella di Carlo Ludovico Bragaglia che fa una scenata alla figlia liceale che salta la scuola per andare al cinema di mattina con un ragazzo più grande. In Festa mobile, fuori concorso, al Torino Film Festival 2018.