Anno | 1978 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Germania, Francia |
Durata | 114 minuti |
Regia di | Billy Wilder |
Attori | Mario Adorf, Marthe Keller, Henry Fonda, William Holden, José Ferrer, Michael York Hildegard Knef, Peter Capell, Hans Jaray, Gottfried John, Elma Karlowa, Frances Sternhagen, Ferdy Mayne, Stephen Collins, Jacques Maury, Arlene Francis, Panos Papadopoulos (II), Christoph Kunzer, Christine Mueller, Ellen Scwiers, Bob Cunnigham, Billy Kelly, Rex McGee. |
Tag | Da vedere 1978 |
MYmonetro | 3,40 su 2 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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CONSIGLIATO SÌ
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È la storia di una figlia che assume il nome, la fama e il ruolo della madre, la star Fedora, deturpata in viso. L'amore per un uomo (l'attore Michael York che interpreta se stesso nella pellicola) la porterà infine a ripudiare quella vita che le nega la propria reale identità.
Barry Detweiller, un produttore cinematografico, si reca sull'isola di Corfù nel tentativo di convincere una famosissima diva del passato, Fedora, a tornare a recitare in un film dopo molti anni di assenza da Hollywood; la donna, però, vive reclusa nella villa dell'anziana contessa Sobryanski e non può ricevere visite. Ma qual è il segreto della sua imperitura giovinezza, che nonostante il passare del tempo la fa apparire ancora così bella?
Nel 1950, il grande regista Billy Wilder scriveva un capitolo della storia del cinema con Viale del tramonto, l'indimenticabile capolavoro interpretato da Gloria Swanson e William Holden, che rappresentava (come mai nessuno aveva fatto prima) gli spettri nascosti dietro i miti del successo e della celebrità. A quasi trent'anni di distanza, nel 1978, Wilder ci ha raccontato una storia analoga con il penultimo film della sua lunga carriera, Fedora, tratto da un racconto di Tom Tryon sceneggiato da Wilder insieme al fedele collaboratore I.A.L. Diamond. Una pellicola contraddistinta da più di un'analogia con Viale del tramonto, del quale recupera numerose tematiche e suggestioni e con il quale ha in comune anche il medesimo protagonista, William Holden, che se nel 1950 prestava il volto all'ambizioso sceneggiatore Joe Gillis ora veste il ruolo del disilluso produttore Barry Detweiller.
L'incipit del film è già di per sé memorabile: una figura femminile, avvolta in un ampio mantello nero, si uccide lanciandosi sotto un treno in corsa, come nel finale di Anna Karenina. Si tratta di Fedora (Marthe Keller), mitica star dell'epoca d'oro di Hollywood, la cui esistenza è avvolta da un alone di mistero. Subito la voce narrante di Detweiller ci riporta indietro a due settimane prima (un meccanismo che riecheggia quello di Viale del tramonto), per illustrarci il suo viaggio a Corfù allo scopo di persuadere la matura attrice a tornare di nuovo sul set. Ed è proprio lei, Fedora, il fulcro del film: un personaggio ambiguo e sfuggente, ispirato in parte a Greta Garbo (un'altra "divina" che all'apice della popolarità abbandonò Hollywood per chiudersi in un volontario ritiro) ed in parte a quella Norma Desmond resa immortale dalla Swanson. Infatti, la prima metà del film si presenta come una mystery-story: perché la contessa Sobryanski (Hildegard Knef) e il dottor Vando (José Ferrer) fanno di tutto perché nessun estraneo si avvicini a Fedora? E come fa la diva, ormai alla soglia dei settant'anni, a mantenersi così giovane, come se per lei (quasi un moderno Dorian Gray) il tempo si fosse fermato?
Le risposte arriveranno solo nel secondo tempo, interamente costruito tramite una serie di flashback che ripercorrono la vita di Fedora e il suo rapporto con la figlia Antonia, vampirizzata da una madre incapace di separarsi dal proprio carattere di icona; in questo modo apprenderemo come Fedora, sfigurata da una sfortunata operazione chirurgica, abbia firmato una sorta di metaforico "patto col diavolo" pur di far perdurare la propria leggenda. Il tutto è circondato da un'atmosfera mortifera e decadente, che disegna un'inquietante parabola sull'ossessione di Hollywood per l'aspetto fisico e per la bellezza, e su come "l'immagine" finisca per prendere il sopravvento (perfino in senso letterale) sulla realtà e sull'identità di una persona. Al di là del tono ferocemente ironico e grottesco, Fedora è anche l'elegia di un regista settantenne per quella Hollywood "classica" che purtroppo non esiste più, e della quale Wilder arriva addirittura a celebrare le esequie attraverso il funerale di Fedora. Brevi camei di Henry Fonda e Michael York nei ruoli di se stessi: York è l'attore del quale la protagonista si innamora sul set, mentre Fonda è il presidente dell'Academy, che consegna a Fedora l'Oscar alla carriera.