Buried Secrets

Film 2009 | Drammatico 91 min.

Titolo originaleLes Secrets
Anno2009
GenereDrammatico
ProduzioneTunisia, Svizzera, Francia
Durata91 minuti
Regia diRaja Amari
AttoriHafsia Herzi, Sondos Belhassen, Wassila Dari, Rim El Benna, Dhaffer L'Abidine .
MYmonetro 2,93 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Raja Amari. Un film con Hafsia Herzi, Sondos Belhassen, Wassila Dari, Rim El Benna, Dhaffer L'Abidine. Titolo originale: Les Secrets. Genere Drammatico - Tunisia, Svizzera, Francia, 2009, durata 91 minuti. - MYmonetro 2,93 su 4 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 20 novembre 2012

Aicha, Radia e la loro madre vivono nascoste in un palazzo signorile deserto. Sono, però, costrette a uscire allo scoperto quando una coppia si trasferisce nella villa.

Consigliato sì!
2,93/5
MYMOVIES 2,00
CRITICA
PUBBLICO 3,86
CONSIGLIATO SÌ
Lo scontro fra tre generazioni di donne e due differenti classi sociali per una storia di emancipazione emblematica e cerebrale.
Recensione di Edoardo Becattini
Recensione di Edoardo Becattini

Nella campagna tunisina, tre donne di differente generazione vivono clandestinamente nello scantinato di una lussuosa tenuta dove lavoravano come domestiche. Si tratta di una madre e delle sue due figlie, cresciute con un'educazione molto rigida e inibite con la violenza a manifestare la propria femminilità. L'arrivo nella villa di una coppia di giovani benestanti desta la curiosità della figlia minora Aicha, che inizia a spiarli nelle loro attività quotidiane. Quando Aelma, la proprietaria, scopre il nascondiglio delle tre, madre e figlia maggiore la legano al letto, impedendole di fuggire. Da questa segregazione forzata nascerà un'amicizia fra l'emancipata Aelma e la curiosa Aicha e alcuni segreti sepolti di famiglia verranno riesumati... Già vincitrice del Torino Film Festival con Satin Rouge, l'autrice tunisina Raja Amari racconta ancora una volta il piacere della scoperta e del desiderio come forma di emancipazione. Ancora una volta l'uomo resta fuori campo, confinato nel quadro di una fotografia o ridotto all'essere solo testa non pensante capaci solo di tradire o di fornire prestazioni sessuali, e sono i rapporti apprensivi madre-figlia a permeare il racconto. Con Dowaha la sensualità del film precedente si fa più sottile e sotterranea e viene completamente messa da parte l'ironia, nel nome di una storia emblematica e celebrale sul retaggio della donna nella società islamica. Trattandosi di racconto al femminile e sul femminile, Amari traccia in due tempi e su due piani il suo discorso sul retaggio culturale. La prima parte del film è dedicata alla meticolosa descrizione della routine del trio familiare, i desideri sessuali repressi, il gioco di una femminilità da tenere occulta o da vivere come una colpa da espiare. Il contrasto con la coppia borghese e con il crescere dei pruriti di Aicha segna un secondo movimento che la regista tunisina disegna attraverso gli spazi. Le differenze di classe e di cultura sono anche una questione di spazi e di inquadrature: all'angusto scantinato delle tre donne e ai piani fissi che lo costruiscono in maniera frammentata, si contrappone lo spazio descritto dagli ampi movimenti di macchina nel lussuoso salotto della coppia borghese. Una differenza sottolineata anche dalla distanza che prende la macchina da presa nei confronti delle sue protagoniste, molto ravvicinati per le tre donne, quasi sempre in campo molto lungo per Aelma e il compagno. Lo stile cambia nel momento in cui il racconto le classi sociali si equiparano con il rapimento della donna. Da quel punto, la Amari si concentra sulla relazione di intimità fra Aelma e Aicha e il tema dell'incontro fra una sessualità libera e una sessualità inespressa degenera in un trattato di psicanalisi spicciola. La rarefazione delle sequenze e la letteralità di simboli e metafore appesantisce visibilmente la narrazione e la libertà di pensiero diventa gravosità cerebrale.

Sei d'accordo con Edoardo Becattini?
Lo scontro fra tre generazioni di donne e due differenti classi sociali per una storia di emancipazione emblematica e cerebrale.
Recensione di Edoardo Becattini
sabato 12 settembre 2009

Nella campagna tunisina, tre donne di differente generazione vivono clandestinamente nello scantinato di una lussuosa tenuta dove lavoravano come domestiche. Si tratta di una madre e delle sue due figlie, cresciute con un'educazione molto rigida e inibite con la violenza a manifestare la propria femminilità. L'arrivo nella villa di una coppia di giovani benestanti desta la curiosità della figlia minora Aicha, che inizia a spiarli nelle loro attività quotidiane. Quando Aelma, la proprietaria, scopre il nascondiglio delle tre, madre e figlia maggiore la legano al letto, impedendole di fuggire. Da questa segregazione forzata nascerà un'amicizia fra l'emancipata Aelma e la curiosa Aicha e alcuni segreti sepolti di famiglia verranno riesumati... Già vincitrice del Torino Film Festival con Satin Rouge, l'autrice tunisina Raja Amari racconta ancora una volta il piacere della scoperta e del desiderio come forma di emancipazione. Ancora una volta l'uomo resta fuori campo, confinato nel quadro di una fotografia o ridotto all'essere solo testa non pensante capaci solo di tradire o di fornire prestazioni sessuali, e sono i rapporti apprensivi madre-figlia a permeare il racconto. Con Dowaha la sensualità del film precedente si fa più sottile e sotterranea e viene completamente messa da parte l'ironia, nel nome di una storia emblematica e celebrale sul retaggio della donna nella società islamica. Trattandosi di racconto al femminile e sul femminile, Amari traccia in due tempi e su due piani il suo discorso sul retaggio culturale. La prima parte del film è dedicata alla meticolosa descrizione della routine del trio familiare, i desideri sessuali repressi, il gioco di una femminilità da tenere occulta o da vivere come una colpa da espiare. Il contrasto con la coppia borghese e con il crescere dei pruriti di Aicha segna un secondo movimento che la regista tunisina disegna attraverso gli spazi. Le differenze di classe e di cultura sono anche una questione di spazi e di inquadrature: all'angusto scantinato delle tre donne e ai piani fissi che lo costruiscono in maniera frammentata, si contrappone lo spazio descritto dagli ampi movimenti di macchina nel lussuoso salotto della coppia borghese. Una differenza sottolineata anche dalla distanza che prende la macchina da presa nei confronti delle sue protagoniste, molto ravvicinati per le tre donne, quasi sempre in campo molto lungo per Aelma e il compagno. Lo stile cambia nel momento in cui il racconto le classi sociali si equiparano con il rapimento della donna. Da quel punto, la Amari si concentra sulla relazione di intimità fra Aelma e Aicha e il tema dell'incontro fra una sessualità libera e una sessualità inespressa degenera in un trattato di psicanalisi spicciola. La rarefazione delle sequenze e la letteralità di simboli e metafore appesantisce visibilmente la narrazione e la libertà di pensiero diventa gravosità cerebrale.

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Una madre e le sue due figlie sono costrette a fare i conti con un passato misterioso che le obbliga a vivere nell'ombra.
a cura della redazione

Aicha, Radia e la loro madre vivono isolate dal mondo, negli alloggi sotterranei di servizio di un palazzo signorile deserto, dove una volta lavoravano come domestiche. L'equilibrio precario della loro vita quotidiana è sconvolta dall'arrivo di una giovane coppia, che si trasferisce nell'ala principale della residenza. Si crea, così, una bizzarra coabitazione tra la coppia e le tre donne, che decidono di non palesare la loro presenza ai nuovi e inaspettati vicini. Infatti, abbandonare il nascondiglio significherebbe dover rivelare segreti sepolti da anni. Ma Aicha, la figlia più giovane, è attratta dai nuovi arrivati...

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RECENSIONI DELLA CRITICA
Jacques Mandelbaum
Le Monde

Découverte en 2002 avec Satin rouge, la réalisatrice tunisienne Raja Amari avait connu quelques déboires dans son pays natal, liés à l'image de la femme tunisienne que renvoyait son film. Les Secrets ne devraient pas arranger son cas. Fidèle à une veine féministe du cinéma tunisien (notamment Les Silences du palais, de Moufida Tlatli, en 1994), la jeune réalisatrice renouvelle le genre en rompant avec [...] Vai alla recensione »

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