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Corpus Christi, un film che evoca fede e morale aprendo orizzonti grandi e diversi

Candidato all'Oscar 2020 come Miglior film straniero, il film del polacco Jan Komasa è ora al cinema.
di Pino Farinotti

Corpus Christi

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Bartosz Bielenia - Toro. Interpreta Daniel nel film di Jan Komasa Corpus Christi.
sabato 8 maggio 2021 - Focus

Che quelli dell’Academy abbiano rilevato in Corpus Christi, il film del polacco Jan Komasa, le qualità per nominarlo all’Oscar per le opere non in lingua inglese, è più che legittimo.

Altri premi, rilevanti, gli sono caduti a pioggia. Trattasi di titolo decisamente importante. Sono molte le prospettive da cui raccontare questo film, che contiene  indicazioni di portata decisiva in questa epoca dove tutto si sta trasformando. E occorre anche scegliere la modalità e la visione del racconto. In chiave di società, di cultura, di differenze o di mistica. Una sintesi di ciò che ho visto  mi porta a privilegiare la trascendenza. La “novella” sarebbe questa: in un momento di evoluzione, diciamo pure di crisi della fede e della Chiesa, Dio sceglie qualcuno utile nel contesto. Apostolo e discepolo sono parole grosse. I lemmi giusti possono essere testimone, o portavoce.

Il giovane Daniel vive in un riformatorio, non è un santo, tanti reati, non piccoli, non disdegna la cocaina, fa sesso... qua e là, la sua espressione è quasi solo turpiloquio.  Insomma è un “maledetto”. Ma qualcosa, “dentro” deve averla. Vorrebbe fare il prete ma è troppo compromesso. Ma non rinuncia e riesce a mentire. Si fa accettare in una comunità rimasta senza sacerdote e assume quel ruolo. Ed è come se fosse toccato dalla grazia. Le sue omelie incantano i fedeli. Sono parole nuove ma di radice antica, onesta: “Gesù, come faccio a imitarti, sei così puro e io sono così sporco con tutto quello che ti porto qui. Come posso agire nel tuo nome”.

Questa nuova novella, piena di forza e passione è il tentativo di rendere l’invisibile tramite il visibile. E Daniel provoca lo shock necessario.  

C’è davvero qualcosa di nuovo nella comunità e non sono solo parole. Il “prete” agisce con coraggio. C’è da seppellire un uomo, forse un assassino. La comunità non vorrebbe concedergli la terra consacrata. Daniel sorpassa tutti i pregiudizi e lo seppellisce al cimitero. Alla fine torna il prete titolare e lui torna... Daniel. Come prima o peggio di prima, nel suo ambiente. E qui ci starebbe un dibattito. Perché Dio lo ha usato e poi abbandonato? È un dibattito degli anni zero cristiani, riguarda Giuda, scelto da Gesù per il suo disegno. L’uomo viene designato per una missione eccezionale, poi torna “uomo”. E comunque, nel trascendente, vale sempre il mistero, e tu, umano, lo scioglierai.

Digressione. C’è un film, Dio ha bisogno degli uomini, di Jean Delannoy del 1950. È un precedente visibile. Le vicende si attraggono. Non c’è dubbio che Komasa abbia esplorato quell’opera. Una comunità di pescatori di una piccola isola della Francia rimane senza parroco. Il suo posto viene offerto al sagrestano Tommaso. Che dopo aver esitato si sente chiamato da Dio, prende molto sul serio il nuovo ruolo e porta una nuova mistica alla chiesa. Anche Tommaso deve sciogliere un nodo intricato. I fedeli si oppongono al funerale di un suicida. Così come Daniel, il “prete” vince quella battaglia. Davvero precise, le “coincidenze”. 

La religione cattolica è un elemento molto forte e radicato dell’identità polacca. La nazione è stretta fra la Germania protestante e la Russia ortodossa. La Chiesa ha dovuto confrontarsi e difendersi,  e assumere ruoli culturali e sociali maggiori, un aspetto consolidato durante il regime comunista e la Guerra  fredda. Quest’anima della Polonia ha prodotto un Wojtyla e un Walesa. Gente convinta, piena di forza, amata e seguita, che ha cambiato il mondo. La Chiesa svolge un ruolo attivo nella vita politica del paese e garantisce assistenza in ambito educativo e sanitario.  Tutto questo Corpus Christi lo ha toccato e rilevato, non con astrazioni, ma con parabole da interpretare, efficaci.

Io stesso posso portare una testimonianza diretta. Nel 2015 sono stato invitato a Varsavia, dal Comune e dalla Fiera del libro. Il mio romanzo "7 km da Gerusalemme” aveva vinto il “Premio Feniks”,  attribuito per la prima volta a uno scrittore non polacco. Sono stato ospite di alcuni dei luoghi istituzionali della città, presenti i canali nazionali della tv. In quelle occasioni ho davvero misurato il "sentimento" forte dei polacchi rispetto alla religione, che si riverbera su Corpus Christi.


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