Un'opera che omaggia il compositore di Va’ pensiero.
di Pino Farinotti
Elisabetta Sgarbi, titolare della Nave di Teseo, che è il mio editore, mi ha mandato il libro: Marco Morgan Castoldi, "Essere Morgan. La casa gialla". Una cena in Brera è stata l’occasione per conoscere Morgan, che non ha mai fatto parte del cartello delle mie predilezioni – è invece un prediletto delle mie figlie - ma ho dovuto ricredermi.
Premessa. Ho potuto rilevare, dal vivo, il carattere di questo artista straordinario, dal talento completo. Soprattutto mi ha sorpreso la sua cultura di base larga e profonda, e il suo metodo, unico e allarmante, di divulgarla. E poi naturalmente la musica: Morgan suona, bene, praticamente tutti gli strumenti. Non so quanti ce ne siano in giro come lui. Il libro, che riporta centinaia di immagini... onnicomprensive, diciamo così, è uno zibaldone e un contenitore che si fa sfogliare con sorpresa e piacere. Ed è opportuno un copia-incolla, uno stralcio della prefazione di Vittorio Sgarbi, che dopo aver citato le vite “difficili” di artisti come la Callas, D’Annunzio, Nureyev e Pasolini scrive: “Sarebbe stato giusto assistere quegli artisti da vivi...
Non ho avuto dubbi, così, quando, con grande disprezzo per il suo acuminato valore, Morgan è stato cacciato di casa e buttato sulla strada, lasciandosi alle spalle pianoforti, strumenti musicali, spartiti, carte, documenti d’archivio, disegni, poesie, proclami sui muri, che rendevano la casa di Monza come un santuario. Era giusto che io mi occupassi di una situazione così scandalosa e umiliante...
Un artista ha diritto al suo spazio prima mentale che fisico. Cosa resterebbe della biblioteca di Leopardi a Recanati, se per qualche ragione lo avessero cacciato di casa?”.
Dopo quella serata passata a Brera ho cominciato a ricevere, da parte di Morgan, su WhatsApp, poesie, pensieri, brani musicali. Tutta roba interessante certo, e una notte ecco arrivarmi un video, che ho passato più volte, una vera sorpresa “fuori dal coro”. E io non sono uno che si sorprende facilmente. Il protagonista: Giuseppe Verdi. Si parte dai filari che conducono alla casa di Busseto. Morgan rivela subito un montaggio visionario, con salti di immagini e di suoni da video arte, con una strumentazione che il regista (Morgan) sa gestire secondo il suo “metodo”. Arriva alla casa, viene accolto dagli inquilini, fra i quali, probabilmente qualche pronipote. Tira fuori da una sacca un ukulele, invita i presenti a cantare Va’ pensiero, ma quelli non sanno tutte le parole. Lui, sì, le sa. Poi comincia con le sue esternazioni extra. Ma c’è un filo conduttore che va colto, e allora Verdi diventa una delle opere di Morgan, con una logica. Alla fine la sostanza non può essere che la grandezza del nostro più grande musicista. Il racconto si dipana nei corridoi, nella sala da pranzo, nello studio, per sbucare in una sorprendente “morganata”: si passa dallo studio di Verdi a quello di Morgan. Certo, sono molto diversi, ma accorpati dai “trucchi” della video arte. Ma ho raccontato solo quella che si dice la punta dell’iceberg di quel filmato.
La notizia è questa: diventerà un film, integrato con un mio documentario su Giuseppe Verdi, meno visionario, più classico. “Così” ha detto Morgan “uniremo la mia cifra espressionista fuoriditesta, col tuo rigore e precisione nel racconto.” E dunque, è questa una notizia in anteprima. Ci sarà il film, con un bell’auspicio “morganatico”: “vinciamo il Leone d’oro a Venezia 2021”.
Ma chiudo con le parole finali dell’artista accompagnate dall’ukulele: “Alla Villa Verdi la vita è già stata scritta e sentita; la sua arte, come lui l’ha vissuta, è arrivata con pazienza dalla vita alla morte; è la gloria d’Italia; con pienezza assoluta pensata, vissuta, colta, cantata”.