
ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti
In questi giorni, nelle sale troviamo Il terzo uomo, un grande classico, di quelli che hanno "formato" il cinema. Il film è stato restaurato dalla cineteca di Bologna. Quando arriva un titolo del genere, sistematicamente, intervengo. L'ho fatto con Vogliamo vivere di Lubitsch, Les enfants du paradis di Carné, La grande illusione di Renoir, Il gattopardo di Visconti. E con altri di quella nobiltà. E ogni volta ero costretto a rilevare la differenza fra quel cinema e "questo". Certo un confronto... impietoso. Ribadisco dunque il concetto, forte, del titolo: queste opere ci permettono di rifarci la bocca. In questo senso voglio dare un dato: nell' edizione, in uscita, del 2016 del "Farinotti", ci sono oltre 500 titoli usciti nell'ultima stagione. A nessuno sono state attribuite le cinque stelle del grande film e a pochissimi le quattro dell'ottimo film. Il terzo uomo continua a valere "cinque". Il Terzo uomo è un coagulo di nomi grandissimi. Orson Welles è presente come attore ma è talmente incombente che molti finiscono addirittura per attribuirgli il film. Che è firmato da Carol Reed, inglese, che godrà di minore popolarità rispetto allo stesso Welles, o a giganti come Bergman, Ford, Hitchcock e Fellini, ma è un autore vero, gli appartengono titoli come E le stelle stanno a guardare, Trapezio, Il tormento e l'estasi, Oliver! Che gli diede l'Oscar. Ma non c'è dubbio che Welles e Reed si siano confrontati e che l'americano abbia dato ... buoni consigli. Il linguaggio trabocca di invenzioni: quelle luci e ombre a contrasto di provenienza espressionismo. E poi l'uso di inquadrature deformate dal grandangolo. Dunque una citazione per il direttore della fotografia, Robert Krasker, che ottenne l'Oscar. E poi quell'arpa: la composizione di Anton Karas, così orecchiabile e popolare, che sostiene tutto il film con energia, ma senza sopraffarlo. Lo scrittore: altro eroe, Graham Green che aveva scritto il racconto e firmò la sceneggiatura. Gli attori, Joseph Cotten, "wellessiano" fedelissimo, dai tempi di Quarto potere. E poi quella Vienna triste e nera del dopoguerra, rappresentata con estetica baroccheggiante. La storia: lo scrittore Martins (Cotten) arriva a Vienna per avere notizie del suo amico Lime (Welles), dato per morto. Ma è vivo e attivo, contrabbanda medicinali, ed è responsabile della morte di innocenti. Controllato da un ispettore (Trevor Howard) Lime-Welles riappare alla sua maniera, nell'ombra, trafitto la una lama di luce. Martins lo accusa, Lime gli risponde con una delle battute più famose del cinema.
«Il Italia, per trent'anni, sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi, carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori?... L'orologio a cucù.»
L'affermazione di Welles, a perfetto agio nei suoi ruoli da cattivo, è certo azzardata e personale, e non è neppure vera. Certo di film trattasi, dunque le licenze sono legittime, soprattutto se appartengono a quel magnifico anarchico geniale. Non sarà la verità ma è la battuta che, in buona parte, identifica il film e che lo fa ricordare. Dunque l'errore e l'iperbole ci stanno, sono servite allo scopo. Gli svizzeri si arrabbiarono, ma Welles non fu molto impressionato. Del resto la Svizzera qualcosa ha "fatto venir fuori", così, di getto dico Jean Jacques Rousseau e Le Corbusier. Il primo è un gigante che certo non sfigura rispetto ai due citati da Welles (che poi c'entravano poco coi Borgia, ma erano vicini ai Medici), il secondo è un architetto, che anche nell'epoca di Orson dettava le sue linee - "magnificamente anarchiche", sì alla Welles- al mondo.