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Cosa potrebbe unire un pederasta ad un bastardo? Cosa unisce Martin al suo mezzo fratello Benjamin? Forse quello che potrebbe rendere affine l'anima di un pederasta a quella di un autentico bastardo, è una sorta di natura selvaggia, che in entrambi in casi obbliga a cercare nei confronti dell'ambiente circostante (la cosiddetta società civile) quell'elemento di rottura (La Rupture di Yann Tiersen, brano con cui si apre il film e che accompagna i titoli di coda) attraverso il quale determinare sé stessi e radicarsi. Se però la pederastia (più comunemente detta, omosessualità) è riuscita a trovare nel seno della democrazia la possibilità di esprimersi liberamente e di emanciparsi da una condizione di emarginazione e/o oppressione, nel secondo caso, la colpa di un vero bastardo che si macchia dell'imperdonabile colpa di parricidio (o meglio, patricidio), sembra non avere altro sfogo che o la follia o la condanna penale. Conta poco che il padre in questione, il padre di Martin, sia un padre padrone che si mangia i suoi stessi figli. Martin uccide! Si arroga un diritto che non gli compete! E nell'atto di uccidere, diventa inadatto ad essere padre, inadatto alla vita. Lì dove nasce la vita, frutto dell'amore tra lui e Alice, si apre una voragine, entro la quale Martin rimane intrappolato. Bambino, ragazzo. Ma non padre! Non riesce ad andare avanti. Non riesce a vivere. Non è nella condizione di compiersi, perché si porta dentro un peso troppo grande. In questo senso la serie fortunata che contraddistingue il suo percorso nella prima parte del film, non fa altro che accentuare la crisi a cui sta per andare incontro. Un lavoro come modello, trovato per caso, diventa una miccia pronta a far esplodere la folle paura nei confronti del mondo che muove Martin. Il suo correre è iscritto nel mondo degli adulti, non in quello dei ragazzi come ne L'eau froide (primo film di una serata Fuori Orario di qualche anno fa), e per questo diventa una fuga! I suoi non sono errori, bensì colpe! Quindi è perfetto per fare il modello. Perché il suo dolore è soffocato e non sente nulla, come una tela bianca. "Apatico" come dice Benjamin. Privo di quegli strumenti ("gli occhi lucidi della mente, gli occhi fermi della fede", forse li chiamerebbe Sibilla Aleramo) che lo aiuterebbero a trasformare il proprio dolore in lutto (e attraverso l'elaborazione del lutto, a riabbracciare la vita). In questo senso, la forma non può essere sostanza. Perché per fare il modello forse basta che tu sia un robot ed abbia una bella faccia e i muscoli nei punti giusti, ma vivere è un'altra cosa. Ed è per questo che la vera protagonista del film è Alice! Le protagoniste di questo film sono Alice e le altre donne di questo piccolo gioiello, la madre naturale di Martin e la sua matrigna, che tutte insieme si costituiscono come quell'elemento di continuità e conservazione tra la vita dei morti e quella dei vivi. Alice può far crescere suo figlio dentro di lei solo avvicinandosi veramente al cuore di Martin. Ecco quindi come nel suo avvicinarsi alla famiglia di origine dell'uomo/bambino impaurito di cui è innamorata non ci sia nulla di convenzionale, bensì un profondo e viscerale bisogno. Il corpo della Binoche è sensualissimo, con forme perfette per scopare ed essere scopata, per amare, comprendere e far nascere la vita. Per amare la vita! Al contrario di Odine, sua sorella, un genio, morta a soli 11 anni. Mentre Juliette/Alice, segna sullo schermo, il trionfo della normalità!
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