Rapunzel - L'Intreccio della Torre

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Un film di Nathan Greno, Byron Howard. Con Ron Perlman, Jeffrey Tambor, Brad Garrett, M.C. Gainey, Paul F. Tompkins.
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Titolo originale Tangled. Animazione, Ratings: Kids, durata 94 min. - USA 2010. - Walt Disney uscita venerdì 26 novembre 2010. MYMONETRO Rapunzel - L'Intreccio della Torre * * * * - valutazione media: 4,10 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Capolavoro indiscutibile? Discutiamone! Valutazione 2 stelle su cinque

di il Brandani


Feedback: 1142 | altri commenti e recensioni di il Brandani
domenica 9 gennaio 2011

Una ragazza possiede l’enorme e prezioso potere di ringiovanire le persone e guarire le ferite. Tale potere è racchiuso nei suoi chilometrici capelli dorati ed è per questo tenuta prigioniera in cima a una torre da una donna malvagia che si finge sua madre e sfrutta il suo potere per rimanere sempre giovane. La lunghezza dei capelli della ragazza non è determinata da una eventuale attitudine hippie, ma dal fatto che, se venissero recisi, smetterebbero di possedere lo speciale dono. Ma la bella ragazza, che di nome fa Rapunzel, non sa di essere la principessa che 18 anni prima il re e la regina persero, rapita, per l’appunto, da colei che si finge sua madre. Il fatto che essa la chiami sempre “fiorellino” poi, non è un caso: Rapunzel ha infatti ereditato il suddetto potere magico da uno speciale fiore nato da una goccia di sole caduta sulla Terra. La megera voleva egoisticamente tenerlo per sé, ma quando la regina si ammalò gravemente proprio mentre era incinta di Rapunzel, il fiore, una volta trovato dalle guardie reali, servì per creare la pozione che la guarì. La bambina nacque così con il potere magico trasferito dal fiore alla sua chioma. Ma lei non sa nulla di tutto ciò.
E sarebbe stato bello se nemmeno il pubblico avesse saputo nulla almeno fino a metà film, per poi sorprenderlo con un colpo di scena totalmente inaspettato per una fiaba. Immaginatevi il personaggio dell’antagonista come una donna amorevole, eccessivamente affettuosa, a tratti smielata, che apparentemente agisce per il bene della figlia. Talmente ben delineato da convincere anche gli spettatori più sospettosi, per poi svelarsi a metà pellicola per ciò che realmente è, con tanto di spiegazione, questa volta quella vera, delle origini della fanciulla. Ebbene, tutto ciò nel cinquantesimo classico Disney non c’è.
In compenso abbiamo un prologo che spiega già tutto ciò che si avrebbe potuto invece scoprire pian piano e una sceneggiatura prevedibile che in alcuni momenti rasenta il ridicolo. Il soggetto era buono: si serve di interessanti espedienti mirati non ad addolcire la trama originale ma a rendere l’adattamento più autonomo. Le motivazioni della reclusione di Rapunzel e della lunghezza infinita dei suoi capelli sono solo due delle sostanziali differenze che permettono a questa rielaborazione di camminare dignitosamente a testa alta dinnanzi all’originale romanzo dei fratelli Grimm. Il problema fondamentale sta nello sviluppo della trama: troppo lineare rispetto alle vorticose curve della chioma dorata e troppo imprigionata nella torre dei cliché. Il soggetto potenzialmente molto efficace non viene sfruttato adeguatamente e così la vicenda si concentra esclusivamente nella missione di Rapunzel e nella sua storia d’amore con un furfante. I dialoghi non lasciano il segno, la caratterizzazione dei personaggi è canonica e non offre nulla di nuovo, le gag corporali a matrice slapstick sono scontate e ripetitive, inoltre si ha come l’impressione di sapere esattamente cosa succederà un secondo dopo. Alcuni hanno speso parole di gran lode per come viene mostrata la relazione tra Rapunzel e la matrigna: una sorta di rapporto Frollo/Quasimodo tradotto in rapporto madre/figlia, fondato quindi su un continuo sminuimento, su un finto affetto e sulla falsa premura del “fidati di me, là fuori è un brutto mondo”. “Il massimo del male ben mascherato dietro il massimo del bene” ho letto. Ipotizziamo che i retroscena della vicenda non siano stati mostrati a inizio film. Pensate seriamente che i bambini presenti in sala, visti i comportamenti della matrigna, avrebbero avuto qualche dubbio sulla sua malvagità e ambiguità? Credo che solo per Rapunzel non fosse ovvio che nascondeva qualcosa.
Non funzionano troppo bene neppure i personaggi secondari: troppo relegati nel ruolo di macchiette, il cavallo e il camaleonte, pur regalando gli unici momenti comici del film, purtroppo non trovano spazio per affermarsi. Complice sicuramente la mancanza della parola, i due non hanno profondità, non sono nemmeno personaggi secondari, sono di contorno, ben distanti da un Sebastian, da un Lumiére o da un Genio.
Del tutto assente inoltre, la canonica (e in passato vincente) struttura narrativa che consiste nell’iniziare dal micro per culminare nel macro. Aladdin che all’inizio è un semplice straccione, alla fine si ritrova a combattere contro un enorme serpente per salvare la principessa; Ariel che nelle prime scene è una sirena come tante, nel finale si ritrova a combattere insieme al suo amato umano contro una strega alta 10 metri; Belle che inizialmente è una semplice ragazza che ama leggere, nelle ultime scene si ritrova ad assistere alla lotta tra il pallone gonfiato del paese e una strana bestia sui tetti di un castello. La prima impressione che si avrebbe a vedere queste immagini affiancate è la perplessità su come sia possibile che gli eventi si dipanino fino a scaturire in simili, epici, scontri finali. Eppure in mezzo c’è un meraviglioso crescendo che rende possibile tutto ciò. In Rapunzel no. La situazione è pressappoco la stessa per tutta la durata del film fino alla fine, dove non vi è “gran finale” alcuno, caratteristica che contribuisce a rendere ancora più trascurato il già di per sé basso livello di intrattenimento.
Due parole di biasimo vanno inevitabilmente attribuite alla colonna sonora, qui più che mai efficace esempio del fatto che non c’è bisogno di dover sempre musicare tutto ad ogni costo, solo perché sei la Disney. Pare di sentire un Alan Menken in piena crisi creativa, distante anni luce dal genio delle colonne sonore di capolavori come La sirenetta, La bella e la bestia e Aladdin. Talmente senza idee che in taluni momenti rispolvera alcuni dei suoi giri armonici più famosi, e allora si scorge per un accordo la persona vivente con più premi Oscar in tasca (8 in tutto), ma per il resto sembra di ascoltare per tutto il film la stessa, identica, lagnosa canzone. L’eccessivo scimmiottamento di quelle che sono ormai scene famose della tradizione favolistica disneyana comporta la creazione di momenti di vero e proprio cattivo gusto, come la bellissima scena dei due innamorati sulla barca, in mezzo al lago, circondati dalle lanterne volanti (palese riferimento a La sirenetta), rovinata dagli stessi che si mettono a cantare esternando i propri sentimenti in una canzoncina melensa rotola-sentimento. Bastava un semplice gioco di sguardi e un crescendo di archi o (se proprio vuoi che qualcuno canti) una voce esterna o farli cantare mentalmente, per far sì che questa stupenda sequenza non scadesse irrimediabilmente nella farsa. Per non parlare della scena in cui Rapunzel si rende conto di essere la principessa perduta o di quella in cui stringendo il corpo semimorente del suo amato, riesce a curare la sua ferita mortale e a salvarlo, non vi dico come. Ho immaginato, seduta al mio fianco, Biancaneve in persona esclamare: “Non posso credere che nel 2010 ancora propiniate ai bambini simili pacchianate! Io sarò anche l’emblema di tutto ciò, ma sono nata nel ’37!”
Concludendo, non è vero che in questo film si vede come, a 4 anni dalla fusione Disney/Pixar, la seconda abbia cominciato finalmente ad influenzare la prima. L’impressione che emerge è che John Lasseter non metterebbe mai la faccia per progetti simili a questo, ma si concede blandamente il ruolo di produttore esecutivo. Tiene molto di più ai suoi film, quelli della Pixar, che infatti si ritagliano uno spazio proprio, autonomo dalla catalogazione “classico Disney”. Non vi è alcun “approccio moderno agli archetipi narrativi”, casomai abbiamo un film che vorrebbe parlare modernamente di principesse, cavalieri e magia, ma semplicemente non ci riesce.

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dragonia domenica 29 gennaio 2012
hai detto davvero bene! Valutazione 0 stelle su cinque
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29%

Finalmente, in questo mare di lodi e recensioni positive, ho trovato qualcuno che è d'accordo con me! Hai azzeccato ogni aspetto negativo del film, tranne che per un particolare: le canzoni di Alan Menken non ricopiano le melodie già scritte...non hanno proprio melodia!

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therao giovedì 13 marzo 2014
commento lucido
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Critica lucida e ben argomentata. Sono d'accordo soprattutto con quello che dici all'inizio: sarebbe stato bello se lo spettatore fosse stato tenuto un po' all'oscuro della vicenda; avrebbe reso la storia più interessante. Non dico togliere proprio tutto il prologo o non spiegare assolutamente nulla, ma almeno le macchinazioni della matrigna a metà film, quando assolda i due compari del belloccio per incastrarlo e riportare a casa la figliastra... scoprire la cosa più avanti avrebbe scosso qualcuno dal torpore.

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