Il profeta |
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Un film di Jacques Audiard.
Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi.
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Titolo originale Un prophète.
Drammatico,
durata 150 min.
- Francia, Italia 2009.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 19 marzo 2010.
MYMONETRO
Il profeta
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un romanzo di formazione...criminale.di El TroncoFeedback: 473 | altri commenti e recensioni di El Tronco |
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venerdì 7 maggio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“Il profeta” parte da una gelida critica al sistema carcerario, stando ben attento a non strizzare troppo l'occhio ai facili espedienti del genere, per raccontarci la storia della formazione del giovane Malik. E che formazione. Jacques Audiard vuole raccontare come, in gattabuia, al di là delle scuole comprensive interne, dove si lavora con quaderno e penna, la materia che meglio si apprende è quella criminale. In effetti, la vita del giovane detenuto si evolve a doppio binario: da una parte, sul binario “buono”, Malik impara l'alfabeto, conosce il significato dell'amicizia, saggia l'emozione del primo volo d'aereo; dall'altro, sul binario “cattivo”, Malik ha a che fare con traffici di sostanze stupefacenti, pistole, omicidi. Ed è proprio il secondo binario, come bene s'intuisce nella scena finale, ad avere la meglio, in un simile, subdolo, contesto. L'aspetto che più colpisce è probabilmente la lucida spietatezza con la quale i meccanismi malavitosi si svolgono. Lucidissima, perché Audiard, forse aiutato anche da conversazioni che si alternano in 3 lingue diverse e garantiscono una tenuta forte con la realtà, adotta quasi un approccio documentaristico all'argomento. Marsigliesi, regolamenti di conti, mandate di droga da Marbella: siamo di fronte a uno spaccato della criminalità odierna. Con, comunque, qualche concessione più cinematografica: le conversazioni con un fantasma in cella, le azzeccate rappresentazioni oniriche (quasi in stile surrealista), una sparatoria all'americana. Stesso discorso per quanto riguarda il montaggio: una ferrea linearità, fatta tra l'altro di bei primi piani, rotta a sprazzi da un intercalare più pulp. A ben vedere, l'unico vero rimprovero che si può muovere al regista, è quello di mischiare un po' troppo le carte del mazzo, nelle due ore e mezzo di film, correndo il rischio di disorientare lo spettatore. Un formato più smart, avrebbe reso i suoi significati (ancor) più diretti al cuore.
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