Rumore Bianco

Un film di Noah Baumbach. Con Adam Driver, Greta Gerwig, Raffey Cassidy, Alessandro Nivola.
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Titolo originale White Noise. Drammatico, durata 136 min. - USA 2022. uscita mercoledì 7 dicembre 2022. MYMONETRO Rumore Bianco * * * - - valutazione media: 3,17 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Caotico e caustico Noah Valutazione 2 stelle su cinque

di johnny1988


Feedback: 5224 | altri commenti e recensioni di johnny1988
sabato 31 dicembre 2022

 “Rumore bianco” è quell'effetto sonoro confuso e continuo di uno strumento artificiale che si sostituisce, per affinità, a uno naturale. Massimo esempio è il brusio prodotto dalle voci umane, in cui le parole non si distinguono. La fugacità delle parole, la globalizzazione del “verbo” e l'insignificanza del pensiero sono la matrice filosofica da cui parte Don DeLillo quando pubblica nel 1985, un anno prima di Chernobyl, il romanzo Rumore Bianco. Quest'anno Noah Baumbach, già famoso per Il Calamaro e la Balena e Lo Stravagante Mondo di Greenberg, trascrive il bestseller in un film omonimo, presentato al Festival di Venezia. 

 
La vita della famiglia Gladley, modello piccolo borghese del Midwest dei primi anni '80, è rutinaria, le fitte conversazioni, le commissioni e le attività accademiche di Jack descrivono le relazioni fra i parenti, senza che nessuna novità ne alteri gli equilibri. Finché un grave scontro fra un'autocisterna e un treno in corsa non provoca una nube tossica che si abbatte sulla città, fino a provocare il marasma generale. È questo evento particolare che scatena l'angoscia della morte sopita in Jack, che vagabonderà con la mente alla ricerca di una soluzione alla sua crisi esistenziale, che pare contagiare anche la moglie, che si offre a un fantomatico mr Gray come cavia per uno psicofarmaco sperimentale in cambio del suo corpo. 
 
“E se la morte fosse solo un suono? Lo senti di continuo, suono tutto intorno, uniforme e bianco” forse sono le parole più nitide su cui posare l'attenzione e il cuore pulsante di tutto il film.
 
Cervellotico e delirante, caustico e caotico, rumoroso e frenetico, sono le prime osservazioni a caldo che si possono fare durante e dopo la visione del film. Una lectio magistralis apre la pellicola sulla fenomenicità e la tragicità tutt'una della morte, spettacolarizzata da immagini di esplosioni e scontri automobilistici e dalla narrazione dei libri di Storia, splendidamente sintetizzata nelle parole del docente. Da qui in poi, si entra nel vaso di Pandora e si fluttua attraverso gli occhi di Jack, alla rinfusa ricerca di risposte a un incognito “senso” di non si sa bene cosa.
 
Noah Baumbach che ci aveva regalato una perfomance eccellente dello sgretolamento dei legami umani e della caducità dell'amore, senza velleitarismi, ci presenta questa volta un prodotto inclassificabile, sorprendente sotto l'aspetto estetico della messinscena – con continue citazioni a Bava, Hitchcock, Tarantino e vari altri maestri – ma ingarbugliato sul piano semantico, al limite della sopportazione. 
 
C'è da riconoscere una certa fedeltà allo spirito del romanzo di DeLillo, come sostengono i lettori e i critici, ma c'è anche da notare che la frenesia confusionaria del ritmo non si adeguano al tempo minimo necessario al pubblico di selezionare e “digerire” le molteplici e fugaci informazioni dei dialoghi fittissimi, cosa che invece non avviene con la lettura, dove ti prendi il tempo per rielaborare e prendere fiato. Il risultato è un ibrido fra il genio critico e un atteggiamento di difesa rispetto all'accettazione della “morte” (ineluttabile e che ci costringe a riconoscerci tutti come esseri uguali, senza distinzioni di ceto) che si traduce in questa convulsione iperattiva e di bisogno di parlare, anche di nulla, sia che siamo noi ad accavallarci in una qualunque chiacchiera a tavola (una tecnica molto alleniana di verosimiglianza drammaturgica), sia che sia un picchiatello profeta di strada. 
 
Peccato che, dopo tutta questa grande farcitura di contenuti, più o meno sottili, basti fare un passo indietro per accorgersi che non si è andati molto oltre il discorso post-modernista dell'associazione fra morte e consumismo globalizzato che Pasolini, Bergman, Woody Allen, i Fratelli Coen e tutti gli autori che hanno visto e attraversato l'ultimo mezzo secolo, hanno contribuito a descrivere, senza minor impegno di Baumbach. Anzi, forse con maggior leggerezza e lucidità ironica. 
 
Resta comunque godibile il confronto fra l'esistenza e la determinazione che questo picaresco Don Chisciotte contemporaneo cerca di avere. Insieme a un mondo, che altrettanto come lui, cerca di delegare la propria ansia esistenzialista ai miti, che siano trascendenti come Dio, o terreni come Elvis, o addirittura Hitler. Non avrà importanza né la domanda né la risposta. Alla fine, quello che più conta è ricordarsi, come dice Jack stesso, di andare a prendere il latte.

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