felicity
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martedì 15 agosto 2023
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religione, guerra, moralità, famiglia
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Suddiviso in tre atti, Rumore Bianco si dipana tra sequenze di pura azione, ricche di folla e perfettamente orchestrate da Baumbach in quello che è un inedito della sua regia per poi regalarci momenti di pura intimità e confidenze a cui la sua filmografia ci ha abituati. Visivamente ambizioso per poter contenere tutti i generi che attraversano il romanzo di DeLillo, il film, tra flaconcini di farmaci, stanze di motel, suore che non credono nel Paradiso, Elvis e minacciose nubi nere ondeggianti, affronta temi universali e senza tempo, attuali negli anni Ottanta come oggi. Religione, guerra, moralità, famiglia, amore, isteria di massa.
Un film che contiene al suo interno una moltitudine di temi e storie muovendosi tra dramma e thriller, satira e commedia.
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Suddiviso in tre atti, Rumore Bianco si dipana tra sequenze di pura azione, ricche di folla e perfettamente orchestrate da Baumbach in quello che è un inedito della sua regia per poi regalarci momenti di pura intimità e confidenze a cui la sua filmografia ci ha abituati. Visivamente ambizioso per poter contenere tutti i generi che attraversano il romanzo di DeLillo, il film, tra flaconcini di farmaci, stanze di motel, suore che non credono nel Paradiso, Elvis e minacciose nubi nere ondeggianti, affronta temi universali e senza tempo, attuali negli anni Ottanta come oggi. Religione, guerra, moralità, famiglia, amore, isteria di massa.
Un film che contiene al suo interno una moltitudine di temi e storie muovendosi tra dramma e thriller, satira e commedia. Moltitudine che si ritrova anche nella colonna sonora, ricchissima di sfumature sonore, e nel montaggio che gioca con immagini di repertorio e sequenze alternate.
Un concentrato di quello che è stata ed è la cultura americana dal dopoguerra ad oggi, ma anche una storia capace di trascendere il tempo e lo spazio. Una storia di vita e morte, la stessa che cerchiamo di allontanare il più possibile da noi.
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giuseppe marino - slowfilm
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venerdì 6 gennaio 2023
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un concentrato di sarcasmo e disillusione
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Rumore Bianco non parla dell’America, non degli anni ’80, e non è neanche una contorta o enigmatica speculazione, Rumore Bianco è pura paranoia e depressione. Il libro di DeLillo e il film di Baumbach sono un’immersione in nevrosi e paure universali e senza tempo, resa possibile dalla costruzione e il linguaggio di uno dei romanzi più significativi della letteratura contemporanea.
La scrittura di DeLillo è un concentrato di sarcasmo e disillusione, uno sguardo sull’essere umano che non giudica ma non lascia spazi di manovra, è l’osservazione di un’essenza di cui l’autore, prima di tutti, si fa carico e si riconosce “colpevole”.
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Rumore Bianco non parla dell’America, non degli anni ’80, e non è neanche una contorta o enigmatica speculazione, Rumore Bianco è pura paranoia e depressione. Il libro di DeLillo e il film di Baumbach sono un’immersione in nevrosi e paure universali e senza tempo, resa possibile dalla costruzione e il linguaggio di uno dei romanzi più significativi della letteratura contemporanea.
La scrittura di DeLillo è un concentrato di sarcasmo e disillusione, uno sguardo sull’essere umano che non giudica ma non lascia spazi di manovra, è l’osservazione di un’essenza di cui l’autore, prima di tutti, si fa carico e si riconosce “colpevole”. Il primo scopo della ricerca narrativa e lessicale dell’autore è quello di trovare una forma che possa mostrare sé stesso, la via più sincera, o almeno quella più praticabile, per scoprire l’assurdità collettiva.
Rumore Bianco è (era) uno di quei testi di cui piace dire come sia impossibile la trasposizione. Non perché racconti qualcosa di difficilmente visualizzabile, ma, credo, per il motivo opposto, perché troppo definito, troppo perfetto. DeLillo scrive e descrive minuziosamente dialoghi, personaggi, movimenti, immagini, dettagli, e questa completezza non lascia spazio a tutto quello che è enfatico, edulcorato, salvifico, inutilmente spettacolare. È comodo indicare Rumore Bianco come non rappresentabile perché rischia di rendere evidenti i limiti dell’abitudine dello spettatore, che sono, di conseguenza, i limiti che si impongono al cinema.
Rumore Bianco non ha una struttura consequenziale né fluida, non è in nessun modo rassicurante, specialmente nel suo ostinarsi a essere così normale, a denudare la realtà prendendo una famiglia a caso, una fra tante, e scoprendo da subito la solitudine, le paure più profonde e istintive, i goffi rituali autodifensivi che hanno effetti puramente esteriori.
Baumbach rispetta e rappresenta tutto questo. La sua regia, proseguendo quanto cominciato con Storia di un Matrimonio, si è fatta più cattiva, più espressiva, e porta su schermo tutto il falso distacco delle pagine, dove si può invece leggere un’autopsia autopraticata. E una moltitudine di paure individuali realizzano il caos della paura collettiva, mascherata da rituali consumistici, dalla voglia di apparire agli altri come una guida, e da quella ancora più forte di seguire chi sembra fornire dei desideri raggiungibili.
L’assurda lezione che vede intrecciarsi, nel balletto di due vanitosi professori, aneddoti su Hitler ed Elvis, la rasoiata, fin dal suono delle parole, di un “Evento Tossico Aereo” che rende visibile l’intimo smarrimento di ognuno, l’accogliente e anestetica idiozia del supermercato, le informazioni che riassumono stupidamente la vita di un individuo senza dare indicazioni su come migliorarla, la perfezione di una pillola, della sua levigatezza e della sua chimica, l’epilogo dai toni acidi e orrorifici, la paura della morte che corrisponde alla sua fascinazione. C’è tutto nel film di Baumbach, che come Cosmopolis, l’altro titolo recente tratto dagli scritti del newyorkese, offre una lettura preziosa e ossessiva delle ossessioni della contemporaneità.
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johnny1988
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sabato 31 dicembre 2022
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caotico e caustico noah
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“Rumore bianco” è quell'effetto sonoro confuso e continuo di uno strumento artificiale che si sostituisce, per affinità, a uno naturale. Massimo esempio è il brusio prodotto dalle voci umane, in cui le parole non si distinguono. La fugacità delle parole, la globalizzazione del “verbo” e l'insignificanza del pensiero sono la matrice filosofica da cui parte Don DeLillo quando pubblica nel 1985, un anno prima di Chernobyl, il romanzo Rumore Bianco. Quest'anno Noah Baumbach, già famoso per Il Calamaro e la Balena e Lo Stravagante Mondo di Greenberg, trascrive il bestseller in un film omonimo, presentato al Festival di Venezia.
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“Rumore bianco” è quell'effetto sonoro confuso e continuo di uno strumento artificiale che si sostituisce, per affinità, a uno naturale. Massimo esempio è il brusio prodotto dalle voci umane, in cui le parole non si distinguono. La fugacità delle parole, la globalizzazione del “verbo” e l'insignificanza del pensiero sono la matrice filosofica da cui parte Don DeLillo quando pubblica nel 1985, un anno prima di Chernobyl, il romanzo Rumore Bianco. Quest'anno Noah Baumbach, già famoso per Il Calamaro e la Balena e Lo Stravagante Mondo di Greenberg, trascrive il bestseller in un film omonimo, presentato al Festival di Venezia.
La vita della famiglia Gladley, modello piccolo borghese del Midwest dei primi anni '80, è rutinaria, le fitte conversazioni, le commissioni e le attività accademiche di Jack descrivono le relazioni fra i parenti, senza che nessuna novità ne alteri gli equilibri. Finché un grave scontro fra un'autocisterna e un treno in corsa non provoca una nube tossica che si abbatte sulla città, fino a provocare il marasma generale. È questo evento particolare che scatena l'angoscia della morte sopita in Jack, che vagabonderà con la mente alla ricerca di una soluzione alla sua crisi esistenziale, che pare contagiare anche la moglie, che si offre a un fantomatico mr Gray come cavia per uno psicofarmaco sperimentale in cambio del suo corpo.
“E se la morte fosse solo un suono? Lo senti di continuo, suono tutto intorno, uniforme e bianco” forse sono le parole più nitide su cui posare l'attenzione e il cuore pulsante di tutto il film.
Cervellotico e delirante, caustico e caotico, rumoroso e frenetico, sono le prime osservazioni a caldo che si possono fare durante e dopo la visione del film. Una lectio magistralis apre la pellicola sulla fenomenicità e la tragicità tutt'una della morte, spettacolarizzata da immagini di esplosioni e scontri automobilistici e dalla narrazione dei libri di Storia, splendidamente sintetizzata nelle parole del docente. Da qui in poi, si entra nel vaso di Pandora e si fluttua attraverso gli occhi di Jack, alla rinfusa ricerca di risposte a un incognito “senso” di non si sa bene cosa.
Noah Baumbach che ci aveva regalato una perfomance eccellente dello sgretolamento dei legami umani e della caducità dell'amore, senza velleitarismi, ci presenta questa volta un prodotto inclassificabile, sorprendente sotto l'aspetto estetico della messinscena – con continue citazioni a Bava, Hitchcock, Tarantino e vari altri maestri – ma ingarbugliato sul piano semantico, al limite della sopportazione.
C'è da riconoscere una certa fedeltà allo spirito del romanzo di DeLillo, come sostengono i lettori e i critici, ma c'è anche da notare che la frenesia confusionaria del ritmo non si adeguano al tempo minimo necessario al pubblico di selezionare e “digerire” le molteplici e fugaci informazioni dei dialoghi fittissimi, cosa che invece non avviene con la lettura, dove ti prendi il tempo per rielaborare e prendere fiato. Il risultato è un ibrido fra il genio critico e un atteggiamento di difesa rispetto all'accettazione della “morte” (ineluttabile e che ci costringe a riconoscerci tutti come esseri uguali, senza distinzioni di ceto) che si traduce in questa convulsione iperattiva e di bisogno di parlare, anche di nulla, sia che siamo noi ad accavallarci in una qualunque chiacchiera a tavola (una tecnica molto alleniana di verosimiglianza drammaturgica), sia che sia un picchiatello profeta di strada.
Peccato che, dopo tutta questa grande farcitura di contenuti, più o meno sottili, basti fare un passo indietro per accorgersi che non si è andati molto oltre il discorso post-modernista dell'associazione fra morte e consumismo globalizzato che Pasolini, Bergman, Woody Allen, i Fratelli Coen e tutti gli autori che hanno visto e attraversato l'ultimo mezzo secolo, hanno contribuito a descrivere, senza minor impegno di Baumbach. Anzi, forse con maggior leggerezza e lucidità ironica.
Resta comunque godibile il confronto fra l'esistenza e la determinazione che questo picaresco Don Chisciotte contemporaneo cerca di avere. Insieme a un mondo, che altrettanto come lui, cerca di delegare la propria ansia esistenzialista ai miti, che siano trascendenti come Dio, o terreni come Elvis, o addirittura Hitler. Non avrà importanza né la domanda né la risposta. Alla fine, quello che più conta è ricordarsi, come dice Jack stesso, di andare a prendere il latte.
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eugenio
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venerdì 30 dicembre 2022
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lo stordimento delle coscienze
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Mettiamo sulla bilancia, un Don DeLillo d’annata, tra i più significativi rappresentanti della middle-class americana e Noah Baumbach, regista caustico capace di alternare la commedia al dramma con facilità (vedasi Come riferimento, un romanzo cult, Rumore bianco, come attori “ingredienti” Adam Driver e Greta Gerwig. Il lievito è una presunta nube tossica con relativa evacuazione di una cittadina americana, apparentemente al solito idilliaca, con personaggi che trovano quasi idilliaca la loro quotidiana esistenza fatta di lezioni, uscite al supermercato come luogo di “luce”, consumistico Eden colmo di paranoie. La torta nasce con un’esplosione di sapori non meglio identificati, prima dolci con l’idillio familiare e qualche ombra all’orizzonte, e via via, più amari con la figura della triste mietitrice di cui il protagonista Jack Gladney, professore diventato noto come uno dei maggiori studiosi della figura di Hitler (sic talis), con tanto di figli (avuti dalle mogli precedenti), sente il mortal sospiro.
Sì, perché il pretesto della nube, è in realtà, una riflessione, mica tanto velata, del definitivo tramonto del sogno americano reaganiano che diventa incubo, come quelli che vive il protagonista dell’adattamento di Baumbach, lettore appassionato del libro fin dalla pubblicazione. Jack percepisce una disfatta alle spalle, da un po' di tempo sente appunto un pessimismo cosmico mica tanto leopardiano che gli fa intendere la vita come il distico ineluttabile di un prolungamento prossimo alla fine. Ma se l’inizio alla “Woody Allen” con tanto di sedute notturne con la moglie Babette (che tra l’altro assume psicofarmaci sconosciuti ad insaputa del marito) ad esorcizzar la meretrice discutendo di essa, può ingannare, è nello sviluppo della trama che Baumbach elabora e fa sue le ossessioni di una coppia giunta al guado della propria esistenza. E per riuscirci, il cineasta newyorkese non si risparmia perché la ricetta di cui sopra è insaporita, cautamente e con giusto equilibro con una decisa nota di grottesca ironia, figlia del paradosso di comportamenti assai poco critici dinanzi a una sciagura. Il pazzo mondo che Baumbach tratteggia ispirandosi al romanzo di DeLillo, un mondo radical chic sperduto, tormentato, fatto di profeti santoni, qualunquisti, ipnotizzati dal vagheggiato benessere, è il cuore di Rumore bianco. Un mondo completamente assuefatto ad abitudini, fatto di merce da comprare, desideri da realizzare, nel tentativo di tenere lontana la paura più grande di tutte: la morte appunto.
Appare come suono, uniforme, bianco che accumuna esistenze e rende contraddittorie le idiosincrasie della società americana oggi. Non facile come intento, lodevole come iniziativa, spiazzante e paradossale, esibizione di talento per l’assurdo fine a sé stesso come la mercificazione per un farmaco capace di alleviare la paura della morte. Forse qui il limite del film di Baumbach, un eccessivo citazionismo che tramite una famiglia, ahimè delineata non troppo in profondità, vuole rendere universale un messaggio apodittico, l’incapacità di sapersi porre con atteggiamento critico e razionale dinanzi alle incongruenze della vita. Che anche se amara va affrontata sempre, col giusto atteggiamento malgrado tutto remi contro di noi. Finale non consolatorio per due ore e quindici minuti di sana causticità nel segno di DeLillo.
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venerdì 30 dicembre 2022
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ringraziamento
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Son quasi commossa. Non leggevo una recensione così acuta utile, verbosa certo ( quanto basta per sbirciare un cicinin dietro le quinte) ma per per nulla saccente, da molto molto tempo. Non ti parli addosso sniffando l'odore delle tue parole. Argomenti in modo intelligente. Boh...mi andava di dirlo Grazie Marzia
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peer gynt
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giovedì 1 settembre 2022
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ossessionati dalla morte
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Appoggiandosi ad uno dei classici della letteratura postmoderna (il romanzo omonimo di Don De Lillo, uscito nel 1985), il regista Baumbach crea una commedia distopica, che vede i suoi personaggi nuotare affannosamente in una vita quotidiana apparentemente normale, in realtà dominata da catastrofi incombenti, da una disinformazione paranoica e da una tremebonda paura della morte (alla quale allude il "rumore bianco" del titolo). In certi momenti, soprattutto all'inizio, sembra di essere in uno dei film di Woody Allen, pieni anch'essi di personaggi che parlano continuamente della morte per esorcizzarla. Ma qui si ride meno e di un riso amaro, perché Baumbach non insegue la leggerezza di Allen ma la sapiente pesantezza di De Lillo.
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Appoggiandosi ad uno dei classici della letteratura postmoderna (il romanzo omonimo di Don De Lillo, uscito nel 1985), il regista Baumbach crea una commedia distopica, che vede i suoi personaggi nuotare affannosamente in una vita quotidiana apparentemente normale, in realtà dominata da catastrofi incombenti, da una disinformazione paranoica e da una tremebonda paura della morte (alla quale allude il "rumore bianco" del titolo). In certi momenti, soprattutto all'inizio, sembra di essere in uno dei film di Woody Allen, pieni anch'essi di personaggi che parlano continuamente della morte per esorcizzarla. Ma qui si ride meno e di un riso amaro, perché Baumbach non insegue la leggerezza di Allen ma la sapiente pesantezza di De Lillo. E per restare fedele al testo letterario delude lo spettatore, che magari si aspettava una commedia impegnata ma divertente, ma viene investito da una saturazione narrativa grottesca ed esagitata che inquieta, tormenta e che alla fine lascia insoddisfatti.
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