filippo catani
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domenica 9 febbraio 2014
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un uomo solo alla deriva
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Un uomo sta facendo un viaggio con la sua imbarcazione nell'Oceano Indiano. Dopo aver colpito parte di un container alla deriva, l'uomo non riuscirà più a riparare completamente la nave e, complice l'arrivo di una serie di tempeste, si ritroverà presto alla deriva.
Per assistere ad un film del genere bisogna partire premuniti e non prevenuti. I dialoghi sono praticamente inesistenti e la pellicola si basa completamente sul disperato tentativo del protagonista di riuscire a salvare la pelle. Per fare questo, l'uomo non lesina gli sforzi; ormai privo di qualsiasi apparecchiatura che gli permetta di segnalare la sua difficoltà e seguire una rotta, non si perde d'animo.
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Un uomo sta facendo un viaggio con la sua imbarcazione nell'Oceano Indiano. Dopo aver colpito parte di un container alla deriva, l'uomo non riuscirà più a riparare completamente la nave e, complice l'arrivo di una serie di tempeste, si ritroverà presto alla deriva.
Per assistere ad un film del genere bisogna partire premuniti e non prevenuti. I dialoghi sono praticamente inesistenti e la pellicola si basa completamente sul disperato tentativo del protagonista di riuscire a salvare la pelle. Per fare questo, l'uomo non lesina gli sforzi; ormai privo di qualsiasi apparecchiatura che gli permetta di segnalare la sua difficoltà e seguire una rotta, non si perde d'animo. Svuota la barca prima e il canotto poi con qualsiasi cosa abbia a disposizione e cerca di fare tutte le riparazioni possibili. Si ripete nel film la plurimillenaria storia che vede confrontarsi fin dall'alba dei tempi l'uomo privo di tecnologia con la Natura in questo caso decisamente matrigna. Se lo spettatore riesce ad immedesimarsi nel personaggio vedrà letteralmente crescere i battiti del proprio cuore e sarà partecipe della disperata impresa del naufrago che solo raramente si concede attimi di scoramento. Se è lecito fare un applauso al regista che ha avuto la capacità di realizzare un prodotto che può non essere di facile fruizione per il pubblico ma che ci regala una splendida colonna sonora e delle suggestive immagini sopra l'acqua ma soprattutto sott'acqua (c'è un momento in cui lo spettatore si sente letteralmente come se fosse pure lui sballottato sul canotto), non si può tacere la bravura di Redford che alla sua venerabile età regge completamente da solo un'ora e quaranta di film. Il tutto dicendo due o tre battute e per il resto lavorando con le mani e le espressioni della faccia. La Nomination all'Oscar era davvero il giusto riconoscimento per un attore che raramente ha sparato cartucce bagnate. Insomma si potrebbe tracciare una metafora che vale anche per la propria vita: anche quando tutto sembra perduto bisogna cercare di non arrendersi fin quando non si è provato di tutto. E dopo aver attraversato diversi stati d'animo allo spettatore nel finale potrebbe anche scappare la classica lacrimuccia.
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(di diabulina)
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laurence316
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martedì 31 gennaio 2017
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il vecchio e l'oceano
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Il secondo lungometraggio di Chandor dopo l'esordio con Margin Call, è un film-scommessa. Praticamente privo di dialoghi (ad eccezione del monologo iniziale e di una rapida raffica di esclamazioni da parte dell’uomo senza nome) e ambientato interamente in pieno Oceano Indiano (in realtà girato in un enorme cisterna d’acqua da centinaia di migliaia di galloni, la stessa usata per Titanic di James Cameron, mentre appena tre giorni sono stati spesi a girare realmente nell’oceano), All Is Lost è dunque ad alto rischio monotonia, ma riesce ad evitarla per gran parte della sua durata grazie ad alcune, buone trovate e, soprattutto, grazie all’eccellente prova di Redford, che a 76 anni dimostra ancora una straordinaria capacità di reggere l’intero peso di un film sulle proprie spalle, stavolta addirittura interpretando l’unico personaggio di un lungometraggio di oltre 100’.
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Il secondo lungometraggio di Chandor dopo l'esordio con Margin Call, è un film-scommessa. Praticamente privo di dialoghi (ad eccezione del monologo iniziale e di una rapida raffica di esclamazioni da parte dell’uomo senza nome) e ambientato interamente in pieno Oceano Indiano (in realtà girato in un enorme cisterna d’acqua da centinaia di migliaia di galloni, la stessa usata per Titanic di James Cameron, mentre appena tre giorni sono stati spesi a girare realmente nell’oceano), All Is Lost è dunque ad alto rischio monotonia, ma riesce ad evitarla per gran parte della sua durata grazie ad alcune, buone trovate e, soprattutto, grazie all’eccellente prova di Redford, che a 76 anni dimostra ancora una straordinaria capacità di reggere l’intero peso di un film sulle proprie spalle, stavolta addirittura interpretando l’unico personaggio di un lungometraggio di oltre 100’. A breve distanza da Vita di Pi (grandissimo successo di pubblico a livello mondiale), ecco dunque un altro film in cui l’uomo tenta di fronteggiare la potenza della natura e, nello specifico, dell’acqua, e di sopravvivere per mezzo del proprio ingegno e dei più svariati strumenti (in questo caso, carte geografiche, un sestante, un canotto di salvataggio). Chandor, anche sceneggiatore, evita deliberatamente di offrire alcuna spiegazione circa gli antefatti della vicenda narrata e circa le origini del protagonista, e si concentra pertanto semplicemente su di una struttura da “survival film” abbastanza classica. Il risultato è di buona qualità, ma tirato troppo per le lunghe e con un finale consolatorio ben poco credibile. Un “Il vecchio e il mare” ambientato ai giorni nostri che, se più stringato e con un finale meglio costruito, avrebbe potuto essere decisamente migliore. Interessante notare infine che, data la quasi totale assenza di dialoghi, la sceneggiatura del film (caso più unico che raro), è lunga appena 31 pagine.
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fedson
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sabato 4 gennaio 2014
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non tutto è perduto
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Un uomo si fa strada navigando pacamente sull'Oceano dal quale è circondato. Non sappiamo il suo nome. Non sappiamo dove sta andando. Non sappiamo chi sia. Sappiamo solo che è con la sua nave che può continuare a vivere. Una bufera minaccia il suo silenzioso viaggio di cui non conosciamo la meta. Viene investito in pieno dalla tempesta. L'uomo nuota, riemerge, si arrampica, soffre e, deciso, getta in mare un gonfiabile sul quale porterà con se un diario, un manuale di sopravvivenza in mare e cibarie. Un'altra tempesta è in arrivo. Più grande e minacciosa. L'uomo dovrà serrare occhi e denti e sperare nella salvezza. Ecco cosa rende crudo e affascinante questo piccolo lavoro di fattura indipendente intento a far incarnare il suo pubblico in questo Uomo alle prese con la vera sopravvivenza.
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Un uomo si fa strada navigando pacamente sull'Oceano dal quale è circondato. Non sappiamo il suo nome. Non sappiamo dove sta andando. Non sappiamo chi sia. Sappiamo solo che è con la sua nave che può continuare a vivere. Una bufera minaccia il suo silenzioso viaggio di cui non conosciamo la meta. Viene investito in pieno dalla tempesta. L'uomo nuota, riemerge, si arrampica, soffre e, deciso, getta in mare un gonfiabile sul quale porterà con se un diario, un manuale di sopravvivenza in mare e cibarie. Un'altra tempesta è in arrivo. Più grande e minacciosa. L'uomo dovrà serrare occhi e denti e sperare nella salvezza. Ecco cosa rende crudo e affascinante questo piccolo lavoro di fattura indipendente intento a far incarnare il suo pubblico in questo Uomo alle prese con la vera sopravvivenza. Ciò che è partito come un semplice viaggio, presto diventerà un'inferno acquatico all'interno del quale l'uomo rifletterà sulle proprie debolezze e sulle proprie forze, facendo leva sul suo ingegno e il suo coraggio nei confronti di una natura fredda ed implacabile. Il film è un viaggio che fa luce su quanto l'uomo è destinato a soffrire e sperare pur di continuare a toccare - con o senza timone - la vita che gli appartiene. Robert Redford si cimenta abilmente in una prova fisica e mentale che non passa inosservata, consegnando il merito della pellicola non solo alla sua esteticità, ma anche alle capacità di un regista in grado di osservare la solitudine del protagonista come se fossimo lì, insieme a lui, a sperare nella sua sola salvezza. E' un film di sperimentazione singolare, che fa leva più sugli occhi e le gesta che sulle parole; che innesca un sottile interesse verso le azioni del solitario Uomo, all'interno dei quali sono espressi tutti i suoi pensieri più intimi, senza però svelarci quali essi siano in realtà. Una pellicola reale e crudele, che di certo non poggia su un particolare sviluppo psicologico del personaggio, ma che invece si prende avidamente beffa delle sue condizioni e del suo significato di speranza e vita. Il silenzio che incombe in tutta la durata del film, è il magnifico disegno di un film da vedere in solitudine, quando si vuole riflettere sui propri problemi, proprio come fa il solitario Uomo nella sua barca solitaria, nell'Oceano solitario.
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fabio cappelli
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domenica 5 gennaio 2014
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il vecchio velista metafora della nostra esistenza
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Il vecchio velista, senza nome e storia, discendente evidente della nostra società, è al tramonto della vita, e fa quello che tutti siamo tentati di fare, sfuggirla per scoprire se stessi, la propria individualità e il rapporto con la natura, non facile ma entusiasmante e primordiale. Il velista è pratico abbastanza da affrontare il mare, ma si trova alla deriva per una serie di sfortunati eventi. Primo, un container perso da un cargo e pieno di scarpe di ginnastica gli sfonda la fiancata della barca, poi una tempesta gli distrugge l’imbarcazione. L’anziano uomo, non si arrende, lotta con dignità e calma per la sopravvivenza, risparmiando energie fisiche, poche data l’età, e adoperando l'esperienza e la saggezza, vista l’età.
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Il vecchio velista, senza nome e storia, discendente evidente della nostra società, è al tramonto della vita, e fa quello che tutti siamo tentati di fare, sfuggirla per scoprire se stessi, la propria individualità e il rapporto con la natura, non facile ma entusiasmante e primordiale. Il velista è pratico abbastanza da affrontare il mare, ma si trova alla deriva per una serie di sfortunati eventi. Primo, un container perso da un cargo e pieno di scarpe di ginnastica gli sfonda la fiancata della barca, poi una tempesta gli distrugge l’imbarcazione. L’anziano uomo, non si arrende, lotta con dignità e calma per la sopravvivenza, risparmiando energie fisiche, poche data l’età, e adoperando l'esperienza e la saggezza, vista l’età. Il film coinvolge per le sue metafore, l'anziano che alla fine della sua esistenza va alla ricerca di se stesso allontanandosi dalla frastornante e omologante società la quale si presenta in forma di cargo quasi affondando il suo natante. L'uomo lotta con lucidità, sfruttando, come avrebbe fatto un nostro antenato, gli oggetti che ha disposizione, creati però dalla società tecnologica e non dalla natura, poco importa, perché l’anziano, figlio del suo tempo, ci fa assaporare una dimenticata dimensione ancestrale, che ci fa riscoprire la solitudine, il profondo silenzio (la cosa più bella del film), la maestosità e grandezza della natura mai domata dall’uomo, e infine il bisogno degli altri, la collaborazione, che si evidenzia con la ricerca di soccorso del protagonista, che fa emergere la genetica ed evoluzionistica solidarietà umana e tribale. Robert Redford è bravo, e più affascinante di quando era giovane, il regista forse ha caricato troppo il film di significati, la fotografia più che sufficiente, nel complesso il film va visto, non fosse altro per il gran silenzio in cui è immerso.
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muttley72
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sabato 8 febbraio 2014
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molti film precedenti sul tema sono migliori...
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Film dedicato ad una storia di "sopravvivenza in mare", dopo un naufragio in mare aperto. Come è stato detto in altre recensioni esistono già molti film sul tema (es. la tempesta perfetta , Cast Away, ecc.), tema che non per questo deve cessare di essere trattato da nuovi film...ma viene spontaneo il paragone con gli altri (precedenti) film.
Ho visto il film "All is lost" oggi e ho notato subito che la sua "tipicità" è quella che in tutto il film si sentono pronunciare in tutto 3 - 4 parole e si vede un solo individuo (R. Redford) protagonista ed unico personaggio in assoluto. Ho anche notato che la trama non segue uno schema "tipico" (intendo prologo, "preparazione" alla parte centrale del film, parte centrale, finale), ma dopo una brevissimo "incipit" parte direttamente l'unica parte del film, mentre il finale è rapidissimo e brevissimo (non lo svelerò).
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Film dedicato ad una storia di "sopravvivenza in mare", dopo un naufragio in mare aperto. Come è stato detto in altre recensioni esistono già molti film sul tema (es. la tempesta perfetta , Cast Away, ecc.), tema che non per questo deve cessare di essere trattato da nuovi film...ma viene spontaneo il paragone con gli altri (precedenti) film.
Ho visto il film "All is lost" oggi e ho notato subito che la sua "tipicità" è quella che in tutto il film si sentono pronunciare in tutto 3 - 4 parole e si vede un solo individuo (R. Redford) protagonista ed unico personaggio in assoluto. Ho anche notato che la trama non segue uno schema "tipico" (intendo prologo, "preparazione" alla parte centrale del film, parte centrale, finale), ma dopo una brevissimo "incipit" parte direttamente l'unica parte del film, mentre il finale è rapidissimo e brevissimo (non lo svelerò). La barca danneggiata non viene abbandonata subito, ma il protagonista tenta una riparazione, ma essa durerà poco. Della (tecnica di) "sopravvivenza in mare" si vede qualcosa: un dissalatore costruito sulla zattera, l'uso del sestante per fare il punto nave, un tentativo di pesca dalla zattera, lancio di razzi.
Non necessariamente un film per essere bello deve avere corposi dialoghi o mille personaggi, ma, dico la verità: a questo film a mio avviso mancano (nell'ottica di film "marinareschi" moderni e spettacolari) le inquadrature dall'alto (tipo quelle pubblicitarie girate dall'elicottero), le scene visive spettacolari (anche di computer grafica) sul mare (qui inferiori ad altri film), inoltre il mare è visto solo dalla barca (al massimo dall'albero), mai dall'orizzonte, dando un senso di "limitazione". Anche la sceneggiatura, intesa come "messa sullo schermo", non mi ha esaltato: qui è molto essenziale (es. non si sa chi è il tizio, né perché navighi, né dove vada...per carità non è un obbligo dirlo). La recitazione di Redford (benché sia difficile recitare senza parlare e da soli) non mi è parsa eccellente...del resto per inquadrare uno che esegue (faticando) varie operazioni tecniche sulla barca va bene anche un marinaio (vero), mentre l'attore si vede solo nelle inquadrature delle espressioni del volto (qui muto): solo in tali circostanze la "controfigura" non potrebbe sostituire l'attore. Tre stelle molto scarse è il mio voto. Sul tema preferisco altri film (precedenti a questo)
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cinebura
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giovedì 11 settembre 2014
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il silenzio della vita
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Uno dei miglior thriller di soppravvivenza!! Un film quasi muto cullato dalle fantastiche colonne sonore e dalla scenografia dell' oceano immenso e dispersivo, insieme a questi
fattori [+]
Uno dei miglior thriller di soppravvivenza!! Un film quasi muto cullato dalle fantastiche colonne sonore e dalla scenografia dell' oceano immenso e dispersivo, insieme a questi
fattori si unisce angoscia e molta suspance che rendono il film unico.
Una trama semplice ma forte ricca di significati che si celano dietro le onde di quell' oceano.
Il finale abbastanza "americanizzato" ma che sorprende e lascia perplessi gli spettatori ormai immersi nella scena.
Assolutamente consigliato per gli amanti di questo genere!
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ultimoboyscout
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sabato 5 aprile 2014
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cinema da restare...senza parole.
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Alla bella età di 77 anni, Redford resta (e lascia) senza parole, sfoderando la sua prova attoriale migliore. Si tratta di un film totalmente privo di dialoghi in cui il protagonista combatte come un leone contro la furia dell'oceano e della natura per salvarsi la vita. E' la cronaca di un naufragio: Redford è sulla sua barca, naviga in solitaria nell'Oceano Indiano, non parla mai ma bastano i suoi gesti e le sue espressioni per costruire un monumento all'eterna lotta dell'uomo per sopravvivere alle avversità. Redford è solo, circondato dall'acqua e da cattivi pensieri, eppure il film regala tensione ed emozioni a non finire, merito anche del giovane regista J.
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Alla bella età di 77 anni, Redford resta (e lascia) senza parole, sfoderando la sua prova attoriale migliore. Si tratta di un film totalmente privo di dialoghi in cui il protagonista combatte come un leone contro la furia dell'oceano e della natura per salvarsi la vita. E' la cronaca di un naufragio: Redford è sulla sua barca, naviga in solitaria nell'Oceano Indiano, non parla mai ma bastano i suoi gesti e le sue espressioni per costruire un monumento all'eterna lotta dell'uomo per sopravvivere alle avversità. Redford è solo, circondato dall'acqua e da cattivi pensieri, eppure il film regala tensione ed emozioni a non finire, merito anche del giovane regista J.C. Chandor, che dopo esserci rivelato con "Margin call" si conferma autore vero, tra i più interessanti della sua generazione. Il 2013 è stato l'anno dei viaggiatori solitari, dalla Bullock di "Gravity" alla Buy, da Cluzet alla Wasikowska: ma diversamente da questi, Redford, che interpreta un personaggio senza nome, da importanza al suo fare, ci costringe ad interrogarci continuamente sulla sua sorte, mantenendo altissima la suspence grazie ai dettagli, anche quelli piccoli e apparentemente insignificanti, scavando in profondità nel senso della vita. Ma, nonostante tutto, è stato misteriosamente ed inspiegabilmente ignorato dall'Academy, che va detto, di tanto in tanto fa scelte non propriamente condivisibili e prende abbagli del tutto evidenti. Film che può anche definirsi d'azione anche se è fatto di spazi vitali piccoli, che fa ragionare sulla condizione umana e che ne diventa persino metafora, che resta in mente e che offre un finale aperto a diverse interpretazioni. One man show stupefacente e coraggioso che rimanda al già citato "Gravity" con l'acqua e senza spazio e a "Vita di Pi" senza tigre. O meglio la tigre c'è, è Robert Redford!
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alexander 1986
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martedì 29 aprile 2014
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il vecchio redford e il mare
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Navigatore solitario (Robert Redford) di eco hemingwayano si sveglia una mattina scoprendo che la sua imbarcazione prende acqua in seguito allo scontro con un container abbandonato nel bel mezzo dell'Oceano indiano. Riesce a cavarsela. Di lì a poco dovrà affrontare, in un parossistico crescendo di intensità, tutti i pericoli messi a disposizione dal mare. Una roba che neanche Fantozzi. Il vecchio potrà sopravvivere solo dando fondo alle sue risorse, ma anche un coraggio da leoni pare poca roba di fronte alla supremazia di Nettuno.
Come ho notato dopo aver visto 'Gravity' (2013) di Alfonso Cuaron, nel cinema hollywoodiano di questi ultimi anni si è affermato un vero e proprio genere 'survival': uno o due personaggi costretti ad affrontare situazioni disperate, ben oltre i limiti della sopportazione umana, da cui uscire attraverso la riscoperta di valori positivi benché ancestrali (la determinazione, il coraggio, quando possibile l'amore familiare ecc.
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Navigatore solitario (Robert Redford) di eco hemingwayano si sveglia una mattina scoprendo che la sua imbarcazione prende acqua in seguito allo scontro con un container abbandonato nel bel mezzo dell'Oceano indiano. Riesce a cavarsela. Di lì a poco dovrà affrontare, in un parossistico crescendo di intensità, tutti i pericoli messi a disposizione dal mare. Una roba che neanche Fantozzi. Il vecchio potrà sopravvivere solo dando fondo alle sue risorse, ma anche un coraggio da leoni pare poca roba di fronte alla supremazia di Nettuno.
Come ho notato dopo aver visto 'Gravity' (2013) di Alfonso Cuaron, nel cinema hollywoodiano di questi ultimi anni si è affermato un vero e proprio genere 'survival': uno o due personaggi costretti ad affrontare situazioni disperate, ben oltre i limiti della sopportazione umana, da cui uscire attraverso la riscoperta di valori positivi benché ancestrali (la determinazione, il coraggio, quando possibile l'amore familiare ecc.). Segno dei tempi, e forse di un'Occidente che fatica a elaborare la propria crisi.
Il regista Chandor, dopo il discreto esordio con 'Margin Call' (2011) conferma di saper ritrarre molto bene questo stato di cose. E non importa se in quello si trattava di una crisi economica e in questo di un naufragio in mare aperto: l'una si può dire metafora dell'altra. 'All is lost' è un film angoscioso dall'inizio alla fine; anzi, disperante. Questo soprattutto perché la sequela di disgrazie cui il protagonista è costretto a soccombere è inverosimile. Non che la sfortuna non esista; ma è davvero bizzarro che tutte le magagne arrivino tutte insieme, una dietro l'altra.
Di sicuro chi sogna di comprarsi una bella barca per viaggi avventurosi potrebbe cambiare idea dopo aver visto questo film. Redford ha un copione di appena due battute, ma si cala nel personaggio in maniera superba. Forse il meglio di 'All is lost' è incarnato da lui e dal suo volto stanco e scavato.
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billyjo3
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venerdì 13 giugno 2014
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un grande viaggio nell'ineluttabilità della vita
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Durante una traversata in pieno oceano, lo scafo di una barca viene perforato da un container mobile alla deriva. L'acqua che entra all'interno dell'imbarcazione provoca danni considerevoli: la radio e i dispositivi elettronici di localizzazione sono fuori uso. Per l'unico uomo a bordo (Robert Redford) inizia un vorticoso viaggio contro le forze della natura, in cui è necessario tirare fuori tutte le proprie risorse per continuare a sopravvivere.
La natura - e il mare in particolare - rappresenta da sempre le paure più recondite che l'uomo si sia trovato ad affrontare nel corso di millenni. La storia delle arti è piena di riferimenti all'atavico ed ancestrale desiderio di poterle dominare, purtroppo invano.
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Durante una traversata in pieno oceano, lo scafo di una barca viene perforato da un container mobile alla deriva. L'acqua che entra all'interno dell'imbarcazione provoca danni considerevoli: la radio e i dispositivi elettronici di localizzazione sono fuori uso. Per l'unico uomo a bordo (Robert Redford) inizia un vorticoso viaggio contro le forze della natura, in cui è necessario tirare fuori tutte le proprie risorse per continuare a sopravvivere.
La natura - e il mare in particolare - rappresenta da sempre le paure più recondite che l'uomo si sia trovato ad affrontare nel corso di millenni. La storia delle arti è piena di riferimenti all'atavico ed ancestrale desiderio di poterle dominare, purtroppo invano. Diretto da J.C. Chandor - qui al suo secondo lungometraggio -, All is Lost è un grande apologo sull'ineluttabilità della vita; mette in scena l'enigma della verità e rende reali i timori più nascosti di ognuno di noi. Attraverso il ritratto minimalista di un uomo in lotta contro le forze della natura, la pellicola trasporta infatti lo spettatore in una corsa contro il tempo a tratti angosciante e spaventosa. All is Lost è un film dal ritmo lento, quasi compassato, ma fa male come l'inesorabile che attanaglia il destino dell'uomo, proiettato verso un futuro malinconico e senza via d'uscita. La regia di J. C. Chandor è sapiente del mettere alla luce i dettagli, che spesso e volentieri, sono quelli che fanno la differenza, anche nella vita di tutti i giorni. Lo stoico e sofferente Robert Redford incarna alla perfezione il volto della speranza e della resa, della lotta e della rabbia, dando ancora prova - se mai ce ne fosse il bisogno - della sua grandezza artistica. Tutto il film è intriso di un silenzio disturbante e, del resto, non servono parole quando si combatte per cercare una via per la sopravvivenza. La musica di Alex Ebert è evocativa ed introspettiva, lascia emergere i moti interiori del personaggio e proietta lentamente le luci sulle sue sorti. Uno dei punti a sfavore è però una sceneggiatura, ad opera dello stesso Chandor, a tratti è un po' troppo sorniona e orfana di una decisa sterzata. All is Lost è un grande saggio sull'imponderabile: su quanto in fondo, cerchiamo di affrontare la vita nonostante i pericoli e su quanto, alla fine, basta poco per spazzarla via.
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p.curtiss
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domenica 9 febbraio 2014
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la barca esistenziale
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Innanzitutto, occorre dire che il personaggio interpretato da Redford è assolutamente alieno al gusto italiano. Noi non abbiamo tradizione, almeno ufficialmente, di un percorso simile, di un simile eroismo umano minimale e solitario a meno di casi isolati che non interessano i nostri riflettori ben più attirati dalle spiegazioni e soluzioni ridanciane.
Detto che questo film a basso costo non è di gusto italiano, possiamo senz'altro vederlo per evadere dai soliti ragionamenti e godere della metafora di uomo che, con la sua barca-simbolo esistenziale, si trova in una situazione di crescente difficoltà che lo metterà a mettere in gioco tutto. Tutto senza mai perdere lucidità, senza mai perdere la razionalità, senza mai cercare negli altri il male che è implicitamente anche in noi stessi.
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Innanzitutto, occorre dire che il personaggio interpretato da Redford è assolutamente alieno al gusto italiano. Noi non abbiamo tradizione, almeno ufficialmente, di un percorso simile, di un simile eroismo umano minimale e solitario a meno di casi isolati che non interessano i nostri riflettori ben più attirati dalle spiegazioni e soluzioni ridanciane.
Detto che questo film a basso costo non è di gusto italiano, possiamo senz'altro vederlo per evadere dai soliti ragionamenti e godere della metafora di uomo che, con la sua barca-simbolo esistenziale, si trova in una situazione di crescente difficoltà che lo metterà a mettere in gioco tutto. Tutto senza mai perdere lucidità, senza mai perdere la razionalità, senza mai cercare negli altri il male che è implicitamente anche in noi stessi. Non potrebbe essere altrimenti ma non è questo il momento dei rimpianti. Ora non è il momento di sconvolgersi per com'è diventato feroce il mondo, sul come il consumismo che ci ha portato indubbio benessere ora ci si ritorce contro ne parleremo dopo. Adesso dobbiamo combattere, fare la nostra parte fino all'ultimo, senza avere la tentazione di dare la copa agli altri. O alle astrazioni. Ci sono momenti che siamo soli con ciò che noi stessi abbiamo causato: la lezione è che la forza di riscattarci non ci deve mai mancare. E non guasta un briciolo di fede. Un film eccellente, anche perché non fa mai ridere. O sorridere.
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[+] boh
(di pier delmonte)
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