paolp78
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domenica 15 agosto 2021
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poliziesco, ma con poca azione
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La pellicola è ispirata ad accadimenti realmente avvenuti che vengono messi in scena con straordinario realismo dal bravissimo Sidney Lumet, esperto nel dirigere film polizieschi ambientati nella “Grande Mela” (tra gli altri si ricorda l’acclamato “Serpico”, di solo due anni precedente, sempre con Al Pacino nella parte del protagonista).
La rappresentazione è spettacolare e di grande effetto, tuttavia la scelta di restare il più possibile fedeli ai fatti reali da cui il film è tratto, finisce per impoverire la storia, che nella parte centrale non offre spunti particolarmente eccitanti.
Efficacissima la regia di Lumet, capace di far risaltare il carattere caotico e metropolitano degli accadimenti oggetto della narrazione.
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La pellicola è ispirata ad accadimenti realmente avvenuti che vengono messi in scena con straordinario realismo dal bravissimo Sidney Lumet, esperto nel dirigere film polizieschi ambientati nella “Grande Mela” (tra gli altri si ricorda l’acclamato “Serpico”, di solo due anni precedente, sempre con Al Pacino nella parte del protagonista).
La rappresentazione è spettacolare e di grande effetto, tuttavia la scelta di restare il più possibile fedeli ai fatti reali da cui il film è tratto, finisce per impoverire la storia, che nella parte centrale non offre spunti particolarmente eccitanti.
Efficacissima la regia di Lumet, capace di far risaltare il carattere caotico e metropolitano degli accadimenti oggetto della narrazione. Buona anche la tensione che viene mantenuta pressoché costante, dall’inizio alla fine, benché, come si è detto, gli accadimenti realmente rilevanti siano ben pochi.
Il film eccede dilungandosi troppo nella parte centrale con alcune scene assolutamente tralasciabili, che hanno l’unico effetto di appesantire la pellicola, senza aggiungere niente all’impianto narrativo (ad esempio la telefonata eccessivamente lunga tra il protagonista ed il compagno omosessuale).
Il punto di forza dell’opera risiede indiscutibilmente nelle performance degli interpreti: su tutti un immenso Al Pacino, mattatore assoluto. Bravissimi anche John Cazale, capace di fornire un’interpretazione estremamente credibile e direi addirittura impressionante, e Charles Durning nella parte del funzionario di polizia, ruolo perfettamente nelle sue corde.
Senz’altro di ottima riuscita l’idea di far svolgere gli accadimenti nel periodo estivo, con la canicola che affligge i protagonisti contribuendo ad aumentare la tensione e lo stress generale.
L’opera costituisce anche un illuminante spaccato dell’America del tempo (metà anni ’70), di cui vengono posti in risalto alcuni elementi quali la situazione esistente in materia di diritti civili collegati alla condizione sessuale o di genere (matrimoni omosessuali, cambi di sesso ecc.), ma soprattutto l’enorme potere che i media erano già allora capaci di esercitare nella società.
Finale potente e di grande effetto, capace di suscitare più di una riflessione.
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leuc�noe
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domenica 29 maggio 2016
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non mettete spoiler nella trama
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Mi piace molto il vostro sito, lo trovo un utile riferimento, però vedo con rammarico che nelle trame mettete puntualmente spoiler. Potete fare qualcosa, è molto fastidioso, grazie e buon lavoro
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filippo catani
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venerdì 6 novembre 2015
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una tragica rapina
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New York agosto 1972. Una coppia di squilibrati entra in banca per realizzare una rapina ma l'arrivo della polizia li costringerà a barricarsi all'interno prendendo gli impiegati come ostaggi.
Tratto da un articolo apparso su Life, Lumet ci ricava un film che è diventato di culto attraverso il quale vengono mosse una serie di critiche sociali ben precise. Intanto la coppia di rapinatori improvvisati sono reduci dal Vietnam con qualche discreto problema. In più vengono toccate corde delicate quali la violenza della polizia o i diritti degli omosessuali. Al Pacino è semplicemente fantastico nel calarsi nella parte così come il compianto Cazale che, con la sua tipica espressione malinconica, riesce a dare al suo personaggio tutti i crismi del caso.
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New York agosto 1972. Una coppia di squilibrati entra in banca per realizzare una rapina ma l'arrivo della polizia li costringerà a barricarsi all'interno prendendo gli impiegati come ostaggi.
Tratto da un articolo apparso su Life, Lumet ci ricava un film che è diventato di culto attraverso il quale vengono mosse una serie di critiche sociali ben precise. Intanto la coppia di rapinatori improvvisati sono reduci dal Vietnam con qualche discreto problema. In più vengono toccate corde delicate quali la violenza della polizia o i diritti degli omosessuali. Al Pacino è semplicemente fantastico nel calarsi nella parte così come il compianto Cazale che, con la sua tipica espressione malinconica, riesce a dare al suo personaggio tutti i crismi del caso. Man mano che la vicenda procede e si scoprono nuovi particolari la vicenda passa verso toni più da tragicommedia. Insomma un film da vedere che ha ricevuto numerose candidature a premi importanti e che forse avrebbe meritato qualche riconoscimento in più.
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il befe
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domenica 8 marzo 2015
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capolavoro
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noia1
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lunedì 21 aprile 2014
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un film a tutto tondo per un grande pacino
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Tre ragazzi decidono di derubare una banca, tutto è calcolato nei minimi particolari ma dal momento in cui entrano in azione tutto comincia ad andare storto. La polizia circonda l’edificio sotto il controllo dei ladri ed inizia una paradossale e snervante trattativa.
Un thriller psicologico, un film drammatico, una commedia nera, una critica nei confronti degli spietati mass media, un film che mette a nudo il confronto tra la disperazione di un poveraccio e l’indifferenza del resto della società; insomma chi più ne ha più ne metta perché l’immensità di questo prodotto è difficile da gestire. Dal primo minuto all’ultimo c’è una tensione insopportabile che aleggia in ogni attimo e in ogni dialogo, ed è incredibile con quale abilità il regista sia in grado di alternare con una credibilità unica e irripetibile i momenti più drammatici a quelli umoristici.
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Tre ragazzi decidono di derubare una banca, tutto è calcolato nei minimi particolari ma dal momento in cui entrano in azione tutto comincia ad andare storto. La polizia circonda l’edificio sotto il controllo dei ladri ed inizia una paradossale e snervante trattativa.
Un thriller psicologico, un film drammatico, una commedia nera, una critica nei confronti degli spietati mass media, un film che mette a nudo il confronto tra la disperazione di un poveraccio e l’indifferenza del resto della società; insomma chi più ne ha più ne metta perché l’immensità di questo prodotto è difficile da gestire. Dal primo minuto all’ultimo c’è una tensione insopportabile che aleggia in ogni attimo e in ogni dialogo, ed è incredibile con quale abilità il regista sia in grado di alternare con una credibilità unica e irripetibile i momenti più drammatici a quelli umoristici. I primi due minuti poi sono emblematici, vengono prese varie inquadrature della città e vari tipi di personaggi ad indicare che tutto ciò che accadrà, il grande dramma e le nevrosi che il protagonista e gli ostaggi dovranno sopportare, sono solo una minima parte, consistono solo in una macchietta nell’eterogeneità metropolitana.
Tutto è reso all’ennesima potenza (dalla tensione che aleggia nella banca sotto assedio alla pressione della polizia e, infine, alla crudeltà dei giornalisti) da un eccezionale Al Pacino sul quale sono visibili tutte le fasi del martirio a cui è sottoposto.
Interessante è poi la scelta del regista che, nel voler rendere tutto al meglio, sfrutta il piano del paradossale. I giornalisti che tentano di intervistare i ladri e gli ostaggi nei momenti più improbabili, uno dei ladri che all’ultimo momento molla, l’atteggiamento della folla che tratta Sonny (il protagonista, colui che è a capo della rapina) come una star e lui stesso che, invece di mostrarsi stupito di fronte a questi elogi immotivati, scalda la folla come farebbe un cabarettista. La società contemporanea messa a nudo portando agli estremi più grotteschi e ridicoli i suoi tratti più drammatici e discutibili.
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byrne
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venerdì 23 agosto 2013
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nevrosi
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Sidney Lumet ha diretto in Dog Day Afternoon uno tra i migliori Pacino di sempre. Di quelli fastidiosi, che abbattono come birilli le convenzioni e gli stereotipi della recitazione. Si prenda un episodio di cronaca nera dell'epoca, lo si metta in mano a un regista capace e ad un bravo attore e si otterrà solo un'ammasso di piombo, lacrime e facili moralismi. Lo si metta invece nelle quattro mani sopracitate e si otterrà questo. E cioè un film di nera disperazione, tanto ironico da risultare tenero e dotato di una forza emotiva ancora capace di ammutolire gli spettatori. E viene da chiedersi cosa debbano essere state, nella realtà, quelle ore tremende. Se è vero che la realtà supera spesso e volentieri la finzione, non oso neppure pensarci.
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Sidney Lumet ha diretto in Dog Day Afternoon uno tra i migliori Pacino di sempre. Di quelli fastidiosi, che abbattono come birilli le convenzioni e gli stereotipi della recitazione. Si prenda un episodio di cronaca nera dell'epoca, lo si metta in mano a un regista capace e ad un bravo attore e si otterrà solo un'ammasso di piombo, lacrime e facili moralismi. Lo si metta invece nelle quattro mani sopracitate e si otterrà questo. E cioè un film di nera disperazione, tanto ironico da risultare tenero e dotato di una forza emotiva ancora capace di ammutolire gli spettatori. E viene da chiedersi cosa debbano essere state, nella realtà, quelle ore tremende. Se è vero che la realtà supera spesso e volentieri la finzione, non oso neppure pensarci. Cazane non è da meno del giovane collega, ed entrambi danno vita a personaggi fragili e poco visti al cinema, sempre in bilico tra compassione e rabbia. Ma l'improvvisato criminale omosessuale di Pacino, che rapina una banca per pagare l'operazione di cambio di sesso al suo compagno, rimarrà negli annali. Tremendo il finale, e commovente il rapporto tra i due rapinatori e gli ostaggi, così come quello, ben meno sincero ma altrettanto intenso, con la folla che li acclama come eroi.
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shiningeyes
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mercoledì 24 luglio 2013
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splendido lumet!
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Tratto da un evento reale, “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, è un film passato alla storia non solo per una lucida e perfetta regia di Sidney Lumet e per le meravigliose prove recitative di Al Pacino e John Cazale; l'onore della storicità del film è data da un tipo di cinema che è sempre più bravo a raccontare fenomeni sociali e fatti di cronaca reso al massimo splendore da questa grandissima pellicola.
Simboliche sono le immagini di un Pacino che incita la folla gridando “Attica!” “Attica”, dove un personaggio comune come Sonny diventa l'eroe del giorno, nonostante stia commettendo un reato grave, anche per il fatto che, all'epoca i fuorilegge erano considerati eroi dalla gente, dato l'astio che aveva la popolazione per la polizia, sempre più impegnata a malmenare i pacifisti contro la guerra del Vietnam; c'è anche il dominio mass mediatico che distorce le informazione e che è sempre più impiccione su storie come quelle di Sonny e Sal, le quali vengono dimenticate dopo poco tempo.
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Tratto da un evento reale, “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, è un film passato alla storia non solo per una lucida e perfetta regia di Sidney Lumet e per le meravigliose prove recitative di Al Pacino e John Cazale; l'onore della storicità del film è data da un tipo di cinema che è sempre più bravo a raccontare fenomeni sociali e fatti di cronaca reso al massimo splendore da questa grandissima pellicola.
Simboliche sono le immagini di un Pacino che incita la folla gridando “Attica!” “Attica”, dove un personaggio comune come Sonny diventa l'eroe del giorno, nonostante stia commettendo un reato grave, anche per il fatto che, all'epoca i fuorilegge erano considerati eroi dalla gente, dato l'astio che aveva la popolazione per la polizia, sempre più impegnata a malmenare i pacifisti contro la guerra del Vietnam; c'è anche il dominio mass mediatico che distorce le informazione e che è sempre più impiccione su storie come quelle di Sonny e Sal, le quali vengono dimenticate dopo poco tempo.
La storia serve anche a farci riflettere sulle condizione disagiate su cui si trovarono migliaia di reduci del Viet nam, ritornati con gravi disturbi psichici e con la difficoltà di trovare lavoro e un posto nella società, oltre che, raccontare un movimento attivista omosessuale agli albori.
“Quel Pomeriggio di un giorno da cani” ha la stessa lucidità e vena realistica di uno special telesivo, correlato comunque da una vena umoristica che lo potrebbe far eleggere come una grandissima tragicommedia; salvo alcune scene che svegliano lo spettatore, e lo fanno rendere conto che si sta vedendo un thriller, seppur alleggerito.
Oscar alla sceneggiatura meritatissimo, come lo doveva essere quello alla regia di Lumet e quello per la prova interpretativo di Pacino.
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fedson
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giovedì 18 luglio 2013
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memorabile pacino!
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Sceneggiatura di Frank Pierson premiata con Oscar insieme all'incommentabile performance di Al Pacino, sono i due ingredienti caratteristici di uno dei film chiave dell'intera Nuova Hollywood! Tratto dagli eventi di una vera rapina tentata in una banca di New York da parte di tre rapinatori, il film, uno dei più celebri e riusciti del regista Sidney Lumet, incentra la vicenda su Sonny Wojtowicz (Pacino) e il complice Salvatore (Cazale) che tengono in ostaggio i dipendenti dell'istituto. Il famoso fatto di cronaca nera viene ricostruito per mezzo di una sceneggiatura priva di sbavature e momenti vuoti, colmata da un elevatissimo livello di suspence in grado di ammaliare completamente lo spettatore subito dopo i primi dieci minuti di pellicola, conducendolo dentro la vicenda a tal punto da chiedersi cosa accadrà in seguito fino alla fine del film.
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Sceneggiatura di Frank Pierson premiata con Oscar insieme all'incommentabile performance di Al Pacino, sono i due ingredienti caratteristici di uno dei film chiave dell'intera Nuova Hollywood! Tratto dagli eventi di una vera rapina tentata in una banca di New York da parte di tre rapinatori, il film, uno dei più celebri e riusciti del regista Sidney Lumet, incentra la vicenda su Sonny Wojtowicz (Pacino) e il complice Salvatore (Cazale) che tengono in ostaggio i dipendenti dell'istituto. Il famoso fatto di cronaca nera viene ricostruito per mezzo di una sceneggiatura priva di sbavature e momenti vuoti, colmata da un elevatissimo livello di suspence in grado di ammaliare completamente lo spettatore subito dopo i primi dieci minuti di pellicola, conducendolo dentro la vicenda a tal punto da chiedersi cosa accadrà in seguito fino alla fine del film. Un film un po' poliziesco, un po' d'azione e a tratti humor (specie nella prima scena in cui i tre protagonisti falliscono nel loro primo intento), che regala un cofanetto di tematiche taglienti nei confronti della società contemporanea all'interno del mondo dei mass media, e di perle d'interpretazioni. E' memorabile il Pacino che ci troviamo di fronte nei panni di un rapinatore fallito, reduce della guerra del Vietnam. Lo vediamo stressato, dinamico, attivo, aggressivo, ma dotato di quell'umanità così percettibile da far entrare la sua performance come una delle sue migliori di sempre. Al Pacino ci regala, così, un personaggio a tutto tondo: assolutamente studiato nel minimo dettaglio quanto ottimamente interpretato nella sua più completa e nascosta intimità. Meno sensibile (ma altrettanto studiato) è il secondo personaggio, Salvatore, interpretato da un John Cazale freddo, impassibile, dal grilletto facile, ma meraviglioso. E' un film che parla di critiche sociali che esplora il suddetto sistema popolato da una società in grado di fare del "mito del momento" un cane randagio, abbandonato nella sua incomprensione e nella sua solitudine. Solo contro tutti. La bellezza del film sta anche nel fatto che tali tematiche sono, per l'appunto, attinenti perfettamente al mondo della New Hollywood degli anni '70; una Hollywood il cui cinema ancora faceva piangere, sorridere, amare e sperare tramite quella semplicità estetica che solo i film del momento potevano donare. Un grandioso Lumet per un gigante Pacino! 5 nomination all'Oscar di cui uno in cassaforte! Questo sì che è un bel colpo!
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rescart
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lunedì 14 gennaio 2013
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dìvide et impera
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Su cosa si fonda un impero globale come quello yankee? Forse su complicate tecnologie informatiche che si giovano delle più recenti innovazioni e di sofisticati sistemi di controllo delle comunicazioni come il famigerato “Echelon”? Niente di tutto questo. Prova ne sia il fatto che con la fine della guerra fredda è anche finita la spasmodica corsa al raggiungimento di sempre nuove frontiere nello spazio aventi il solo scopo di dimostrare il primato degli Stati Uniti sull’Unione sovietica. Nessun impero può reggersi se non sa gestire sapientemente i momenti di crisi, a partire da quelli di piccolo cabotaggio, come questo descritto nel film e ispirato ad un fatto di cronaca del ’72, fino a quelli su scala mondiale, come fu l’11 settembre.
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Su cosa si fonda un impero globale come quello yankee? Forse su complicate tecnologie informatiche che si giovano delle più recenti innovazioni e di sofisticati sistemi di controllo delle comunicazioni come il famigerato “Echelon”? Niente di tutto questo. Prova ne sia il fatto che con la fine della guerra fredda è anche finita la spasmodica corsa al raggiungimento di sempre nuove frontiere nello spazio aventi il solo scopo di dimostrare il primato degli Stati Uniti sull’Unione sovietica. Nessun impero può reggersi se non sa gestire sapientemente i momenti di crisi, a partire da quelli di piccolo cabotaggio, come questo descritto nel film e ispirato ad un fatto di cronaca del ’72, fino a quelli su scala mondiale, come fu l’11 settembre. Non a caso la spedizione in Irak (una delle due reazioni/rappresaglie degli yankee al drammatico episodio del 2001, su cui gravano ancora pesanti sospetti quanto alle modalità con cui si sarebbe realizzato) ebbe come conseguenza più immediata la divisione delle grandi potenze europee in due gruppi distinti, anzi tre: gli interventisti belligeranti come USA, UK e Spagna (quest’ultima poi ritiratasi dopo l’attentato di matrice islamica alla metropolitana di Madrid), gli interventisti non belligeranti come Italia, i non interventisti come Germania e Francia (quest’ultima tutt’altro che non interventista su altri “fronti”). Queste divisioni con tutti i loro “distinguo” ha ancora oggi i suoi strascichi nelle diverse visioni che gli stati europei hanno sulla realizzazione dell’Unione europea. In questo film si la strategia “imperiale” viene realizzata dall’agente dell’FBI che propone a Sonny di sacrificare Sal per salvarsi la pelle. E così alla fine avviene. Il parallelo tra l’episodio di questo film e la guerra in Irak si ritrova anche nel più recente film “home o the brave” che tratta del tema dei reduci di guerra, come lo è Sonny da quella in Vietnam. Ma in questo film non si ha forse il coraggio di mettere il dito nella piaga della selezione dei militari da inviare in guerra, come invece fa “Home of the brave” nonché l’indimenticabile “Full metal racket” di Kubrick. Sal infatti, il più inetto dei tre malviventi, non è mai stato in Vietnam, come dimostra il fatto che afferma di non aver ma preso l’aero. Invece in “Home of the brave” sarà il nero a fare la fine del capro espiatorio, dimostrando col suicidio di non essere all’altezza dello stress psicologico subìto in Irak, dove forse non avrebbe dovuto neanche essere mandato. Come non fu mandato “Palla di lardo” nel film di Kubrick, ma solo perché si suiciderà prima dopo aver fatto fuori il sadico addestratore.
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frank slade
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mercoledì 9 maggio 2012
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un bel quadro
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Sono un grande fan di Al Pacino come pochi potranno notare dal mio nick name. Consiglio questo film a chiunque sappia e a chiunque piaccia cogliere gli aspetti minuziosi di ogni film, ripercorrendo la trama con poca superficialità e cogliendone le metafore. Solitamente viene presentato come un film violento, ma non è così. L'intento è quello di portare sul grande schermo un fatto di cronaca nera da cui prende ispirazione Lumet. 119 minuti di rapina in banca, di dialoghi, di permessi, di liti e di sogni. Lontano dalle rapine in banca a cui ormai siamo abituati piene di idee e metodi fantascientifici per riuscire a compiere la missione, invece in Quel pomeriggio di un giorno da cani lo spettatore non conosce il piano dei banditi, ne infondo i loro intenti ma è direttamente catapultato in banca.
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Sono un grande fan di Al Pacino come pochi potranno notare dal mio nick name. Consiglio questo film a chiunque sappia e a chiunque piaccia cogliere gli aspetti minuziosi di ogni film, ripercorrendo la trama con poca superficialità e cogliendone le metafore. Solitamente viene presentato come un film violento, ma non è così. L'intento è quello di portare sul grande schermo un fatto di cronaca nera da cui prende ispirazione Lumet. 119 minuti di rapina in banca, di dialoghi, di permessi, di liti e di sogni. Lontano dalle rapine in banca a cui ormai siamo abituati piene di idee e metodi fantascientifici per riuscire a compiere la missione, invece in Quel pomeriggio di un giorno da cani lo spettatore non conosce il piano dei banditi, ne infondo i loro intenti ma è direttamente catapultato in banca. Il regista intende riprendere in chiave ironica i mali della società del tempo come i media e la polizia, e tenta di proporre allo spettatore la classica Sindrome di Stoccolma che colpisce gli stessi ostaggi dai rapinatori, effettivamente è impossibile guardare questo film senza "innamorarsi" per pietà o simpatia di Sonny e Co. Da notare una citazione di Al Pacino che è stata inserita nella lista delle migliori citazioni del cinema: Attica Attica! facendo riferimento alla rivolta nel carcere di Attica del 1971 che farà risvegliare un sentimento di rivolta e passione nei cuori dei passanti, ormai fermi davanti alla banca attirati dallo spettacolo di Sonny che in una scena si permette pure di lanciare banconote alla folla che lo acclama. La fine sarà l unica violenza proposta dal regista, per il resto tante battute e dialoghi più o meno interessanti tra rapinatori, ostaggi, polizia e media. Da non perdere!
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