montefalcone antonio
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martedì 23 aprile 2024
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«che tipo di americani siete?»
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Il regista di “Ex Machina” e sceneggiatore di “28 giorni dopo”, torna al cinema con un film godibile e spettacolare, affascinante e concettualmente interessante, ambientato negli Stati Uniti di un immediato futuro alle prese con una seconda guerra civile.
Alex Garland, nel suo progetto più personale ed ambizioso, tratteggia uno scenario futuribile in questo lungometraggio duro, crudo, realistico, asciutto, che lancia un monito sulla preoccupante condizione della cinica civiltà occidentale. Un film politico sull’America attuale e le derive peggiori.
La pellicola – un’opera politica molto attuale che riflette sul conflitto, e sul ruolo del cronista e il senso del documentare – funziona più visivamente che narrativamente.
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Il regista di “Ex Machina” e sceneggiatore di “28 giorni dopo”, torna al cinema con un film godibile e spettacolare, affascinante e concettualmente interessante, ambientato negli Stati Uniti di un immediato futuro alle prese con una seconda guerra civile.
Alex Garland, nel suo progetto più personale ed ambizioso, tratteggia uno scenario futuribile in questo lungometraggio duro, crudo, realistico, asciutto, che lancia un monito sulla preoccupante condizione della cinica civiltà occidentale. Un film politico sull’America attuale e le derive peggiori.
La pellicola – un’opera politica molto attuale che riflette sul conflitto, e sul ruolo del cronista e il senso del documentare – funziona più visivamente che narrativamente.
Molto efficace il lavoro sul montaggio, sulla fotografia, sul sonoro e in generale sull’immagine (esteticamente e stilisticamente audace, la regia si è servita anche di una cinepresa all’avanguardia, la DJI Ronin 4D, che permette di coinvolgerci di più nella messinscena con i suoi movimenti più veloci).
Notevole anche il contributo dell’ottimo cast (la Dunst su tutti); e l’atmosfera di tensione, di orrore e insensatezza generata dalla guerra e dal viaggio (anche formativo) intrapreso dai protagonisti.
Allo spettatore l’arduo compito di riempire di risposte, significati e interpretazioni il vuoto angosciante, e gli interrogativi (professionali, etici, sociologici, ecc.) che la sceneggiatura via via solleva a livello tematico e concettuale (anche a causa, e a volte per colpa, di una sceneggiatura che volutamente lascia molto in sospeso e/o non spiegato in un’ottica narrativa, la più neutrale possibile).
In conclusione, “Civil War” è un film di alta fattura (e anche di budget: è infatti quello più costoso della A24) cinematografica, tecnicamente ineccepibile e di grande impatto emotivo; che, al netto di qualche limite e difetto (a livello narrativo e di approfondimento tematico), ha però il grande pregio di riuscire a responsabilizzare lo sguardo dello spettatore, evidenziando attraverso un war movie scomodo tutte le contraddizioni, le polarizzazioni, le ideologie/manipolazioni politiche, il cinismo e il pluralismo etnico della società occidentale. Ma è soprattutto una pellicola che alla fine inquieta lo spettatore non soltanto su cosa sta accedendo oggi, ma soprattutto su cosa potrebbe accadere in un domani nemmeno troppo lontano.
Voto (in decimi): 7.50
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frankmoovie
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domenica 21 aprile 2024
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civil war. riflettiamoci ...
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Questo film è da vedere per più motivi: è molto vero nelle varie fasi della vicenda di giornalisti inviati di guerra che non fermano i loro click davanti all'orrore delle guerre e ai pericoli enormi in cui vanno incontro sfidando il destino per raggiungere il loro scopo finale e cioè informare la gente con prove concrete prese direttamente sugli scenari raccapriccianti, inoltre la trama del film è immaginaria ma potrebbe essere reale se pensiamo alle tante guerre civili che si susseguono nel mondo, poi se il Paese in oggetto sono gli Stati Uniti che si dividono in una guerra fratricida ribellandosi al Presidente, l'invito a riflettere sulle conseguenze è allarmante.
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Questo film è da vedere per più motivi: è molto vero nelle varie fasi della vicenda di giornalisti inviati di guerra che non fermano i loro click davanti all'orrore delle guerre e ai pericoli enormi in cui vanno incontro sfidando il destino per raggiungere il loro scopo finale e cioè informare la gente con prove concrete prese direttamente sugli scenari raccapriccianti, inoltre la trama del film è immaginaria ma potrebbe essere reale se pensiamo alle tante guerre civili che si susseguono nel mondo, poi se il Paese in oggetto sono gli Stati Uniti che si dividono in una guerra fratricida ribellandosi al Presidente, l'invito a riflettere sulle conseguenze è allarmante. Il regista Alex Garland ci porta con perizia, in maniera cruda in varie situazioni e , anche grazie al sonoro, ci fa vivere momenti di terrore ed elettrizzanti, facendo stringere lo spettatore alle vite dei protagonisti della storia che sono giornalisti che credono profondamente nella loro mission, pur essendo persone con proprie storie, con propri sentimenti, con propri caratteri, coraggio e paura ma con l'intento di mantenersi imparziali nel mostrare a tutti la verità: guerra è morte e dolori, guerra civile lo è di più. Ottimi gli interpreti, in particolare: Kirsten Dunst, Wagner Moura, Cailee Spaeny, Stephen McKinley Henderson ... Grande la fotografia, i primi piani che mettono in risalto pensieri e sentimenti, i paesaggi. Colonna sonora non assillante come invece il suono protagonista fatto di spari e bombardamenti ... Un film, questo, che subito fa capire che non si è in una fiaba e fa riflettere tanto. Una nota: forse perché siamo in un periodo di guerre vicine e la gente vuole distrazioni leggere e non vuol pensare, in sala eravamo non più di una decina ... Peccato: c'era da imparare oltre l'eroismo dei reporter.
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gabriele
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giovedì 25 aprile 2024
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la guerra, le immagini e l''atto di vedere
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Vedere o far finta di niente nell'illusione di una normalità forzata?
I fotoreporter, non hanno dubbi: vedere. È questa la scelta più giusta, il posizionamento più etico, il solo in grado di lanciare un monito.
Registrare la realtà e ordinarla, coglierne il senso. Immortalare per capire ed elaborare. Riportare la verità affinché altri possano chiedere, fare domande.
Riprodurre il reale senza alterazioni. Ogni altra considerazione è lasciata agli spettatori. Il pubblico viene direttamente interpellato, è lui che dovrà dare un giudizio o una ermeneutica.
Non vengono date spiegazioni perché le spiegazioni si devono cercare qui, oggi, nel presente.
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Vedere o far finta di niente nell'illusione di una normalità forzata?
I fotoreporter, non hanno dubbi: vedere. È questa la scelta più giusta, il posizionamento più etico, il solo in grado di lanciare un monito.
Registrare la realtà e ordinarla, coglierne il senso. Immortalare per capire ed elaborare. Riportare la verità affinché altri possano chiedere, fare domande.
Riprodurre il reale senza alterazioni. Ogni altra considerazione è lasciata agli spettatori. Il pubblico viene direttamente interpellato, è lui che dovrà dare un giudizio o una ermeneutica.
Non vengono date spiegazioni perché le spiegazioni si devono cercare qui, oggi, nel presente. Il film è un prolungamento del presente e dei suoi mali portati ai massimi estremi.
I fotoreporter in prima linea a testimoniare l'orrore e a pagarne il prezzo.
Costretti a morire interiormente per andare avanti, fino a diventare vittime del disturbo da stress post-traumatico.
Esposti continuamente alla morte, ben presto la loro paura si trasforma in adrenalina, e poi in assuefazione, dipendenza e infine alienazione.
E quando ormai c'è solo più posto per cinismo e disillusione, è possibile ritrovare l'umanità e la fede perdute?
In ogni caso non ci si può fermare e, nonostante tutto, si deve continuare a scattare, qualcuno deve pur farlo.
Lee e Jessie d'altronde, l'una il doppio dell'altra, hanno scelto di vedere, e quindi vanno fino in fondo, anche in opposizione alle loro famiglie, che, invece, hanno scelto di chiudere gli occhi.
Persino il Presidente non vuol vedere la realtà, o finge di non vederla, nei suoi proclami bugiardi e retorici.
Un comportamento ipocrita, quello di non vedere, che non può che peggiorare le cose.
C'è poi anche chi non vuole essere visto mentre fa quel che fa, c'è chi vuole sfuggire alla vista di un occhio esterno.
Vedere e mostrare, e dunque le immagini, diventano perciò atti politici, armi da usare correttamente, che possono fare la storia e ribaltare i rapporti di forza (non a caso tutto il film è un tentativo di vedere e mettere a fuoco un Presidente che si nasconde, e quindi di decretarne la fine, o quantomeno, se possibile, di comprenderlo e storicizzarlo, affrontarlo e oltrepassarlo, in attesa del nebuloso futuro che verrà).
In questa terrificante visione apocalittica, che incarna lo spirito dei tempi, l'attentatore suicida a New York, che corre con la bandiera americana in spalla e si fa saltare in aria, diventa la metafora, la sineddoche, per raccontare e rappresentare un intero paese, un intero mondo, che sta correndo ciecamente fino a schiantarsi.
Una corsa folle che lascia spazio anche ad un animo schiettamente bellico, da puro war movie, come nell'adrenalico atto finale, duro e tesissimo, sospeso tra il cinema di Kathryn Bigelow e la battaglia di Washington di "Call of Duty: Modern Warfare 2".
Una vera masterclass d'azione.
Merito anche di Ray Mendoza, Navy Seal per oltre 16 anni e oggi consulente tecnico e militare per il cinema.
Mendoza è stato fondamentale per la messa in scena dell'azione. È partito dalla sceneggiatura e dalle idee di Garland per poi coreografare tutti i set piece. Ha anche coinvolto altri veterani per contribuire alla verosimiglianza della rappresentazione militare sullo schermo.
Con il suo lavoro ha creato un'estetica improntata verso il "grounded action", dal taglio quasi documentaristico e molto realistico.
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giovanni de pascalis
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giovedì 2 maggio 2024
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un pugno nello stomaco, ma necessario
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Un vero pugno nello stomaco questo "Civil war" di Alex Garland, ritorno del grande cinema americano di feroce denuncia politica e sociale: asciutto, duro ma anche altamente spettacolare, quel cinema tagliente che l'altra Hollywood -che in parte si intreccia anche con la nuova Hollywood- e' capace di concepire, realizzare e offrire al mondo da decenni, in particolare dai tempi di indimenticabili capolavori quali "I tre giorni del condor", "Taxi driver", "Apocalypse Now". Un film bellissimo e durissimo insieme, ad altissima tensione dall'inizio alla fine, sconvolgente per chiunque sia minimamente attento all'evoluzione (sbalorditiva) delle dinamiche politiche e sociali quale stiamo vedendo, negli ultimi quindici, sedici anni, in quella nazione-continente che sono gli Stati Uniti d'America.
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Un vero pugno nello stomaco questo "Civil war" di Alex Garland, ritorno del grande cinema americano di feroce denuncia politica e sociale: asciutto, duro ma anche altamente spettacolare, quel cinema tagliente che l'altra Hollywood -che in parte si intreccia anche con la nuova Hollywood- e' capace di concepire, realizzare e offrire al mondo da decenni, in particolare dai tempi di indimenticabili capolavori quali "I tre giorni del condor", "Taxi driver", "Apocalypse Now". Un film bellissimo e durissimo insieme, ad altissima tensione dall'inizio alla fine, sconvolgente per chiunque sia minimamente attento all'evoluzione (sbalorditiva) delle dinamiche politiche e sociali quale stiamo vedendo, negli ultimi quindici, sedici anni, in quella nazione-continente che sono gli Stati Uniti d'America. Attenzione, dietro l'apparente tema di un'ipotesi fanta-politica -non del tutto campata in aria, pero', come sappiamo- nella forma di un road-movie attraverso le atrocita' di una guerra civile contemporanea ed insieme di un freddo reportage di guerra (apparentemente neutrale insieme di cronache ed istantanee di fotoreporter coraggiosi fino al limite del concepibile e giornalismo rigorosamente anglosassone) il vero oggetto del film e' da una parte la violenza dilagante, l'intolleranza, il razzismo brutale, l'estremizzazione sempre crescente nelle dinamiche politiche della societa' statunitense di questi ultimi anni: la societa' sempre piu' spaccata a meta', dove l'avversario politico diventa sempre piu' spesso il "nemico" con il quale e' impossibile ogni compromesso. Dall'altra l'ossessione, tutta statunitense e tutta americana, per le armi da fuoco e per le armi in generale. Due temi strettamente collegati, intrecciati tra loro, a creare una miscela infernale ed esplosiva che e', alla fine, il vero oggetto del film. Perfetta l'interpretazione di Kirsten Dunst nei panni della protagonista, testimone muta e insieme sconvolta dall'amarezza, dal dolore, dalla consapevolezza dell'impotenza dell'individuo di fronte all'orrore generale della violenza e della guerra. Da vedere assolutamente
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