La traiettoria dell’esaltazione degli eroi americani è chiara nella filmografia di Eastwood che da un fatto di cronaca costruisce un crime-drama ricco di suspense e rivendicazione dell’ormai sopito American Dream – o così dovrebbe.
Clint Eastwood torna a parlare dell’America di oggi, con i suoi eroi e le sue vittime di un sistema scrupoloso ed indagatore che abusa dei suoi poteri per sopperire ad una propria mancanza di valori, onestà e protocolli.
Richard Jewell, uomo dall’elevato e personale senso della giustizia civile e un carattere samaritano, nello sventare (scoprire e minimizzare) un attacco terroristico durante le Olimpiadi di Atlanta, Georgia, si ritrova acclamato dalla folla come eroe americano. Un momento di gloria che durerà ben tre giorni prima che la stampa locale, grazie ad una soffiata trapelata del Federal Bureau of Investigation, su di un presunto profilo di eroe-dinamitardo - pittura l’encomiabile Richard come un potenziale sospetto se non di possibile terrorista. L’accanimento giudiziario e dei mass media sconvolgeranno la vita dell’adulto boy-scout proiettando lui e la sua famiglia in un inferno di perquisizioni, mandati, estorsioni, raggiri e speculazioni condite dal dissenso, poi disprezzo, della società tutta - che ne segue lo sviluppo come di una gossip story della rivista dal parrucchiere.
Il pubblico non deve avere paura perché la storia di Richard avrà un lieto fine con la promozione-ritorno al mondo della polizia di contea, l’inadeguatezza dell’indagine condotta dai federali che lo conferma “libero da sospetti” e la lacrimosa redenzione della stampa aggressiva, industria di scoop da vendita che si rende conto della differenza tra una storia plausibile ed una fantasia da prima pagina.
Come per la precedente fatica-lascito di Eastwood (The Mule – 2018), personalmente non sono riuscito a godere di quest’opera nella sua interezza.
Indubbiamente, il film si presenta bene, con un ampio lavoro di ricostruzione scenografica minuziosa, dai make-up al vestiario, ai luoghi dell’accaduto con il discreto supporto della fotografia di Bélanger che ne cura l’impatto sensoriale sul pubblico ben distante dal carattere giornalistico della vicenda. Con una narrazione semplice e lineare, scandita occasionalmente da brevi flashback didascalici, il film si segue facilmente nei suoi archi narrativi.
Supportato da una modesta performance degli attori con un Jewell - Paul Walter Hauser - fedele anche nella forma ed un Watson – Sam Rockwell – degna spalla ed amico avvocato, il resto - colpa della scrittura dei personaggi - rimangono assai piatti. Il film non decolla mai né tantomeno entusiasma anzi si lascia anticipare troppo facilmente e non parlo degli eventi della trama – che essendo di cronaca è data per presunta - ma dalla storia più intima dei protagonisti e delle loro reazioni da quelle reali-fattuali a quelle immaginate-cinematografiche.
La drammatizzazione di eventi realmente accaduti – attualmente tanto in voga - ha bisogno di qualcosa di più di brevi monologhi ingenui ed il pianto di una madre davanti le telecamere per istaurare un patto sincero con lo spettatore, assumendo che gli eventi si sappiano. A maggior ragione questo vale se non si conoscono, altrimenti la pellicola rimane intrappolata in una zona grigia contesa tra l’aspirazione ad essere semi-documentario, d’approccio, ed una banalizzazione dell’autonomia e delle relazioni tra i personaggi – la cui storia è riscattata solamente dalla memoria collettiva degli spettatori.
19/01/2020
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