Insieme a Il Richiamo Della Foresta e Zanna Bianca, Martin Eden è una delle opere più celebri di Jack London. Il romanzo di formazione in parte autobiografico dello scrittore americano narra la vita travagliata del marinaio Martin e la sua lotta per diventare uno scrittore, ispirato dall’amore per la bellezza e per Ruth, studentessa universitaria da cui prende lezioni di inglese.
Le difficoltà del giovane nel farsi accettare come possibile marito da questa figlia dell’alta borghesia californiana, danno modo all’autore di esporre le sue teorie socialiste e lanciare una critica forte all’impianto americano e ai suoi valori che si reggono sulla fede incondizionata a capitalismo e individualismo.
In questa trasposizione cinematografica, il regista Pietro Marcello sposta l’ambientazione da San Francisco a Napoli, città meravigliosamente fotografata nelle sue vivide contraddizioni all’ombra del Vesuvio, sviluppando la narrazione negli anni immediatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale.
Risulta evidente sin dal principio che le esigenze di copione non abbiano alcuna verosimiglianza storica e sta proprio in questo l’originalità della pellicola: i costumi, gli arredi delle case e le scenografie spesso richiamano infatti periodi successivi, mentre alle scene di finzione si alternano materiali di repertorio tratti da archivi di epoche diverse, oltre alla colorizzazione del bianco e nero originale.
Rispettando la struttura del romanzo, con una prima parte travolgente che narra l’entusiasmo giovanile di Eden e la sua fame di sapere mentre divora i saggi di Herbert Spencer e la seconda che precipita nella tragedia durante il disincanto dell’età adulta, il film non è però sostenuto a pieno dall’interpretazione discontinua di Luca Marinelli su cui la macchina da presa spesso indugia in maniera fin troppo esagerata.
L’attore romano, ormai il volto più richiesto dal cinema italiano, è perfettamente credibile nel giovane bellissimo ed ingenuo i cui occhi si illuminano di bellezza nel suo percorso formativo, ma non altrettanto nella fase della maturità quando il desiderio si è esaurito: complice anche il trucco grossolano, la sua recitazione risulta artefatta e teatrale nel senso negativo del termine.
Se da un lato i ruoli marginali sono quelli più intensi e magistralmente recitati, penso tra gli altri a Carlo Checchi nella parte dell’amico Russ Brissenden e Autilia Ranieri, sorella di Martin, è invece da dimenticare Jessica Cressy nel personaggio di Ruth/Elena Orsini: mono espressiva e con una drammatizzazione da soap opera, rende ridicola e totalmente ingiustificata la cadenza francese dei suoi piagnistei.
Piccola chicca: il cameo fascista di Giordano Bruno Guerri il cui breve monologo sembra parlare a noi spettatori in sala come a voler dire che i tempi di allora non sono così dissimili dal nostro presente.
Voto 3/5
Elisabetta Baou Madingou
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