writer58
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domenica 9 dicembre 2018
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l'altra metà del cielo
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Breve nota autobiografica: ho vissuto per diversi anni (dal 1981 al 1985) proprio nella colonia Roma, il quartiere di Città del Messico ritratto nel film di Cuaròn. Era un quartiere residenziale, insidiato dallo sviluppo urbano che lo ha parzialmente snaturato e dalla proliferazione di strade ad altissimo traffico (Insurgentes, Chapultepec, Monterrey) che ne hanno lacerato il tessuto. Tuttavia, il quartiere manteneva una sua grazia fatta di palazzine liberty, neoclassiche e art déco, piccoli parchi e piazzette con i nomi degli stati del Messico e delle città dell'America Latina. Almeno fino al 1985, quando un devastante terremoto si abbattè sul Distretto Federale distruggendo centinaia di edifici, soprattutto nel centro di Città del Messico.
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Breve nota autobiografica: ho vissuto per diversi anni (dal 1981 al 1985) proprio nella colonia Roma, il quartiere di Città del Messico ritratto nel film di Cuaròn. Era un quartiere residenziale, insidiato dallo sviluppo urbano che lo ha parzialmente snaturato e dalla proliferazione di strade ad altissimo traffico (Insurgentes, Chapultepec, Monterrey) che ne hanno lacerato il tessuto. Tuttavia, il quartiere manteneva una sua grazia fatta di palazzine liberty, neoclassiche e art déco, piccoli parchi e piazzette con i nomi degli stati del Messico e delle città dell'America Latina. Almeno fino al 1985, quando un devastante terremoto si abbattè sul Distretto Federale distruggendo centinaia di edifici, soprattutto nel centro di Città del Messico.
Il film di Cuaròn ripercorre il periodo dell'infanzia del regista, all'inizio degli anni '70, epoca in cui il Messico coniugava spinte nazionaliste, politiche terzomondiste e violente repressioni delle proteste popolari. Lo sguardo del regista tiene in equilibrio la dimensione privata (la sua casa della fanciullezza, i rapporti tra i fratelli, il ruolo di Cleo, la domestica, le dinamiche tra i genitori) con quella pubblica (le periferie fatiscenti, il massacro del '71 degli studenti scesi in piazza).
Cuaròn ha affermato di aver attinto a piene mani alla sua biografia nella realizzazione della pellicola. Il film è visto attraverso gli occhi di Cleo, domestica indigena tuttofare che si occupa della casa, delle sette persone che ci vivono (padre, madre, nonna e quattro figli), del cane, lavorando senza tregua dal mattino alla sera, pulendo, facendo il bucato, mettendo i bambini a dormire, svegliandoli, servendo loro la colazione, pranzo e cena. Realizza questi compiti con una partecipazione affettiva che le viene riconosciuta e restituita dai minori.
La prospettiva di Cleo si salda a quella di Sofia, la sua "padrona". Donne molto diverse tra di loro -Sofia è una biochimica che appartiene alla media borghesia, è sposata con un medico, è di ascendenze spagnole; Cleo è una giovane indigena mixteca costretta a servire in una casa borghese-, sono accomunate dalla loro condizione femminile. Infatti, Cleo sarà abbandonata dal suo compagno appena gli comunica di essere incinta. Allo stesso tempo, il marito di Sofia lascia la moglie per un'altra donna e scompare dalla vita della sua famiglia.
In una società maschilista, le donne sono condannate a essere emarginate dal potere, sono relegate all'ambito famigliare e di cura dei figli. Eppure sono loro che garantiscono la continuità della specie, la riproduzione dell'educazione e della cura dell'altro, elementi indispensabili della civiltà e dell'assetto sociale.
Omaggio alle donne significative dell'infanzia del regista (Cuaron ha definito la sua tata come "la mia seconda madre"), "Roma" richiama, nonostante la differenza dei contesti, alcune opere fondamentali del neorealismo italiano: la stessa fotografia in un intenso bianco e nero, la stessa caratterizzazione efficace e non enfatica dei personaggi, le stesse periferie desolanti e degredate. Anche il richiamo ad alcune produzioni di Ozu non è infondato:
Credo tuttavia che la cifra dell'opera di Cuaròn risieda nel ritratto di un universo "salvato" dalle donne, sia metaforicamente, sia in senso proprio (emblematica la scena in cui Cleo, pur non sapendo nuotare, si avventura in mare per salvare i due bambini che rischiano di affogare tra le onde).
Un ottimo film, poco spettacolare, ma di grande spessore e profondità di lettura.
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antonio montefalcone
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martedì 4 dicembre 2018
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una rilettura del passato, intimistica e storica
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Dopo 5 anni dal pluripremiato con gli Oscar “Gravity”, Alfonso Cuarón è tornato nella sua terra natia, il Messico, dove esordì con “Y Tu Mama También”, per girare la sua pellicola più personale e autobiografica, “Roma”. L’opera è un interessante ed affascinante viaggio nella memoria, uno scavo nella mente e nei ricordi d’infanzia e familiari dello stesso regista.
Il desiderio di tornare non solo da dov’è partita la sua carriera da cineasta, ma soprattutto la sua esistenza, nasce da una voglia di cinema di impegno civile e denuncia provocatoriamente politica, di forte richiamo simbolico alla più problematica attualità americana, ma, soprattutto, da un bisogno di riconoscenza verso coloro che l’hanno cresciuto ed educato, figure femminili principalmente, donne con la “d” maiuscola, quelle più importanti della sua vita che si sono prodigate anima e corpo nella collaborazione domestica e quotidiana.
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Dopo 5 anni dal pluripremiato con gli Oscar “Gravity”, Alfonso Cuarón è tornato nella sua terra natia, il Messico, dove esordì con “Y Tu Mama También”, per girare la sua pellicola più personale e autobiografica, “Roma”. L’opera è un interessante ed affascinante viaggio nella memoria, uno scavo nella mente e nei ricordi d’infanzia e familiari dello stesso regista.
Il desiderio di tornare non solo da dov’è partita la sua carriera da cineasta, ma soprattutto la sua esistenza, nasce da una voglia di cinema di impegno civile e denuncia provocatoriamente politica, di forte richiamo simbolico alla più problematica attualità americana, ma, soprattutto, da un bisogno di riconoscenza verso coloro che l’hanno cresciuto ed educato, figure femminili principalmente, donne con la “d” maiuscola, quelle più importanti della sua vita che si sono prodigate anima e corpo nella collaborazione domestica e quotidiana. Per questo l’opera assomiglia molto ad un toccante abbraccio o ad una lettera d’amore, ricca di gratitudine ed affetto, verso lo spirito di sacrificio e di resistenza, tutte femminili.
Tra queste donne il film si sofferma sulla vita dell’india Cleo (Yalitza Aparicio, convincente attrice non professionista), giovane domestica di una famiglia benestante di origine spagnola, situata nel quartiere Colonia Roma (da qui il titolo del film) di Città del Messico del 1970. E’ lei a proteggere da avversità e tensioni, è lei che richiama a quel senso di maturità e responsabilità che spesso manca alle figure maschili. La domestica (anzi, le domestiche, l’altra è Adela – Nancy García García), ma anche la madre di Cuaron. Entrambe abbandonate dai propri uomini e unite da una solidarietà che va oltre le differenze di classe. A sua volta dolente allegoria di una transizione familiare nella quale si proietta quella di un’intera nazionale.
Sullo sfondo, infatti, il regista racconta e descrive un Messico afflitto da problemi, conflitti e rivolte sociali. Un ritratto di degrado ambientale e civile, fotografato in un periodo storico-politico nel passaggio tra il “vecchio” e il “nuovo” (vedi la sequenza del massacro del Corpus Christi del 10 giugno 1971), votato a cambiamenti e rivoluzioni epocali, non da tutti accettati e non sempre aperti verso miglioramenti e progresso.
L’opera di Cuaron coinvolge col suo fascino malinconico e nostalgico, intimo e intimistico, senza ricorrere alla spettacolarità che contraddistingueva i suoi precedenti film, ma puntando tutto con audacia alla sola emozionale dimensione umana, anch’essa in continua trasformazione, tra una parte che muore e un’altra che rinasce. Una dimensione (di ricordo infantile del regista, e non solo) che è un processo in divenire, fisico e spirituale insieme, e nel quale si compenetra disperazione e speranza, dolore e fiducia. Una dimensione fatta di elaborazioni psicoanalitiche, di sensazioni, stati d’animo, sentimenti, pensieri e azioni, che fa riflettere ed emozionare lo spettatore. E fa si che anche l’opera possa trasfigurare in bellezza ciò che è squallore, e trasfigurare la storia narrata nello struggente ritratto di una dignità umana di rara autenticità e intensità.
A comporre e contribuire a questo splendore visivo e narrativo è tutto l’apparato formale, esaltato dalla maestria tecnica del suo autore, che qui firma anche l’essenziale e lineare sceneggiatura, il fluido montaggio, la meravigliosa fotografia. Ottimi, inoltre, la ricostruzione d’ambiente (saturazione e geometrizzazione degli spazi), la scenografia (vi è l’utilizzo di mobili e oggetti della casa d’infanzia del regista), la regia, che si affida a bellissimi piani sequenza e riprese struggenti, alla cura per i dettagli più emblematici e alla raffinatezza di un bianco e neroin formato digitale, che va ad identificare il senso di memoria che avvolge l’intero film. Un bianco e nero non opacizzato o datato, bensì nitido e luminoso, efficace nella sua funzione rappresentativa ed espressiva, capace di parlare del passato e dell’intimità in modo elegante e nobile al tempo stesso.
Insomma, uno dei migliori film dell’anno, meritatamente vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia (il primo targato Netflix) e di altri prestigiosi premi internazionali.
Assolutamente da non perdere.
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vanessa zarastro
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lunedì 10 dicembre 2018
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come eravamo
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“Roma” è un bellissimo film in bianco e nero che narra un anno di vita di una famiglia borghese messicana, visto attraverso gli occhi di Cleo, la domestica mixteca. Alle vicende della famiglia, fanno da sfondo i contrasti sociali che in quegli anni hanno sconvolto il Paese.
Siamo nel 1970 a Mexico City, nel quartiere residenziale Colonia Roma nel centro della città impiantato agli inizi del XX secolo. La zona è costituita da casette a due piani abitate da professionisti benestanti: nel nostro caso Antonio è medico, Sofia è una biochimica. Con loro vive anche nonna Teresa, la madre di Sofia. Hanno quattro figli, tre maschietti e una femminuccia.
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“Roma” è un bellissimo film in bianco e nero che narra un anno di vita di una famiglia borghese messicana, visto attraverso gli occhi di Cleo, la domestica mixteca. Alle vicende della famiglia, fanno da sfondo i contrasti sociali che in quegli anni hanno sconvolto il Paese.
Siamo nel 1970 a Mexico City, nel quartiere residenziale Colonia Roma nel centro della città impiantato agli inizi del XX secolo. La zona è costituita da casette a due piani abitate da professionisti benestanti: nel nostro caso Antonio è medico, Sofia è una biochimica. Con loro vive anche nonna Teresa, la madre di Sofia. Hanno quattro figli, tre maschietti e una femminuccia. Il dott. Antonio però non è soddisfatto della sua vita affettiva, si mette con un’altra più giovane e se ne va da casa prospettando un’assenza di qualche settimana. Cleo accudisce i figli come fossero i propri: li sveglia, li veste, li va a prendere a scuola, ci gioca, li mette a letto e così via e loro le sono molto affezionati.
Contemporaneamente, nella vita parallela dei “piani bassi” la giovane Cleo conosce Fermìn il cugino di Ramon, fidanzato con Adela, l’altra domestica. Nasce ha una storia apparentemente di passione e lei rimane incinta. Appena lei gli comunica di avere un ritardo lui sparisce nella maniera più vigliacca e non risponderà mai a tutti i suoi messaggi. Sparisce nel nulla come dal nulla era spuntato. L’unica cosa che Cleo sa di lui è che è un maniaco delle arti marziali che lo hanno assorbito totalmente ma anche salvato da una vita di droghe e dipendenze varie.
Così tutti insieme passeranno il Natale dagli zii e il Capodanno nell’hacienda di amici e il regista rappresenta, con dovizia di dettagli, la vita sfarzosa dei latifondisti messicani con i loro svaghi.
C’era appena stata in Messico la Coppa del mondo Rimet, di cui si ricorda la famosissima partita Italia –Germania, detta “la partita del secolo” e vinta 4-3 dall’Italia in semifinale allo Stadio Atzeca di Città del Messico. Quelli sono anche anni di grandi tensioni sociali e di rivolta in Messico (e nel mondo). La strategia della paura ha avuto come palcoscenico la strage di studenti in piazza Tlatelolco del 1968, quella dell’halconazo del 1971, il massacro di Aguas Blancas del 1995, per poi arrivare ai danni della comunità chiapaneca de Las Abejas del 1997 e di innumerevoli altri episodi meno conosciuti.
Nel film, mentre la nonna e Cleo sono a comprare la culla per il futuro nascituro, il 10 giugno del 1971, avverrà sotto i loro occhi, l’aggressione agli studenti che manifestavano in sostegno a quelli di Monterrey - chiamata poi El Halconazo o il massacro del Corpus Domini - da parte del gruppo paramilitare Los Halcones a servizio dello stato. Il neo-eletto presidente Luis Echeverrìa Alvarez (dal 170 al 1976)aveva annunciato riforme di apertura democratica nel paese, permettendo il rientro di alcuni leader del Movimento studentesco del 1968 esiliati in Cile e la liberazione di altri. Ma così poi non fu. Lo shock di aver visto il padre del bimbo puntarle una pistola fa rompere le acque a Cleo che portata in ospedale urgentemente, ma a fatica dati gli ingorghi di traffico, le faranno nascere la neonata morta.
La parte conclusiva vede la reazione di Sofia che porta tutti per un paio di giorni sulla spiaggia di Veracruz e poi comunica di aver trovato un nuovo lavoro in una biblioteca e rivela ai figli la separazione definitiva da Antonio che in quel preciso momento è a portar via le proprie cose dalla loro casa di Città del Messico .
Dedicato a Libo, la tata di Cuaròn, il film è autobiografico. Per non rovinare la purezza del ricordo, il regista si è servito di attori non professionisti che scoprivano la sceneggiatura per intero giorno per giorno sulla scena. Questa scelta è finalizzata a ottenere emozioni spontanee e sincere sul set.
La crescita dei bambini in mano alle tate era diffusa anche in Italia, ragazze povere di provincia o di campagna che vivevano con le famiglie in città. Da un lato venivano sfruttate, dall’altra si costruiva un rapporto anche affettivo e facevano parte della famiglia. Ad esempio quando Cleo rimane incinta la signora Sofia e sua madre si prendono cura di lei e l’accompagnano dalla ginecologa, senza pensare un attimo al fatto che non fosse sposata.
Il regista nel film tratteggia i maschi come persone codarde che evitano le responsabilità, invece presenta due donne coraggiose, una che ha la forza di reagire anche alle difficoltà economiche dovute anche alla doppia vita del marito, l’altra che mostra sempre una grande dolcezza, ma va fino in fondo alla ricerca del padre del nascituro. Anzi quella è una delle scene più belle del film: Cleo si reca da Fermín durante una lezione di arti marziali in una landa desolata dove avviene il reclutamento. Lo aspetta, gli dichiara che il figlio è suo, ma lui la rifiuta insultandola.
Un’altra scena molto bella è quella del bucato sui terrazzi, dove si vede l’altra faccia delle case borghesi. Divertente è anche l’ingresso dell’enorme Galaxy, una vecchia Ford di quegli anni, nell’androne adibito a garage tra le cacche del cagnolino trascurato che nessuno fa uscire.
Il film presenta una fotografia perfetta, uno studio maniacale della messa in scena, una grande attenzione ai suoni, voci e rumori. È stato premiato con il Leone d’oro al Festival di Venezia, ha ottenuto tre candidature ai Golden Globes e rappresenta il Messico agli Oscar 2019.
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toni mais
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giovedì 31 gennaio 2019
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cleo, il cielo, l'umanità
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Quando si vuole diagnosticare il male di un organismo complesso si preleva un piccolo campione di tessuto, lo si scolora, lo si mette tra due vetrini e lo si osserva al microscopio . Questo ha fatto Alfonso Cuaròn : ha analizzato non il Messico tutto , non Mexico City ma Roma un quartiere della media bassa borghesia , in un momento di grandi tensioni sociali culminate nell'esproprio delle terre coltivate dai campesinos , lo ha trattato in bianco e nero , è entrato nei meandri dell'animo umano ed è riuscito a separare il bene dal male: il male universale viene battuto dal bene individuale fatto di dolcezza, rassegnata tenerezza, di profonda umanità coniugata tutta al femminile.
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Quando si vuole diagnosticare il male di un organismo complesso si preleva un piccolo campione di tessuto, lo si scolora, lo si mette tra due vetrini e lo si osserva al microscopio . Questo ha fatto Alfonso Cuaròn : ha analizzato non il Messico tutto , non Mexico City ma Roma un quartiere della media bassa borghesia , in un momento di grandi tensioni sociali culminate nell'esproprio delle terre coltivate dai campesinos , lo ha trattato in bianco e nero , è entrato nei meandri dell'animo umano ed è riuscito a separare il bene dal male: il male universale viene battuto dal bene individuale fatto di dolcezza, rassegnata tenerezza, di profonda umanità coniugata tutta al femminile. Le sconfitte individuali dell'eroina Cleo sono la vera vittoria su un'umanità profondamente ingiusta ottusamente, vilmente maschilista, La prima scena con i titoli di testa ancora in sovra impressione anticipa il contenuto della storia , le scene finali del film lo riprenderanno : l'acqua scorre a secchiate ripulendo un pavimento destinato ad essere perennemente lordato dalle cacche del cane ( metafora della vita ) , Cleo lo pulisce e ripulisce ed in questa apparentemente inutile attività sta la sua forza , la sua caparbietà nel non voler arrendersi compiendo gesti ripetitivamente inutili. Apprezzabile anche la metafora di una vita di coppia divenuta sempre più stretta ed angusta rappresentata dalla difficoltà dell'auto del marito e della Galaxy della moglie a "penetrare " l'androne garage senza lacerazioni ( ricorda la limousine del film di Lars von Trier incapace di penetrare una stradina piena di tornanti ) .II film poi non poteva essere realizzato se non in bianco e nero: il colore avrebbe insospettabilmente appiattito tutta la storia . L'assenza di colore invita lo spettatore ad una visione manichea del film : Il bene da una parte il male dall'altra. La drammaticità di tutte le scene assume caratteri di alta poesia. il film può piacere o non piacere così come tutta la produzione artistica dell'uomo ma non è questa la funzione dell'arte : l'artista deve far comprendere . Cuaron ha raggiunto lo scopo che si era dato : farci amare i vinti ( vinti scorrettamente ) , muoverci a compassione dei vinti (che nel quotidiano sono i veri vincitori ), odiare chi dispone del potere senza esserne all'altezza . Il film termina con Cleo che s'inerpica su di una ripidissima scala verso il cielo dove qualcosa di nuovo l'attende
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samanta
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domenica 3 marzo 2019
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cominciamo un'altra avventura ...
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Il film Roma (non c'entra nulla con la capitale italiana ma è il nome del quartiere dove viveva a Citta del Messico il regista) ed è ambientato nella capitale messicana tra il 1971 e il 1972 alla viglilia delle Olimpiadi che imponenti manifestazioni studentesche represse nel sangue dalla polizia (i famosi Granaderos) cercarono di impdire. Il regista Alfonso Cuaròn (Oscar per la regia di Gravity nel 2013) è anche autore del soggetto, sceneggiatore e co-produttore, come regista ha diretto pochi film (Da segnalare La piccola principessa, Harry Potter e il prigioniero Azkaban) dimostrando un notevole eccletismo..
[Spoiler] Cleo (Yalitza Aparicio) è domestica in una casa borghese la padrona è Sofia (Marina de Tavira) sposato con il medico Antonio figura evanescente che l'abbandona con i 4 figli, quanto a Cleo si innamora, ancora vergine, di Fermin un poco di buono che quando scopre che è incinta l'abbandona di brutto e si arruola negli squadroni della morte che fanno il lavoro sporco per la polizia nella repressione delle manifestazioni.
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Il film Roma (non c'entra nulla con la capitale italiana ma è il nome del quartiere dove viveva a Citta del Messico il regista) ed è ambientato nella capitale messicana tra il 1971 e il 1972 alla viglilia delle Olimpiadi che imponenti manifestazioni studentesche represse nel sangue dalla polizia (i famosi Granaderos) cercarono di impdire. Il regista Alfonso Cuaròn (Oscar per la regia di Gravity nel 2013) è anche autore del soggetto, sceneggiatore e co-produttore, come regista ha diretto pochi film (Da segnalare La piccola principessa, Harry Potter e il prigioniero Azkaban) dimostrando un notevole eccletismo..
[Spoiler] Cleo (Yalitza Aparicio) è domestica in una casa borghese la padrona è Sofia (Marina de Tavira) sposato con il medico Antonio figura evanescente che l'abbandona con i 4 figli, quanto a Cleo si innamora, ancora vergine, di Fermin un poco di buono che quando scopre che è incinta l'abbandona di brutto e si arruola negli squadroni della morte che fanno il lavoro sporco per la polizia nella repressione delle manifestazioni. Impaurita si rivolge alla padrona che non solo non la licenzia come temeva, ma l'aiuta nella gravidanza, proprio quando con la madre di sofia va a comprare la culla al termine della gravidanza, si rompono le acque e arriva in ritardo nell'ospedale bloccata in macchina dai cortei, la bambina nasce morta. Sofia porta i figli e Cleo al mare e rivela la verità ai figli e a Cleo il padre è a casa a portare via le sue cose, lei ha trovato un impiego più lucroso perchè il marito che vive con l'amante non ha soldi, e davanti alla domanda stringendo i figli e Cleo dice "coraggio cominciamo un'altra avventura".
E' un film strano francamente un pò noioso, ed è di un'asciuttezza troppo spinta, i dialoghi sono abbastanza succinti e non riescono sempre a descrivere la bellezza e la profondità delle due figure femminili: Sofia sembra un pò vivere tra le nuvole (comica la sua guida), ma possiede una generosità notevole e quando le avversità la colpiscono reagisce con maturità mosso da un senso di amore gratuito, Cleo sembra una figura rassegnata, ma in realtà accetta le avversità e cerca di reagire positivamente come quando al mare pur non sapendo nuotare salva due dei bambini.
Una scena splendida per delicatezza è il parto di Cleo, le sue lacrime mentre abbraccia la bambina morta, colpiscono il cuore come il rispetto, la dolcezza e la comprensione del medico e del personale. Spero che questa scena faccia venire un sussulto di coscienza al legislatore di New York che permette l'aborto fino a 9 mesi e gli faccia capire che cosa è un bimbo a 9 mesi, sarebbe più importante dell'Oscar che Cuaròn ha rcevuto come migliore film straniero del 2018.
Il film è in bianco e nero e in lingua originale (spagnolo) con i sottotitoli in italiano.
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kimkiduk
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lunedì 14 gennaio 2019
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meraviglioso
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Finalmente l'ho visto, dopo tanto e meritava davvero. Un film perfetto, come non ne vedevo da tanto tempo.
Ci sono film bellissimi che, per essere ricordati, si servono di effetti speciali, di storie frenetiche, di avvenimenti particolari o altro; poi ci sono film come Roma che non si servono di niente se non dei "ricordi" di una vita normale in una famiglia borghese degli anni '70 a Città del Messico.
Penso sia molto più difficile raccontare apparentemente "il niente" e il "normale", colpendo la mente ed il cuore di chi guarda questo film.
2 h. e 20 che mi aspettavo belle ma forse faticose (Gravity non mi aveva entusiasmato) ed invece mi sono volate via facendomi commuovere, pensare, interessare e come sempre dopo ripensare, leggere degli atti citati del film e discuterne per ore.
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Finalmente l'ho visto, dopo tanto e meritava davvero. Un film perfetto, come non ne vedevo da tanto tempo.
Ci sono film bellissimi che, per essere ricordati, si servono di effetti speciali, di storie frenetiche, di avvenimenti particolari o altro; poi ci sono film come Roma che non si servono di niente se non dei "ricordi" di una vita normale in una famiglia borghese degli anni '70 a Città del Messico.
Penso sia molto più difficile raccontare apparentemente "il niente" e il "normale", colpendo la mente ed il cuore di chi guarda questo film.
2 h. e 20 che mi aspettavo belle ma forse faticose (Gravity non mi aveva entusiasmato) ed invece mi sono volate via facendomi commuovere, pensare, interessare e come sempre dopo ripensare, leggere degli atti citati del film e discuterne per ore.
Questo è cinema con la C maiuscola, meritevole della vittoria a Venezia (credo senza nemmeno tanto lottare essendo un film superiore) e di candidature agli Oscar, con vittoria molto probabile.
La regia è semplicemente mostruosa, inquadrature e tempi tecnici perfetti, ma Cuaron è il montatore anche (ha già vinto un Oscar per il montaggio) è anche lo sceneggiatore (essendo autobiografico non poteva essere diversamente) e proprio per questo merita ancora di più.
Cleo era la sua tata davvero e la ricostruzione del personaggio (centrale per tutto il film) è assoluto servendosi di poche parole e di pochi gesti. Evidentemente (lo ha dichiarato Cuaron) l'ha vista sempre così, essenziale, indispensabile, splendida, la sua seconda madre.
Toccante Cleo nella sua semplicità, nei suoi drammi, nella sua vita di "inferiore superiorità" inferiore socialmente, superiore per la sua importanza.
Toccante nell'avere una famiglia non sua da amare ed un sua che non ha potuto avere.
A parte resta la noia del discorso politico-tecnico di Netflix. Quello che penso io conta poco e non credo qui sia il luogo giusto dove scriverlo, ma so solo che ho aspettato troppo per vederlo ed è bello vederlo al cinema come per tutti i grandi film, chiamandosi CINEMA e questo lo è.
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fabio
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sabato 23 febbraio 2019
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una famiglia bene nel messico anni '70
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Parte lento ma va'in crescendo. La scelta del b/n aumenta l'effetto drammatico e del ricordo. La storia ha una struttura semplice fatta di ricordi d'infanzia: la separazione dei genitori, il dramma per la perdita di una figlia, i contrasti tra studenti e polizia. Tutto è narrato in modo realistico, senza metafore, senza visioni o simboli. Il film è commovente ma non riesce a toccare corde profonde, sembra restare sospeso in superficie.
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mauro.t
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giovedì 27 dicembre 2018
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neorealismo messicano
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Film ambientato nel 1970 in un quartiere bene di Città del Messico. Periodo di lotte popolari e di reazioni governative violente. Cleo, una ragazza india, fa la domestica in una famiglia medio-borghese. A lei sono destinati una serie di lavori, dal mettere a letto i bambini a pulire la merda del cane. E’ brava, servizievole, ingenua. Rimane incinta di un disgraziato che non ammette la paternità. Cleo, donna indigena e povera, paria della società, porta il peso delle differenze sociali e delle mancanze altrui. E ne è cosciente. E’ così stanca che trova divertente stendersi accanto al bambino che fa finta di essere morto, simulando anche lei.
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Film ambientato nel 1970 in un quartiere bene di Città del Messico. Periodo di lotte popolari e di reazioni governative violente. Cleo, una ragazza india, fa la domestica in una famiglia medio-borghese. A lei sono destinati una serie di lavori, dal mettere a letto i bambini a pulire la merda del cane. E’ brava, servizievole, ingenua. Rimane incinta di un disgraziato che non ammette la paternità. Cleo, donna indigena e povera, paria della società, porta il peso delle differenze sociali e delle mancanze altrui. E ne è cosciente. E’ così stanca che trova divertente stendersi accanto al bambino che fa finta di essere morto, simulando anche lei. Cleo non lotta per cambiare le cose, accetta e patisce. La ragazza è la colonna portante di tutta la famiglia, l’unica persona su cui i bambini possono fare completo affidamento. Non a caso, mentre gli apprendisti guerrieri paramilitari non riescono a stare in equilibrio su una gamba sola a occhi chiusi, lei è l’unica che ne è in grado, segno di una persona estremamente centrata ed equilibrata. Cleo è piena di dignità e di dolcezza e, pur non essendo colpevole, sente rimorso per la sua bambina nata morta. Al contrario, Firmìn, il padre di suo figlio, la minaccia quando lei gli rivela il suo stato e Antonio, il medico padrone di casa, non sembra provare sensi di colpa per avere abbandonato la famiglia. Gli uomini del film, incapaci di prendersi le loro responsabilità, fanno una pessima figura, sia i proletari che i benestanti. Potente il ritratto dei latifondisti amici di famiglia, insensibili, inetti e tesi a conservare le loro tradizioni e i loro privilegi. Sofia, la padrona di casa, ha i suoi limiti e i suoi problemi, tuttavia, non solo non licenzia Cleo quando questa rimane incinta, ma ne diventa amica e protettrice. Anche la nonna dei bambini le sta vicino accompagnandola a comprare una culla. E’ un caso in cui la solidarietà femminile rompe i confini di classe. Oltre alla trama, di per sé avvincente, alcune scene sono di un simbolismo che coglie nel segno: l’acqua sul pavimento che pulisce gli escrementi del cane, l’auto enorme del padrone di casa che passa a stento per l’ingresso. Splendido esordio per l’attrice dilettante Yalitza Aparicio, viso perfetto da amerindia scolpito nella pietra. Dichiaratamente ispirato al neorealismo italiano, il film in bianco e nero ne è un degnissimo epigono e fa apparire il genere niente affatto superato. Nella storia ci sono un serie di temi: la condizione della donna, le differenze di classe, lo sfondo di un periodo storico drammatico per il Messico, il tutto basato sui ricordi autobiografici del regista. Partire dalle storie personali, tangendo la situazione sociale, è l’approccio più efficace e segno del miglior talento. Tutto si tiene. Grandissimo.
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cinephilo
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domenica 6 gennaio 2019
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il microcosmo di una donna sola e generosa.
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Un film bellissimo. Un anno di vita di una famiglia benestante nel quartiere Roma di Città dal Messico vista dagli occhi della giovane governante che si prende cura dei bambini di famiglia. A fare da sfondo le vicende di un controverso Messico del '70 e le vicissitudini che la giovane ragazza deve affrontare in una società che sembra non avere troppo occhio di riguardo verso le donne. Il film meriterebbe 5 stelle di voto se non fosse per la caratterizzazione della protagonista il cui personaggio viene disegnato con un fare troppo "lagnoso" quasi "remissivo" . Insomma un film che ha l'unico difettuccio di cercare troppo la lacrima facile in più di un'occasione.
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Un film bellissimo. Un anno di vita di una famiglia benestante nel quartiere Roma di Città dal Messico vista dagli occhi della giovane governante che si prende cura dei bambini di famiglia. A fare da sfondo le vicende di un controverso Messico del '70 e le vicissitudini che la giovane ragazza deve affrontare in una società che sembra non avere troppo occhio di riguardo verso le donne. Il film meriterebbe 5 stelle di voto se non fosse per la caratterizzazione della protagonista il cui personaggio viene disegnato con un fare troppo "lagnoso" quasi "remissivo" . Insomma un film che ha l'unico difettuccio di cercare troppo la lacrima facile in più di un'occasione. Per il resto fantastica la regia di Cuaròn che spesso in passato, conscio della propria bravura, si era perso in virtuosismi un po' vuoti e inutili ma che stavolta fa pieno centro con il suo film forse più maturo. Fantastica anche la fotografia e quel bianco e nero che sembra rievocare i vecchi ricordi del regista e della sua infanzia in Messico con tutta la voglia di rendere omaggio alla tata che lo ha cresciuto.
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fabiofeli
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domenica 6 gennaio 2019
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"non è poi così male essere morti!"
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Cleo (Yalitza Aparicio), una india, ha appena finito di lavare il pavimento dell’ingresso di una grande casa e la cinepresa la segue in un lungo piano-sequenza su una scala che porta alle camere da letto dei padroni di casa e dei loro 4 bambini; la giovane si reca in cucina a dare istruzioni alla cuoca: è la tuttofare presso la famiglia alto-borghese che vive nel quartiere Roma di Città del Messico, agli inizi degli anni ’70. Cleo non sembra spaventata dalla mole di lavoro, anche se, imitando uno dei bambini che gioca a fingersi morto, si sdraia accanto a lui e commenta: “Non è poi così male essere morti!”.
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Cleo (Yalitza Aparicio), una india, ha appena finito di lavare il pavimento dell’ingresso di una grande casa e la cinepresa la segue in un lungo piano-sequenza su una scala che porta alle camere da letto dei padroni di casa e dei loro 4 bambini; la giovane si reca in cucina a dare istruzioni alla cuoca: è la tuttofare presso la famiglia alto-borghese che vive nel quartiere Roma di Città del Messico, agli inizi degli anni ’70. Cleo non sembra spaventata dalla mole di lavoro, anche se, imitando uno dei bambini che gioca a fingersi morto, si sdraia accanto a lui e commenta: “Non è poi così male essere morti!”. Il padrone di casa sta facendo uno stage in Canada che sembra durare molto a lungo, tanto che la moglie spinge i figli a scrivere cartoline e lettere al padre lontano, con l’accorato appello: - Torna presto! …
Alfonso Cuaròn nel 2014 ha ottenuto ben 7 premi Oscar con Gravity (con la Bullock e Clooney), presentato a Venezia nell’Agosto 2013. Negli USA Cuaròn ha girato altri film (un Harry Potter) documentari e serie tv, ma qui punta tutto sulla sua storia personale: Cleo è stata la sua “tata”. Una donna apparentemente debole e sottomessa, ma intelligente e modesta, per nulla diversa dalle giovani di estrazione contadina che vanno o andavano a servizio presso famiglie numerose. In Italia trovavano impiego giovani, per lo più provenienti dal Veneto o dal profondo sud, in genere con scarsa alfabetizzazione, con tradizioni familiari cattoliche, ma spesso con una dote di praticità data dal lavoro in casa d’altri che le rendevano preziose anche dal punto di vista educativo per bambine e bambini; oggi le tate spesso provengono da altri paesi, in particolare Sudamericani. Gli anni del film descrivono un’epoca inquieta del Messico: nel settembre 1968 c’erano stati morti tra gli studenti nei moti di piazza per protestare contro i costi sostenuti per le Olimpiadi, aperte due settimane dopo. In quegli anni i latifondisti non si vergognavano di fare propaganda elettorale per il loro partito in regioni povere e in paesi di baracche con fogne a cielo aperto. Simili partiti nel 1970 reclutavano giovani squadristi per intimidire ed aggredire i campesinos che rivendicavano la proprietà di terre da lavorare e per reprimere le manifestazioni di studenti contro la privatizzazione delle scuole superiori e delle Università. Tra i giovani squadristi che si addestravano alle arti marziali vediamo Firmìn che ha messo incinta Cleo; lei rifiuta la maternità quando si rende conto che il padre del bambino è una persona violenta ed indegna. E’ dotata di un grande equilibrio emotivo, tanto che è l’unica che riesce ad appoggiare un piede sull’altra gamba ad occhi chiusi; è un esercizio che i giovani squadristi in addestramento non riescono a fare (nessuna meraviglia: in fondo sono giovani squilibrati). Cleo riesce anche a vincere la paura atavica del mare – lei che non sa nuotare – per tirare f uori dalla morsa della risacca dell’oceano due dei figli dei padroni di casa, uno dei quali dovrebbe essere proprio Alfonso bambino. Cuaròn ha girato questo film in un rigoroso bianco e nero per dirci che la sua tata è come una sorella maggiore, una seconda madre. E quando parla il cuore … Da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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