Roma

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Come eravamo Valutazione 4 stelle su cinque

di vanessa zarastro


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lunedì 10 dicembre 2018

Roma” è un bellissimo film in bianco e nero che narra un anno di vita di una famiglia borghese messicana, visto attraverso gli occhi di Cleo, la domestica mixteca. Alle vicende della famiglia, fanno da sfondo i contrasti sociali che in quegli anni hanno sconvolto il Paese.
Siamo nel 1970 a Mexico City, nel quartiere residenziale Colonia Roma nel centro della città impiantato agli inizi del XX secolo. La zona è costituita da casette a due piani abitate da professionisti benestanti: nel nostro caso Antonio è medico, Sofia è una biochimica. Con loro vive anche nonna Teresa, la madre di Sofia. Hanno quattro figli, tre maschietti e una femminuccia. Il dott. Antonio però non è soddisfatto della sua vita affettiva, si mette con un’altra più giovane e se ne va da casa prospettando un’assenza di qualche settimana. Cleo accudisce i figli come fossero i propri: li sveglia, li veste, li va a prendere a scuola, ci gioca, li mette a letto e così via e loro le sono molto affezionati.
Contemporaneamente, nella vita parallela dei “piani bassi” la giovane Cleo conosce Fermìn il cugino di Ramon, fidanzato con Adela, l’altra domestica. Nasce ha una storia apparentemente di passione e lei rimane incinta. Appena lei gli comunica di avere un ritardo lui sparisce nella maniera più vigliacca e non risponderà mai a tutti i suoi messaggi. Sparisce nel nulla come dal nulla era spuntato. L’unica cosa che Cleo sa di lui è che è un maniaco delle arti marziali che lo hanno assorbito totalmente ma anche salvato da una vita di droghe e dipendenze varie.
Così tutti insieme passeranno il Natale dagli zii e il Capodanno nell’hacienda di amici e il regista rappresenta, con dovizia di dettagli, la vita sfarzosa dei latifondisti messicani con i loro svaghi.
C’era appena stata in Messico la Coppa del mondo Rimet, di cui si ricorda la famosissima partita Italia –Germania, detta “la partita del secolo” e vinta 4-3 dall’Italia in semifinale allo Stadio Atzeca di Città del Messico. Quelli sono anche anni di grandi tensioni sociali e di rivolta in Messico (e nel mondo). La strategia della paura ha avuto come palcoscenico la strage di studenti in piazza Tlatelolco del 1968, quella dell’halconazo del 1971, il massacro di Aguas Blancas del 1995, per poi arrivare ai danni della comunità chiapaneca de Las Abejas del 1997 e di innumerevoli altri episodi meno conosciuti.
Nel film, mentre la nonna e Cleo sono a comprare la culla per il futuro nascituro, il 10 giugno del 1971, avverrà sotto i loro occhi, l’aggressione agli studenti che manifestavano in sostegno a quelli di Monterrey - chiamata poi El Halconazo o il massacro del Corpus Domini - da parte del gruppo paramilitare Los Halcones a servizio dello stato. Il neo-eletto presidente Luis Echeverrìa Alvarez (dal 170 al 1976)aveva annunciato riforme di apertura democratica nel paese, permettendo il rientro di alcuni leader del Movimento studentesco del 1968 esiliati in Cile e la liberazione di altri. Ma così poi non fu. Lo shock di aver visto il padre del bimbo puntarle una pistola fa rompere le acque a Cleo che portata in ospedale urgentemente, ma a fatica dati gli ingorghi di traffico, le faranno nascere la neonata morta.
La parte conclusiva vede la reazione di Sofia che porta tutti per un paio di giorni sulla spiaggia di Veracruz e poi comunica di aver trovato un nuovo lavoro in una biblioteca e rivela ai figli la separazione definitiva da Antonio che in quel preciso momento è a portar via le proprie cose dalla loro casa di Città del Messico .
Dedicato a Libo, la tata di Cuaròn, il film è autobiografico. Per non rovinare la purezza del ricordo, il regista si è servito di attori non professionisti che scoprivano la sceneggiatura per intero giorno per giorno sulla scena. Questa scelta è finalizzata a ottenere emozioni spontanee e sincere sul set.
La crescita dei bambini in mano alle tate era diffusa anche in Italia, ragazze povere di provincia o di campagna che vivevano con le famiglie in città. Da un lato venivano sfruttate, dall’altra si costruiva un rapporto anche affettivo e facevano parte della famiglia. Ad esempio quando Cleo rimane incinta la signora Sofia e sua madre si prendono cura di lei e l’accompagnano dalla ginecologa, senza pensare un attimo al fatto che non fosse sposata.
Il regista nel film tratteggia i maschi come persone codarde che evitano le responsabilità, invece presenta due donne coraggiose, una che ha la forza di reagire anche alle difficoltà economiche dovute anche alla doppia vita del marito, l’altra che mostra sempre una grande dolcezza, ma va fino in fondo alla ricerca del padre del nascituro. Anzi quella è una delle scene più belle del film: Cleo si reca da Fermín durante una lezione di arti marziali in una landa desolata dove avviene il reclutamento. Lo aspetta, gli dichiara che il figlio è suo, ma lui la rifiuta insultandola.
Un’altra scena molto bella è quella del bucato sui terrazzi, dove si vede l’altra faccia delle case borghesi. Divertente è anche l’ingresso dell’enorme Galaxy, una vecchia Ford di quegli anni, nell’androne adibito a garage tra le cacche del cagnolino trascurato che nessuno fa uscire.
Il film presenta una fotografia perfetta, uno studio maniacale della messa in scena, una grande attenzione ai suoni, voci e rumori. È stato premiato con il Leone d’oro al Festival di Venezia, ha ottenuto tre candidature ai Golden Globes e rappresenta il Messico agli Oscar 2019.

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