Titolo originale | La tierra y la sombra |
Titolo internazionale | LAND AND SHADE |
Anno | 2015 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Colombia, Francia, Paesi Bassi |
Durata | 97 minuti |
Regia di | César Augusto Acevedo |
Attori | Haimer Leal, Hilda Ruiz, Marleyda Soto, Edison Raigosa, José Felipe Cárdenas . |
Uscita | giovedì 24 settembre 2015 |
Tag | Da vedere 2015 |
Distribuzione | Satine Film |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,36 su 8 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento mercoledì 8 novembre 2017
Un vecchio contadino torna nella sua casa natale ma non riesce a sentirsi a suo agio a causa di una devastazione del mondo attorno che non riconosce più. Il film è stato premiato al Festival di Cannes,
CONSIGLIATO SÌ
|
Alfonso, anziano campesino che ha lasciato la sua famiglia e la sua terra diciassette anni prima, ritorna a casa. A muoverne i passi la salute del figlio, che versa in condizioni precarie a causa di una malattia respiratoria. Tollerato a fatica dalla vecchia consorte, che non gli perdona il passato, Alfonso partecipa con valore e pudore all'economia domestica famigliare, accudendo figlio e nipote in assenza delle donne, occupate in una piantagione di canna da zucchero. Subentrate nella raccolta a Geraldo, suocera e nuora combattano ogni giorno contro l'asprezza del mestiere e l'illegittimità di un regime lavorativo che pretende produttività in cambio di un salario prorogato. Esperanza vorrebbe andar via ma Geraldo è bloccato dall'affezione e dall'affetto che porta a quella madre ostinata a restare e resistere nella sua fattoria mentre la campagna intorno brucia sotto il vento del 'progresso'. Tra un incendio che avvampa e una vita smorzata, tra un aquilone che si solleva e troppa polvere che si posa, Alfonso infilerà nuovamente la strada per scampare il nipote e mettere in movimento il domani.
Opera prima di César Acevedo, Un mondo fragile è tutto in un piano sequenza, quello iniziale. Un uomo si stacca dal fondo e avanza con una valigia in mano lungo una strada sterrata, dietro di lui un enorme camion compare sollevando al suo passaggio la polvere. Raggiunto l'uomo con la valigia il mezzo produce un suono d'apocalisse avvolgendolo in una nuvola di polvere. Polvere invalidante che penetra l'esistenza e spezza il respiro degli uomini. In un minuto il regista colombiano riassume quello che Christopher Nolan ha impiegato lustri a spiegare: quella 'terra' è invivibile a lungo termine per chi avesse deciso per un avvenire a lungo termine. Eppure da qualche parte, nella Colombia arida di Acevedo, una donna prova a resistere dentro la sua fattoria e a fianco del figlio, riparato sotto un lenzuolo bianco, che rinforza poeticamente l'impressione di osservare qualcuno già morto e protegge i suoi polmoni dal mondo esteriore, che piove cenere, terra, polvere.
Ed è la polvere a comporre il film di Acevedo e a diventare componente dei suoi quadri. È dappertutto, entra da porte e finestre (senza vetri), penetra da ogni angolo di piano, vola, si deposita e si confonde al fumo dei campi, incendiati da una volontà di potare e 'recidere'. È ancora lei a spingere i protagonisti all'esilio per far meglio che sopravvivere con un lavoro che tende le braccia come rami ma non paga (letteralmente). In parallelo al nucleo familiare rurale, raccolto in una 'veglia funebre' precorsa, Un mondo fragile svolge la ribellione e la rassegnazione dei raccoglitori di canna da zucchero a cui il giorno di paga è rimesso sempre all'indomani, come un peccato. In questa terra appiccata dal 'progresso' e soffocata nei sogni, ritorna un uomo, un fantasma dal passato, una 'voce' aggrappata a una società rurale che sembra uscita dalle pagine di Juan Rulfo.
Dell'orizzonte magico della letteratura di Rulfo, Un mondo fragile condivide la pienezza arcaica e l'universo interiorizzato, frammentario e fantasmagorico, un luogo lontano dalla modernità non per convinzione ma per mancanza di mezzi. Un mondo muto e isolato dove i protagonisti osservano la propria vita scorrere, il proprio nipote giocare, la propria consorte appassire, il proprio figlio morire. Nessuno se ne lamenta, così è la vita. Ogni generazione genera la seguente cosciente che quell'esistenza, con le sue espressioni di gioia e le sue lunghe frasi di tristezza, si paga, qualche volta troppo cara. Una vita che passa tutta tra una casa, un albero, una panchina e le piantagioni intorno dove guardiamo un uomo cercare di nuovo il suo posto in famiglia. Una famiglia che vuole salvare, voltando pagina e scommettendo sul nuovo. Alfonso non si trasforma, non rinnega e non nega, si posiziona nella sua stessa identità, di fronte a se stesso e alla sua verità che non è altro se non la libertà di scegliere come si vuole vivere.
César Acevedo indaga con occhi (im)pietosi e lucidi il presente e il recente passato del suo paese, la fase acuta di una crisi sociale esplorata da un cinema intraprendente che fa il paio con quello di Pablo Trapero (El Clan), Pablo Larraín (The Club), Lorenzo Vigas (Desde allà), Gabriel Mascaro (Boi Neon). Un cinema vivo, fisico e immerso, capace di tradurre il senso di un profondo disagio collettivo in espressioni di rinascita. Un cinema 'in marcia' con una qualità pressoché unica oggi: quella di essere necessario.
Dopo aver lasciato il proprio paese d'origine da molti anni, un umile lavoratore di canna da zucchero torna a casa per incontrare il nipote e affrontare le difficoltà che la sua famiglia stata costretta ad attraversare negli anni della sua assenza.
Un’epica della terra, della famiglia, della casa ancestrale diventati realtà devastate e negate ne “La tierra y la sombra” di César Acevedo. Nel film la terra è quella della Valle del Cauca, in Bolivia, dove la monocultura latifondistica della canna da zucchero ha devastato il suolo azzerando le colture e i modi di vita tradizionali.
"Un Mondo Fragile" costituisce una sorta di documentario denuncia di un mondo che sta rapidamente cambiando e, purtroppo, verso una condizione tendente al peggio. La vicenda riguarda la condizione problematica della Colombia del regista César Augusto Acevedo che, attraverso gli occhi dell'anziano protagonista maschile, dà un ritratto triste e dolente del proprio paese destinato ad un cambiamento [...] Vai alla recensione »
Il titolo originale (la tierra y la sombra) senz'altro è più attinente e specifico di quello italiano (il generico "un mondo fragile"). L'ombra è quella rassicurante e accogliente dell'albero del pane sotto cui i personaggi del film si fermano spesso a discutere e riflettere sulla loro esistenza. La terra dovrebbe essere la terra-madre capace di nutrire [...] Vai alla recensione »
Scarno, spoglio nell’immagine, nei personaggi, nel dialogo, nei mezzi cinematografici ed economici, quanto poetico, tragico e amaro nel portare senza infingimenti lo sguardo sotto la cenere della vita e della storia. Una nonna, una madre, un padre gravemente malato di enfisema polmonare, un bambino dentro una disadorna e isolata casupola: poi torna da lontano, da chissà dove anche il [...] Vai alla recensione »
Un bel film sotto tutti i punti di vista. Regia in luce naturale, gli attori consumati dalla vita,la sceneggiatura improntata sul sacrificio.. Un film che parla di sentimenti,quelli del padre Alfonso, e delle speranze di Esperanza.. Leggero e toccate come pochi film, bravo il regista nel non prolungare oltre l'agonia del padre e la durata del film.. Ottimo film, davvero
Un nonno che torna in una fattoria sperduta tra immensi campi di canna da zucchero. Un figlio ancora giovane ma malato. Una moglie ormai anziana, abbandonata in quel buco anni prima, che ora non vuole nemmeno parlargli. La moglie e il bambino del figlio morente. E tutt'intorno un paesaggio che è puro "realismo fantastico" (infatti siamo in Colombia, patria di Marquez), anche se è tutto vero.
Il titolo originale del film Caméra d'or allo scorso festival di Cannes, La tierra y la sombra, La terra e l'ombra, restituisce con forse maggiore precisione il paesaggio fisico, umano, emozionale che ne è il protagonista. Una terra grigia, resa buia dalla polvere che ne allucina i colori e i contorni divorando i polmoni degli uomini e le foglie delle piante.
Colombia, l'inferno dei corteros, i tagliatori di canne da zucchero: foglie come rasoi, acque inquinate, la cenere dei fuochi ad ammazzare i polmoni. Dopo 17 anni, il vecchio contadino Alfonso (Leal, non professionista come tutti gli attori) torna a casa: il figlio Gerardo è allettato, la nuora vorrebbe andarsene, la moglie no. Non ci pensa proprio: quella casa è tutto, sebbene piova cenere e gli incendi [...] Vai alla recensione »
Dopo l7 anni il campesino Alfonso torna per assistere il figlio morente, aiutando nuora e nipotino, respinto dalla moglie che non gli perdona l'abbandono. Famiglia, terra, casa, miseria e malattia, l'esodo e il ritorno per un altro esodo. Bruciando le canne da zucchero per il raccolto i contadini respirano cenere, si ammalano e crepano. Le multinazionali, proprietarie anche dei terreni, sfruttano [...] Vai alla recensione »
Preoccupato per la salute di suo figlio, affetto da una grave malattia respiratoria, Alfonso, vecchio contadino colombiano, torna a casa, dalla terra e dalla famiglia abbandonate molti anni prima. Qui si prende cura dell'ammalato e del nipotino mentre le donne, la moglie e la nuora, lavorano in una piantagione di canna da zucchero e attendono un salario che non arriva mai.
Micidiale pizza colombiana, puntuale premio a Cannes per il miglior esordio. Un vecchio contadino torna a casa dopo anni per salutare il figlio morente. Accanto a lui, la rancorosa ex moglie, la nuora e il nipotino. Ritmo da tartaruga zoppa e inquadrature insistite su oggetti svariati. Molte le scene buie, in cui non si vede nulla. Senza dubbio le più appassionanti.