zarar
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martedì 6 ottobre 2015
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un'umanità schiacciata al margine
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Un’epica della terra, della famiglia, della casa ancestrale diventati realtà devastate e negate ne “La tierra y la sombra” di César Acevedo. Nel film la terra è quella della Valle del Cauca, in Bolivia, dove la monocultura latifondistica della canna da zucchero ha devastato il suolo azzerando le colture e i modi di vita tradizionali. Terra ormai grigia, piatta e polverosa sotto un cielo di piombo, percorsa dai fuochi e dalle ceneri degli incendi periodici delle stoppie, simbolo trasparente di una situazione globale di sfruttamento insensato e desertificazione avanzante. E l’ombra? Nel film l’ombra – a sua volta simbolo di un’altra natura, fatta di campi verdi, di frutteti, di uccelli, protettiva e consolatoria, è quella, assediata da tutte le parti, del grande albero frondoso sopravvissuto accanto ad una casa contadina, che una vecchia madre difende con le unghie e con i denti – contro ogni logica – dalla marea avanzante: rifugio fragilissimo di pace, di ricordi, di momenti ‘umani’ in un contesto disumano.
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Un’epica della terra, della famiglia, della casa ancestrale diventati realtà devastate e negate ne “La tierra y la sombra” di César Acevedo. Nel film la terra è quella della Valle del Cauca, in Bolivia, dove la monocultura latifondistica della canna da zucchero ha devastato il suolo azzerando le colture e i modi di vita tradizionali. Terra ormai grigia, piatta e polverosa sotto un cielo di piombo, percorsa dai fuochi e dalle ceneri degli incendi periodici delle stoppie, simbolo trasparente di una situazione globale di sfruttamento insensato e desertificazione avanzante. E l’ombra? Nel film l’ombra – a sua volta simbolo di un’altra natura, fatta di campi verdi, di frutteti, di uccelli, protettiva e consolatoria, è quella, assediata da tutte le parti, del grande albero frondoso sopravvissuto accanto ad una casa contadina, che una vecchia madre difende con le unghie e con i denti – contro ogni logica – dalla marea avanzante: rifugio fragilissimo di pace, di ricordi, di momenti ‘umani’ in un contesto disumano. Miti e archetipi della grande letteratura latino-americana tornano in questo film fatti cenere e morte: il padre, che da anni ha abbandonato la casa e torna in extremis dal figlio malato e dalla moglie, sente ancora la forza di quei valori che lo hanno riportato indietro, ma sa anche che il ritorno è inutile, che il figlio morirà soffocato da quei fumi velenosi, che l’unica soluzione sarà quella di raccogliere quel che resta della giovane generazione, la nuora, il nipote, e fuggire via, rinunciando alla lotta. La vecchia madre indomita sarà l’unica a restare, concentrando in sé il senso di una resistenza senza speranza. La resa filmica è particolare: in un vortice di polvere che percorre tutto il film, e che è l’unico vero ‘movimento’, la presenza umana ha un’astrazione teatrale, come un ‘a parte’ sulla scena (fortemente simbolica in questo senso la scena iniziale). I personaggi parlano pochissimo, interagiscono appena; l’azione è millimetrata, una serie di quadri giustapposti nella fissità del piano sequenza piuttosto che azione, la fotografia (ottima) fissa i dettagli, le pieghe dei volti, la spazzatura, la foglia impolverata, l’acqua della doccia che lava via il nero di una giornata di lavoro, gli spicchi di frutta che marciscono nell’attesa di uccelli che non scenderanno mai a beccarli. Uomini e donne appaiono messi all’angolo, inchiodati a una minimale resistenza per la sopravvivenza, ormai quasi senza voce. Da vedere (tre stelle e mezzo).
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flyanto
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martedì 6 ottobre 2015
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come tutto cambia
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"Un Mondo Fragile" costituisce una sorta di documentario denuncia di un mondo che sta rapidamente cambiando e, purtroppo, verso una condizione tendente al peggio.
La vicenda riguarda la condizione problematica della Colombia del regista César Augusto Acevedo che, attraverso gli occhi dell'anziano protagonista maschile, dà un ritratto triste e dolente del proprio paese destinato ad un cambiamento radicale rispetto a quello tradizionale e sicuramente più confacente all'essere umano. Dopo aver abbandonato la propria terra, nonchè casa e famiglia, anni addietro, un anziano uomo vi ritorna poichè chiamato dalla nuora fortemente preoccupata per la salute, ormai alquanto compromessa, del proprio consorte, figlio, appunto del suddetto uomo.
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"Un Mondo Fragile" costituisce una sorta di documentario denuncia di un mondo che sta rapidamente cambiando e, purtroppo, verso una condizione tendente al peggio.
La vicenda riguarda la condizione problematica della Colombia del regista César Augusto Acevedo che, attraverso gli occhi dell'anziano protagonista maschile, dà un ritratto triste e dolente del proprio paese destinato ad un cambiamento radicale rispetto a quello tradizionale e sicuramente più confacente all'essere umano. Dopo aver abbandonato la propria terra, nonchè casa e famiglia, anni addietro, un anziano uomo vi ritorna poichè chiamato dalla nuora fortemente preoccupata per la salute, ormai alquanto compromessa, del proprio consorte, figlio, appunto del suddetto uomo. L'unico elemento positivo e per nulla ostile che l'uomo incontra nella sua terra natia è costituito principalmente dal piccolo nipote con cui instaura immediatamente un rapporto di affetto sincero e profondo. La situazione precipita con la morte del figlio malato e soprattutto con la perdita del lavoro nei campi da parte delle due donne di casa: l'anziana moglie del protagonista e la nuora. Per loro ormai, su consiglio del protagonista, non rimane altro che abbandonare per sempre la propria terra e la propria casa al fine di cercare maggior fortuna altrove, mentre l'anziana moglie preferisce rimanere a casa sua, nonostante le distruzioni e le devastazioni dei campi intorno ed un totale cambiamento dell'assetto territoriale agricolo.
Presentato a Cannes nel corso dell'ultimo Festival del Cinema del 2015, la pellicola ha riscosso molto successo per la tematica sociale ed ancor più per la poesia con cui è stato girato da Acevedo. Sicuramente non costituisce un film allegro: infatti un alone di tristezza e di malinconia pervade l'intera trama, ma soprattutto in maniera quanto mai sublime viene presentato il senso di perdita e di non ritorno, sia per ciò che riguarda la situazione sociale in generale che quella più ristretta ed intima degli affetti. Affetti, però, che sembrano l'unico elemento, tutto sommato, ad avere una possibilità di recupero, sebbene in totale cambiamento. E l'immagine della devastazione dei campi in una parte di mondo ancora legato ad un struttura arcaica, unita al rapporto sentimentale profondo e di naturale continuità (forse l'unica) che si si instaura tra nonno e nipote, risultano profondamente commoventi e quanto mai veri.
Da scoprire.
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enrico danelli
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domenica 25 ottobre 2015
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la terra e l'ombra
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Il titolo originale (la tierra y la sombra) senz'altro è più attinente e specifico di quello italiano (il generico "un mondo fragile"). L'ombra è quella rassicurante e accogliente dell'albero del pane sotto cui i personaggi del film si fermano spesso a discutere e riflettere sulla loro esistenza. La terra dovrebbe essere la terra-madre capace di nutrire i suoi figli. L'ombra adempie in pieno la sua funzione: il maestoso albero del pane è l'unico e ultimo baluardo che si erge contro la desertificazione della campagna causata dalla coltivazione intensiva della canna da zucchero. La terra ha invece perso la sua funzione : non nutre più nessuno se non qualche grossa compagnia che impiega e sottopaga i corteros de azucar (uomini - automi che tagliano le canne in Colombia ancora con metodi defatiganti e insalubri).
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Il titolo originale (la tierra y la sombra) senz'altro è più attinente e specifico di quello italiano (il generico "un mondo fragile"). L'ombra è quella rassicurante e accogliente dell'albero del pane sotto cui i personaggi del film si fermano spesso a discutere e riflettere sulla loro esistenza. La terra dovrebbe essere la terra-madre capace di nutrire i suoi figli. L'ombra adempie in pieno la sua funzione: il maestoso albero del pane è l'unico e ultimo baluardo che si erge contro la desertificazione della campagna causata dalla coltivazione intensiva della canna da zucchero. La terra ha invece perso la sua funzione : non nutre più nessuno se non qualche grossa compagnia che impiega e sottopaga i corteros de azucar (uomini - automi che tagliano le canne in Colombia ancora con metodi defatiganti e insalubri). Film quindi molto utile per la specifica denuncia visto che la Colombia è conosciuta ai più per il narcorraffico. Film in parte autobiografico visto che il regista ha subito in parte le vicende che il film narra (abbandono del padre). Film didattico visto che in esso si realizzano le fosche (e veritiere ?) profezie marxiste sulla fine di un sistema capitalistico vorace in cui il capitale divora tutto e tutti. Film sentimentale per l'intima introspezione dei personaggi che ovviamente non si tipizzano per la sola Colombia. L'orgoglio e la dignità contadina. Il rispetto portato agli anziani (la nuora chiama sempre il suocero Alfonso anteponendo il rispetto "Don", nonostante la sua fuga da casa anni prima). Il duro lavoro come unica ancora di salveza e riscatto. Una indubbia "cattiveria" finale del regista che condanna la anziana madre ad un vita di solitudine, ancorata alla sua testardaggine e alla terra, anche se ormai irriconoscibile e non più sua.
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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la forza del cinema nella sua radice fragile
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Scarno, spoglio nell’immagine, nei personaggi, nel dialogo, nei mezzi cinematografici ed economici, quanto poetico, tragico e amaro nel portare senza infingimenti lo sguardo sotto la cenere della vita e della storia.
Una nonna, una madre, un padre gravemente malato di enfisema polmonare, un bambino dentro una disadorna e isolata casupola: poi torna da lontano, da chissà dove anche il nonno. Torna per tentare di salvare il figlio. Questo è il film colombiano, ambientato in una zona di coltivazione della canna da zucchero, tra super sfruttamento dei tagliatori e grandi roghi continui delle zone rasate, con pioggia costante, asfissiante il respiro, oscurante la luce di detriti e cenere.
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Scarno, spoglio nell’immagine, nei personaggi, nel dialogo, nei mezzi cinematografici ed economici, quanto poetico, tragico e amaro nel portare senza infingimenti lo sguardo sotto la cenere della vita e della storia.
Una nonna, una madre, un padre gravemente malato di enfisema polmonare, un bambino dentro una disadorna e isolata casupola: poi torna da lontano, da chissà dove anche il nonno. Torna per tentare di salvare il figlio. Questo è il film colombiano, ambientato in una zona di coltivazione della canna da zucchero, tra super sfruttamento dei tagliatori e grandi roghi continui delle zone rasate, con pioggia costante, asfissiante il respiro, oscurante la luce di detriti e cenere. Questa l’ombra, la sombra, che grava senza speranza sulla terra.
Una critica vertiginosa della realtà che non è urlata, ma neanche propriamente detta: è solo mostrata attraverso l’economia massima delle immagini e delle parole. Un’angoscia straziante ti assale per quel bambino, senza gioie, giochi, giustizia sotto quel cielo di cenere e quella tierra della desolazione.
Un mondo fragile, con il minimo dei mezzi espressivi riesce a porre una radicale critica, senza conciliazione, a questa nostra realtà storica, con appena un minuscolo, incerto barlume di speranza nel finale. Acevedo restituisce un volto del presente a quell’origine del cinema che dalla radice amara della realtà sa estrarre autentico senso poetico-esistenziale. Glielo restituisce perché non lo smarrisca e anzi continui a tracciare il sentiero del suo futuro.
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