Chi intende guardare La teoria del tutto sperando di capire qualcosa in più sui meccanismi dell'universo resterà inevitabilmente deluso. O meglio, conoscerà poco o nulla sulla fisica, mentre apprenderà qualcosa su un altro tipo di meccanismo: le dinamiche umane. E non può essere diversamente, perchè il regista Marsh ha messo a video il libro di Jane Hawking Travelling to Infinity: My Life With Stephen e questo libro, fondamentalmente, parla di due eroi.
Redmayne, eccellente nella sua interpretazione, esalta la dolcezza e l'ironia di un genio costretto all'immobilità. Felicity Jones, bella come poche, è la donna che per quasi trent'anni è stata accanto ad Hawking, la donna che ha amato, che si è sacrificata, che ha tenuto in piedi la baracca.
Ora, qui non ci troviamo di fronte alla tragicomicità di Quasi amici, e non siamo nemmeno sul piano della critica sociale come The Sessions. La teoria del tutto è la storia di una famiglia che combatte enormi difficoltà e, in fondo, è una storia di resilienza.
Resilienza, quella capacità di diventare più forti a ogni ostacolo, di resistere evolvendosi. Hawking ne è un esempio perfetto, lui che alla prima polmonite ha rischiato l'eutanasia: è tutt'ora vivo e non smette di studiare. Jane ne è esempio anch'essa, perchè ha allevato tre figli, si è risposata e mantiene un affetto primordiale per Stephen. Ma questa non è l'unica riflessione che solleva il film. Redmayne condensa perfettamente la straziante condizione di Hawking e ricorda al pubblico il dramma delle malattie degenerative. Una degenerazione che non colpisce solo il corpo, ma che ha inevitabili ripercussioni sugli affetti e pone costantemente la domanda: "E' vita questa?". Hawking risponde di sì, senza un Dio da incolpare o da pregare, manifesto dell'uomo che si arrende alla sua condizione misera e trova un significato per la propria esistenza.
Per questi motivi La teoria del tutto non c'entra nulla con la fisica. Problematico è il fatto che ormai la disabilità è diventata mainstream e siamo abituati alla sofferenza su grande schermo. Nulla ci appare autenticamente nuovo o originale, le depressioni si somigliano tutte, il buonismo è sempre dietro l'angolo e i messaggi si rincorrono ridondanti. Quasi amici ha fatto un incredibile successo perchè ha saputo inserire un'ironia irresistibile come elemento caratterizzante. Nel caso della pellicola di Marsh, l'aspetto caratterizzante poteva essere la filosofia di Hawking, la sua carriera accademica, ma si è preferito puntare sull' "amore contro tutto e tutti" alla Fault in our stars. Inutile dirlo, ma si è molto calcato anche sul sentimento di pietà generato dalle pose distrofiche di Redmayne.
Una straziante interpretazione, una fantastica espressività nei movimenti di bocca, sopracciglia e guance, il forte impatto visivo della decadenza fisica, da sole non bastano per fare un capolavoro.
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