enrico danelli
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domenica 11 gennaio 2015
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intimo e universale
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Il passato è il letto di ospedale in cui giace Celine, la moglie in coma di Samir. Il presente è la disordinata e vetusta casa di Marie: la metaforica mano di vernice beige che Marie passa sui muri e sulle porte ("attento alla vernice fresca" ci accompagna per tutto il film) non serve a nascondere le magagne della casa. Allo stesso modo la chiusura che Marie spera di fare con il suo passato (una nuova gravidanza e il rifiuto assoluto di sapere dal precedente marito, Ahmad, le ragioni dell'abbandono) naufraga impietosamente nella stupenda scena finale: il nuovo compagno, Samir, attratto come una calamita dal passato (il letto di ospedale) torna (in modo tanto ingenuo quanto commovente) al capezzale della moglie in coma per cercare in lei una reazione con la stimolazione olfattiva del suo profumo maschile.
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Il passato è il letto di ospedale in cui giace Celine, la moglie in coma di Samir. Il presente è la disordinata e vetusta casa di Marie: la metaforica mano di vernice beige che Marie passa sui muri e sulle porte ("attento alla vernice fresca" ci accompagna per tutto il film) non serve a nascondere le magagne della casa. Allo stesso modo la chiusura che Marie spera di fare con il suo passato (una nuova gravidanza e il rifiuto assoluto di sapere dal precedente marito, Ahmad, le ragioni dell'abbandono) naufraga impietosamente nella stupenda scena finale: il nuovo compagno, Samir, attratto come una calamita dal passato (il letto di ospedale) torna (in modo tanto ingenuo quanto commovente) al capezzale della moglie in coma per cercare in lei una reazione con la stimolazione olfattiva del suo profumo maschile. Film intimo. Tutti i personaggi sono dipinti con lente e meditate pennellate : la personalità di ognuno ne esce ben definita. Su tutti e tutto dominano la tenacia di Marie e le espressioni angosciate ed irose del viso di Fuhad, il bambino di Samir. Film universale. In un mondo in cui si pensa che basti un frettoloso e noncurante click per resettare la realtà, quasi come si vivesse un videogioco, questo film, con una storia semplice e ormai comune, vuol ricordarci che il presente di oggi sarà il passato di domani: non per vivere di nostalgia, ma per essere più consapevoli dell'importanza dei nostri gesti attuali.
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maurizio d
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lunedì 20 gennaio 2014
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ineluttabile presenza del dolore
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L'immagine finale : una mano viva , che stringe una mano inerme è forse il paradigma più significativo di questo film.
La sofferenza dell'uomo, la labilità del vivere , il repentino passaggio cui tutti noi siamo sottoposti:
da una realtà in movimento ad una staticità senza ritorno.
Dietro la quotidianità , quasi neorealistica di una casa di periferia dai muri sudici e dalle cucine ingombre di
utensili, c'è il peso e la gravità delle tragedie di Eschilo.
Eventi e rivelazioni ci rendono a poco a poco compartecipi della ineluttabile condizione esistenziale
dei personaggi di questo dramma.
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L'immagine finale : una mano viva , che stringe una mano inerme è forse il paradigma più significativo di questo film.
La sofferenza dell'uomo, la labilità del vivere , il repentino passaggio cui tutti noi siamo sottoposti:
da una realtà in movimento ad una staticità senza ritorno.
Dietro la quotidianità , quasi neorealistica di una casa di periferia dai muri sudici e dalle cucine ingombre di
utensili, c'è il peso e la gravità delle tragedie di Eschilo.
Eventi e rivelazioni ci rendono a poco a poco compartecipi della ineluttabile condizione esistenziale
dei personaggi di questo dramma.
Il dilemma fondamentale è: svuotarsi delle proprie energie negative per allontanare da sé il male
o continuare a convivere con esso.
Attraverso la catarsi i personaggi della tragedia greca solevano purificarsi e cacciare via il male,
ma il regista non è qui cosi' categorico , non sempre liberarsi dei propri segreti solleva la situazione dei personaggi.
Ci sono tre donne che soffrono , ciascuna a loro modo e che vorrebbero liberarsi dalla loro pena.
Marie soffre per l'abbandono del suo amato e cerca di compensarlo trovandolo in altro volto , quasi un sosia dalle stesse
dolci movenze.Sua figlia , Lucie , soffre perché vede nella madre futilità e superficialità , forse perché la conosce poco , agisce quasi
per vendetta e provoca in tal modo il danno irreparabile . Infine c'è una donna che conosciamo poco , moglie di Samir ,
che mette fine alle sue sofferenze con il suicidio. Tre modi diversi di soffrire.
Ci sono poi due uomini miti: Ahmed e Samir ,spinti da un destino ineluttabile , uomini che rifulgono
da ogni violenza e da ogni manifestazione di maschilismo, che non intendono prevaricare che si misurano con rispetto alle decisioni
degli altri, si curano dei loro figli , lavano i piatti , preparano da mangiare. Non sono degli eroi
non riescono a modificare il reale , lo accettano , lo subiscono come ineluttabile.
Qui il rimando alla tragedia di Eschilo è di obbligo: il fato non si puo' mutare , ci sovrasta .Questi uomini lo sanno.
Solo l'infanzia , ignara , radiante sembra all'oscuro dell'immensa tragedia della vita, ma ha uno sguardo straniante nei confronti del mondo degli adulti.
Il film procede gradualmente , rivelandoci a poco a poco , la personalità ed il passato di ciascuno dei personaggi , fino alla scena
centrale quella in cui Lucia rivela la sua nefasta azione contro la madre .Servirà questa rivelazione ad allontanare da sé il male e la sofferenza?
Il film dà una risposta:la mano viva che stringe la mano inerme ci da proprio la misura dell'inevitabilità del male nella condizione umana.
Sta proprio nella gradualità delle rivelazioni la grandezza di Farhadi , nel centellinare a poco a poco , scavando nella psiche di ognuno dei personaggi
giungendo fino agli antri più reconditi della loro persona, fino a renderci compartecipi, fino a patire insieme a loro.
M D'Agata
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jacopo b98
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giovedì 27 marzo 2014
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ennesimo grande film per un grande regista!
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Ahmad (Mossaffa) arriva a Parigi dall’Iran per firmare le carte che ufficializzano il divorzio da sua moglie Marie (Bejo), che intanto convive con un uomo (Rahim) la cui moglie è in come…per tentato suicidio. Sconvolgenti verità verranno a galla. L’iraniano Farhadi, reduce dall’Oscar 2012 per il meraviglioso Una separazione, ha presentato al Festival di Cannes 2013 il suo nuovo film: Il passato. Scritto e diretto dal regista ha di nuovo il suo centro in un divorzio che sta per essere ufficializzato. Ma forse non è solo per fargli firmare le carte che Marie ha voluto far venire dall’Iran il suo ex marito. Forse ci sono ancora dei conti in sospeso, conti che prima o poi si devono saldare.
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Ahmad (Mossaffa) arriva a Parigi dall’Iran per firmare le carte che ufficializzano il divorzio da sua moglie Marie (Bejo), che intanto convive con un uomo (Rahim) la cui moglie è in come…per tentato suicidio. Sconvolgenti verità verranno a galla. L’iraniano Farhadi, reduce dall’Oscar 2012 per il meraviglioso Una separazione, ha presentato al Festival di Cannes 2013 il suo nuovo film: Il passato. Scritto e diretto dal regista ha di nuovo il suo centro in un divorzio che sta per essere ufficializzato. Ma forse non è solo per fargli firmare le carte che Marie ha voluto far venire dall’Iran il suo ex marito. Forse ci sono ancora dei conti in sospeso, conti che prima o poi si devono saldare. Ed è esattamente qui il significato generale del film. Per creare il futuro bisogna prima fare i conti con il passato, che lo si voglia o no. Non si può dimenticare quello che è stato come propone Marie in una scena del film. Farhadi sviluppa la sua trama come una grande tela a cui, minuto dopo minuto, scena dopo scena, aggiunge pian piano dei tasselli che solo alla fine faranno capire allo spettatore il quadro generale della trama. È la stessa tecnica che già aveva utilizzato proprio per Una separazione, che qui viene portata alle estreme conseguenze. Il risultato è a tratti sbalorditivo a tratti invece la trama si infittisce fin troppo. Comunque, seppur forse non al livello del film precedente, Il passato si conferma come uno dei più bei film dell’anno e probabilmente il miglior film presentato all’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto il premio alla miglior attrice Bérénice Bejo (The Artist), datole probabilmente più che altro per risarcire il film della mancata Palma d’Oro, andata alla Vita di Adele di Kechiche. Infatti più della Bejo a ergersi sugli altri interpreti è lo sconosciuto Ali Mossaffa, che ci lascia una grande interpretazione.
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mareincrespato70
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giovedì 5 marzo 2015
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il passato è "presente"....
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Piccolo grande gioiello cinematografico di Asghar Farhadi, già autore de lo stupendo: “La separazione”. Stavolta l'ambientazione si svolge in una Parigi periferica e quasi anonima, dove si respira ben poco di borghese e dove, in questo caso, l'immigrazione fa i conti con una quotidianità trafelata, ma che non impedisce un lavoro “normale”, condizione fondamentale per un legittimo desiderio di cittadinanza e convivenza civile.
Ahmad (il convincente Tahar Rahim), torna a Parigi da Teheran per sancire il divorzio con la sua bella moglie Marie, ma dai primi sguardi all'aeroporto si comprende che il “passato” è ancora “presente”, così come lo sarà per tutti i protagonisti: dai figli Fouad, Lèa e Lucie (tutti nati dai diversi compagni della primattrice), al nuovo partner di Marie, Samir con una moglie in coma per cause non meglio chiarite.
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Piccolo grande gioiello cinematografico di Asghar Farhadi, già autore de lo stupendo: “La separazione”. Stavolta l'ambientazione si svolge in una Parigi periferica e quasi anonima, dove si respira ben poco di borghese e dove, in questo caso, l'immigrazione fa i conti con una quotidianità trafelata, ma che non impedisce un lavoro “normale”, condizione fondamentale per un legittimo desiderio di cittadinanza e convivenza civile.
Ahmad (il convincente Tahar Rahim), torna a Parigi da Teheran per sancire il divorzio con la sua bella moglie Marie, ma dai primi sguardi all'aeroporto si comprende che il “passato” è ancora “presente”, così come lo sarà per tutti i protagonisti: dai figli Fouad, Lèa e Lucie (tutti nati dai diversi compagni della primattrice), al nuovo partner di Marie, Samir con una moglie in coma per cause non meglio chiarite.
Film stupendo, con la bellissima e brava Bèrènice Bejo protagonista indiscussa, ma tutti gli attori sono convincenti in questo intrigo sentimentale ed esistenziale, con i bambini depositari di verità e autori delle giuste domande per fare i conti con se stessi. Questo ci vuole comunicare il regista iraniano con una sorta di piccolo giallo esistenziale e realistico: bisogna fare i conti con il nostro vissuto, per ricominciare non è possibile nascondere il passato sotto un tappeto, come se fosse polvere...No, si tratta di macigni, piccoli o grandi; e metabolizzare e affrontare non sono solo due verbi, ma forse due declinazioni dell'animo umano, piccolo vademecum per fare i conti, veramente, con se stessi e il vissuto di un tempo più o meno lontano, ma non scomparso. E per guardare, quindi, al futuro, per ricominciare...Se non in pace, con consapevole spirito armonico. Sembra farci una raccomandazione Farhadi: rimuovere, sotto qualsiasi forma, non solo non ci aiuta, ma ci danneggia.
La bellezza estetica e recitativa della Bejo non si dimentica e griffa questo bel saggio di autentico cinema d'autore, che spero di rivedere al più presto anche in dvd.
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fabio silvestre
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lunedì 18 aprile 2022
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film ad alto impatto emotivo
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Il regista iraniano Asghar Farhadi si conferma tra i migliori cineasti dell'ultimo decennio tenuto conto della sua duplice veste anche di sceneggiatore. È forse proprio questo il suo punto di forza perché trasporta nelle immagini emotivamente potenti ciò che risulta sul copione dallo stesso inventato. Che poi di finzione c'è nè ben poca in quanto le tematiche affrontate - la crisi coniugale, le famiglie allargate, i rapporti tra genitore con i propri figli e con quelli del nuovo partner ecc. - sono presenti nella realtà di tutti i giorni. La meraviglia del suo cinema nel catturare l'attenzione dello spettatore fà si che alla fine del film un messaggio importante viene recepito con conseguenti riflessioni.
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Il regista iraniano Asghar Farhadi si conferma tra i migliori cineasti dell'ultimo decennio tenuto conto della sua duplice veste anche di sceneggiatore. È forse proprio questo il suo punto di forza perché trasporta nelle immagini emotivamente potenti ciò che risulta sul copione dallo stesso inventato. Che poi di finzione c'è nè ben poca in quanto le tematiche affrontate - la crisi coniugale, le famiglie allargate, i rapporti tra genitore con i propri figli e con quelli del nuovo partner ecc. - sono presenti nella realtà di tutti i giorni. La meraviglia del suo cinema nel catturare l'attenzione dello spettatore fà si che alla fine del film un messaggio importante viene recepito con conseguenti riflessioni. Senza aver letto la trama ho visto e apprezzato molto questa pellicola dove attori non molto famosi sono assolutamente nella parte offrendo ottime performance. In definitiva è un film che consiglio di vedere. Voto: 8/10.
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catcarlo
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martedì 26 novembre 2013
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il passato
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Il passato non vuol passare, specie se ci si ostina a non farci i conti: una considerazione all’apparenza banale (ma troppe volte ignorata) attorno alla quale si snoda il nuovo film del regista iraniano Fahradi che dà un nuovo saggio della sua bravura nel disegnare – e analizzare – la quotidianità delle dinamiche di relazione in un piccolo gruppo di personaggi. Ahmad torna da Teheran in Francia per siglare il divorzio da Marie e si trova coinvolto negli squilibri originati dalla nuova relazione della donna con il maghrebino Samir: a essa è apertamente ostile la di lei figlia adolescente Lucie, nata da una precedente relazione ma che vede in Ahmad una figura paterna, mentre il piccolo Fouad vive con difficoltà il rapporto del padre con Marie anche perchè sua mamma – cioè Céline, la moglie di Samir – è in coma dopo un tentato suicidio.
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Il passato non vuol passare, specie se ci si ostina a non farci i conti: una considerazione all’apparenza banale (ma troppe volte ignorata) attorno alla quale si snoda il nuovo film del regista iraniano Fahradi che dà un nuovo saggio della sua bravura nel disegnare – e analizzare – la quotidianità delle dinamiche di relazione in un piccolo gruppo di personaggi. Ahmad torna da Teheran in Francia per siglare il divorzio da Marie e si trova coinvolto negli squilibri originati dalla nuova relazione della donna con il maghrebino Samir: a essa è apertamente ostile la di lei figlia adolescente Lucie, nata da una precedente relazione ma che vede in Ahmad una figura paterna, mentre il piccolo Fouad vive con difficoltà il rapporto del padre con Marie anche perchè sua mamma – cioè Céline, la moglie di Samir – è in coma dopo un tentato suicidio. Ahmad, la cui relazione con Marie ha avuto risvolti dolorosi, può provare a ricucire la situazione da un punto di vista almeno in parte esterno: il vetro che, all’inizio, lo divide simbolicamente da lei, un po’ si incrina, anche se non si può dire che, alla fine, la situazione sia di tanto migliorata rispetto a quella di partenza: se, da una parte, madre e figlia si riavvicinano, dall’altra i sensi di colpa di Samir si ingigantiscono. Il film finisce su una nota di sospensione, lasciando all’immaginazione dello spettatore i possibili sviluppi di queste esistenze arruffate che ben si riflettono nel perenne disordine delle case in cui vengono vissute: (non) conclusione di un dramma sulla capacità o meno di vedere i propri sbagli e accettarne le responsabilità. Ogni personaggio ha il suo carico irrisolto originato da azioni o omissioni, ma lo sguardo del regista non parteggia per nessuno perché nulla, nella vita di tutti i giorni, è solo nero o solo bianco e ogni essere umano può diventare sgradevole in determinati momenti o condizioni. Chi ha visto ‘Una separazione’ riconoscerà immediatamente questi temi e il modo di trattarli: la sensibilità è la stessa, solo l’ambientazione è del tutto diversa, visto che questa coproduzione franco-italiana è ambientata in una periferia urbana assai spesso piovosa che finisce, però, per raffreddare la temperatura emotiva. Non che scarseggino i momenti di grande intensità, solo che Fahradi non riesce qui a mantenere sempre la tensione nel perfetto equilibrio che contraddistingueva la pellicola di due anni fa: all’impeccabile impronta visiva e ritmica della prima parte, fa seguito una seconda metà più sfilacciata e meno corale, con un cambio di prospettiva che la incentra sulla ricerca delle motivazioni del tentato suicidio da parte di Céline. Qui la figura centrale è Samir, mentre Ahmad in pratica sparisce: la staffetta nella storia è analoga a quella nella vita di Marie che è, ovviamente, il fulcro di tutto: una figura di donna problematica e insoddisfatta, alla perenne ricerca di un completamento che non arriva mai. Più ombre che luci, quindi, anche perché, per lunghi momenti, dà più l’impressione di essere in sintonia con Ahmad di quanto non sia innamorata di Samir (la relazione sembra poco profonda, malgrado il figlio in arrivo – sempre che quest’ultimo ci sia, viene a volte da pensare): così, per una volta, sono gli uomini a fare una figura migliore – o, meglio, meno peggiore. Se sulla costruzione della storia si può lamentare qualche imperfezione, è invece inattaccabile la qualità della messa in immagini: Fahradi conferma la grande capacità di direzione degli attori riuscendo a ottenere il massimo da un’occhiata o da un’espressione e lavorando in maniera mirabile anche con i bambini (oltre a quelli citati, c’è anche Léa, sorella piccola di Lucie) che ancora una volta risultano molto importanti nell’economia complessiva. Il cast lo asseconda alla perfezione, con menzione speciale per la sempre incantevole Bérénice Bejo che riesce a calarsi con grande partecipazione nell’interpretazione di un personaggio non facile e antipatico la sua parte, destinato in origine a Marion Cotillard, che le ha fatto vincere con merito il premio di miglior attrice a Cannes. Al tirar delle somme, ‘Il passato’ non è ‘Una separazione’ – e, in fondo, era assurdo pretendere che lo fosse – ma è comunque un ottimo lavoro che si fa strada nell’animo dello spettatore facendovi germogliare un certo numero di domande scomode.
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ennas
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martedì 26 novembre 2013
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il passato e la colpa
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
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E’ un aeroporto francese il luogo di partenza del film “Il passato” del regista iraniano Asghar Farhadi è lì infatti dove Ahmad, uno dei protagonisti, vi incontra l’ex moglie Marie: è arrivato da Teheran per formalizzare il loro divorzio, insieme si avviano verso la casa dove lei vive tuttora.
La regia ci illumina pian piano i caratteri dei protagonisti e ci presenta la loro storia con un andamento circolare. un anno prima Ahmad ,ha disertato un precedente appuntamento per questa ratifica del divorzio e stavolta Marie non gli ha prenotato di nuovo una stanza d’albergo ma lo conduce a casa. Marie esprime ad Ahmad la sua ansia per la propria figlia maggiore, è inquieta, non parla e passa molto tempo fuori di casa.
Marie spera che Ahmad riesca ad avere uno scambio con la figlia : è molto attaccata a lui anche
se non è sua figlia. Marie infatti ha avuto due figlie da una unione precedente il matrimonio con Ahmad.
Al loro arrivo a casa, insieme alla seconda figlia di Marie, Ahmad trova un bambino che non conosce: è Fouad il figlio di Samir il nuovo amore di Marie, un amore col quale la donna progetta di vivere dopo il divorzio e come sapremo in seguito, aspetta un figlio da lui. La madre del piccolo Fouad, moglie di Samir è in coma dopo un tentato suicidio.
La casa stessa, in cui sono girate gran parte delle riprese del film, ci comunica un messaggio caotico che allude scenograficamente alla vita dei personaggi, spazi stracolmi e lavori in corso danno un senso di provvisorietà e disordine.
E’ il ritratto di una famiglia allargata quello che il regista ci mette in scena fin dall’inizio : unioni fallite e nuovi incontri che costringono i soggetti coinvolti a vivere le contraddizioni delle loro mutate condizioni di esistenza. Questo è, a mio avviso, il nucleo centrale del film e il suo filo d’Arianna non è solamente il passato dei protagonisti, bensì il senso di colpa alimentato dalle perdite e dalle aspettative frustrate di ciascuno nei confronti dell’altro.
Sono ottimi gli attori, magistralmente diretti da una regia che vuole rendere palesi le sfumature umane e psicologiche dei personaggi e ci riesce egregiamente. Pur con questi presupposti di grande cinema di altissimo livello, il clima del film è opprimente: nessun sottofondo musicale scandisce i passaggi e i dialoghi del film. Il regista ha voluto, a mio parere, non solo evitare il melò,
ma rimarcare questa atmosfera di oppressione: il senso di colpa è oppressivo per antonomasia.
I suoi personaggi se lo “passano” vicendevolmente come un virus : è troppo duro da reggere,è
meno pesante andare a caccia di motivi, meglio se fuori dal proprio io.
Il finale del film che ci presenta un “non concluso” altamente drammatico, aperto alla sensibilità interpretativa dello spettatore, enfatizza all’estremo questo sentimento di colpevolezza cosmica, quasi da “peccato originale”.
Nessuno dei personaggi del film è escluso da questo meccanismo , nemmeno il più apparentemente razionale e conciliante Ahmad. Ognuno si ritrova, sembra suggerirci la regia, a fare i conti non tanto e solo con il passato ma con gli effetti che il proprio agire, le proprie scelte hanno anche sulla vita degli altri oltre che sulla propria.
La regia riesce a far esprimere efficacemente ai suoi personaggi anche il “non detto” dei dialoghi,il disagio della loro labirintica esistenza.
Nuovamente per questo regista, una prova di grande cinema di qualità, assolutamente da vedere.
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fabiofeli
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martedì 3 dicembre 2013
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il passato non è una lavagna che si cancella
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C’è un triangolo formato da Ahmad (Ali Mosaffa), da sua moglie Marie (Bérénice Bejo) e Samir (Tahar Rahim), attuale compagno di Marie. Fa ancora parte del gioco anche una quarta persona: la moglie di Samir che giace in coma in un ospedale parigino, per aver tentato il suicidio. Ci sono, poi, anche una ragazza, Lucie (Pauline Burlet), una bambina, Léa (Jeanne Jestin), ed un bambino, Fouad (Elyes Aguis): le prime due sono figlie di Marie, nate da un precedente matrimonio e Fouad è il figlio di Samir. E c’è anche un nascituro, figlio di Marie e di Samir. I due “quadrilateri” interferiscono tra loro complicando la situazione. All’inizio del film Marie va a ricevere Ahmad all’aeroporto. Non si comprende subito per quale motivo l’uomo si attarda a parlare con un funzionario, perché appare dietro un vetro che impedisce di ascoltare le loro parole.
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C’è un triangolo formato da Ahmad (Ali Mosaffa), da sua moglie Marie (Bérénice Bejo) e Samir (Tahar Rahim), attuale compagno di Marie. Fa ancora parte del gioco anche una quarta persona: la moglie di Samir che giace in coma in un ospedale parigino, per aver tentato il suicidio. Ci sono, poi, anche una ragazza, Lucie (Pauline Burlet), una bambina, Léa (Jeanne Jestin), ed un bambino, Fouad (Elyes Aguis): le prime due sono figlie di Marie, nate da un precedente matrimonio e Fouad è il figlio di Samir. E c’è anche un nascituro, figlio di Marie e di Samir. I due “quadrilateri” interferiscono tra loro complicando la situazione. All’inizio del film Marie va a ricevere Ahmad all’aeroporto. Non si comprende subito per quale motivo l’uomo si attarda a parlare con un funzionario, perché appare dietro un vetro che impedisce di ascoltare le loro parole. Solo in seguito capiremo che la sua valigia, caricata su un volo sbagliato, è stata smarrita. All’indomani Marie e Ahmad andranno a ratificare il loro divorzio. Sembrano tranquilli, con una decisione già presa che non li fa soffrire più di tanto; all’aeroporto addirittura abbozzano più di un timido sorriso al di là del vetro. Più problematica appare la situazione per la sistemazione di Ahmad nella casa di Marie, un brutto villino della periferia parigina, la famigerata Banlieu; Fouad non gradisce il cambiamento di letto, ma soprattutto l’apparizione di Ahmad che giudica un intruso; d’altro canto Lucie ha una forte avversione per il nuovo compagno della madre e vorrebbe che il divorzio tra Marie e Ahmad non si definisse. Poco per volta si capisce anche che ci sono drammatici nodi ancora irrisolti tra le due coppie di adulti. Non siamo più tanto sicuri che Ahmad non pensi ancora a Marie (e viceversa), mentre dal canto suo Samir non smette di essere attaccato alla moglie in coma irreversibile e impedisce che le vengano sospese le cure ormai inutili. La vicenda, incentrata sulle psicologie dei personaggi, in certi momenti sembra risolvere alcuni interrogativi e nelle scene successive contraddice quanto sembra assodato con fatti nuovi. E la realtà osservata è ancora un paio di volte velata da vetri che impediscono di ascoltare il dialogo tra i vari protagonisti.
Il film è complesso e ricco di spunti. Emerge una dolorosa incomunicabilità: nel passato che ritorna hanno ferito le parole dette e quelle non dette. Ed il passato non è che la somma di azioni che hanno costruito l’ingarbugliato presente. Tutte le scelte operate influiranno pesantemente sul futuro di tutti, adulti e non.
La regia di Farradi, premiata a Cannes, è notevole e padroneggia il tema della crisi finale dei rapporti con la stessa maestria dimostrata nel precedente film, La separazione. Gli attori sono tutti molto bravi, con una citazione speciale per Berenice Bejo, protagonista femminile premiata a Cannes, e per la giovane e intensa Pauline Burlet; ma ancora di più impressiona la capacità recitativa di Elyes Aguis nel ruolo di Fouad, un autentico eccezionale animale cinematografico: speriamo che il suo talento non si perda per strada.
Valutazione ****
FabioFeli
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zoom e controzoom
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lunedì 9 dicembre 2013
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eccesso di materiale non fluido
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Mentre in “una separazione” la struttura del film era più complessa di quel che ad una prima lettura poteva apparire, ma dove tutto era calibrato e fluido nella successione, in questo film Farhadi, inserisce troppe figure se non improbabili, molto fragili nell’economia del discorso. La tematica di base – quella dell’inutilità di fuggire davanti alle problematiche anzichè affrontarle in una consapevole risoluzione – è certamente interessante, ma è come ogni singolo personaggio sia costruito con contorsioni che sembra vogliano solamente rendere più lungo il film piuttosto che dargli uno svolgimento plausibile.
Troppo “carta velina” il marito di Marie, Ahmad, che appare un fantoccio più che un uomo saggio; troppo “passivo” con momenti bruschi da isteria interiorizzata, il nuovo compagno di Marie.
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Mentre in “una separazione” la struttura del film era più complessa di quel che ad una prima lettura poteva apparire, ma dove tutto era calibrato e fluido nella successione, in questo film Farhadi, inserisce troppe figure se non improbabili, molto fragili nell’economia del discorso. La tematica di base – quella dell’inutilità di fuggire davanti alle problematiche anzichè affrontarle in una consapevole risoluzione – è certamente interessante, ma è come ogni singolo personaggio sia costruito con contorsioni che sembra vogliano solamente rendere più lungo il film piuttosto che dargli uno svolgimento plausibile.
Troppo “carta velina” il marito di Marie, Ahmad, che appare un fantoccio più che un uomo saggio; troppo “passivo” con momenti bruschi da isteria interiorizzata, il nuovo compagno di Marie. Troppo immatura Marie stessa che non solo non sa quello che vuole e come lo vuole, ma ha reazioni infantili racchiuse in fattezze fisiche che non giustificano – se così a volte è – tali atteggiamenti capricciosi che non sono poi altro che una richiesta d’aiuto. Troppo contorta con la perversione della contorsione della costanza, la figlia Lucie che a volte fa pensare d’essere giustificato da una morbosità di rapporti tra lei ed il nuovo compagno della madre, cosa che poi non c’è. Certo, il passato ha stratificato e non dipanato le problematiche, ma il tutto ci viene presentato in eccesso tranne il piccolo miracolo di possibile verità splendidamente interpretato dal piccolo Fouad, splendido interprete con una grande espressività fisica (dato che è doppiato non si può certo valutarne le capacità della recitazione).
Tanto era commovente Una Separazione”, tanto fastidio lascia questo film che sfiora verso la fine, il noir in quello svelamento della colpevole del dramma consumatosi nei confronti della moglie del compagno di Marie.., senza però averne il senso. Tutto troppo, eccessivo ed alla fine confuso quel tanto per sentirsi poco partecipi ed infastiditi da questa famiglia allargata che vive di sé in un coacervo di situazioni non dipanate che fanno pensare che certe persone le sfighe se le vanno a procurare..
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giulio strata
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mercoledì 14 maggio 2014
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la temporalità dei sentimenti in un thriller
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I personaggi dell'ultimo film di Asghar Farhadi ci vengono mostrati immediatamente, fin dalla loro prima comparsa, attraverso un vetro, come se il regista ci suggerisce che li vediamo, così come sono, ma dobbiamo superare un ostacolo apparente per addentrarci nella loro psicologia, nella loro vita familiare e nel loro Passato. Capiamo che c'è qualcosa di taciuto tra Samir e Marie (una spelndida Bérénice Bejo) e lo spettatore si aggira virtualmente all’interno del quadro, facendosi spazio tra gli oggetti che il regista pone tra noi e i personaggi, tra i silenzi e le parole appena sussurrate per scoprire cosa sta accadendo alla famiglia allargata in questione.
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I personaggi dell'ultimo film di Asghar Farhadi ci vengono mostrati immediatamente, fin dalla loro prima comparsa, attraverso un vetro, come se il regista ci suggerisce che li vediamo, così come sono, ma dobbiamo superare un ostacolo apparente per addentrarci nella loro psicologia, nella loro vita familiare e nel loro Passato. Capiamo che c'è qualcosa di taciuto tra Samir e Marie (una spelndida Bérénice Bejo) e lo spettatore si aggira virtualmente all’interno del quadro, facendosi spazio tra gli oggetti che il regista pone tra noi e i personaggi, tra i silenzi e le parole appena sussurrate per scoprire cosa sta accadendo alla famiglia allargata in questione. Perfino quando sembra essersi risolta la faccenda, il regista israeliano non rinuncia ancora una volta a destare il dubbio che le cose non siano veramente accadute come gli stessi personaggi ci vogliono far credere. Questo dramma psicologico familiare, che è per lo spettatore più un film giallo, è forse uno dei più bei film sulle dinamiche umane: tra genitori e figli, tra mogli e mariti, tra mogli ed ex-mariti. Il regista pecca forse nella durata, e ci continua a mostrare la pellicola, di cui evidentemente è egli stesso innamorato, quando questa sembra essersi potenzialmente conclusa. Si inserisce così la moglie del probabile futuro marito di Marie, e questo sposta l’attenzione iniziale dello spettatore da una famiglia ad un’altra, quella che non è ancora pronta a separarsi del tutto. Fahradi mostra di saper governare così bene i sentimenti umani, come l’ansia de "Il passato" e "La separazione", che i titoli degli ultimi due film del maestro israeliano sono eccezionalmente intercambiabili. L'eterno presente della stretta di mano conclusiva tra Ahmad e la moglie in coma, che non sapremo mai si se si conlude positivamente o meno, e che ricorda sicuramente nella mente di alcuni spettatori lo stopframe nel finale de I pugni in tasca di Bellocchio, è simbolo incontrovertibile di come, la natura temporale, passata e futura, dipendano in primo luogo anche dall'accadere inaferrabile del presente: solo il cinema ha i mezzi per mostrarcelo.
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