Un capolavoro moderno, a mio avviso, s'intende. Pur avendo visto dozzine di film negli ultimi anni, di ogni genere e spessore, stavolta, infine, mi sono commosso per via del suo fortissimo contenuto simbolico, per le tematiche che sembrava volermi suggerire lungo tutto il corso della vicenda, con una forza visivo-espressiva dirompente.
Innanzitutto una nota di merito alle stupende inquadrature spaziali realizzate, mozzafiato – e mi pento di non aver avuto occasione di godermele al cinema – ed alle scelte registiche in fatto di sonoro, con un silenzio da vuoto angosciante – che deve qualcosa a 2001 Odissea nello Spazio –, intervallato da una colonna sonora meravigliosa: meravigliosa perché, credo, riesce a sostenere perfettamente l'assenza di quei suoni di cui altrimenti sentiremmo la mancanza nelle scene più concitate; la forza di collisioni e urti ci viene data in misura dalla musica. Musica che al contempo riesce ad essere sacrale, quasi mistica, a sostegno stavolta di quel sostrato filosofico che regge tutto il film.
E qui arriva il nucleo del messaggio: è forse il film contemporaneo che riporta in primo piano grandi domande esistenziali affini ad altri importanti nomi del cinema – che mi risparmierò di elencare –, salvandoci da quelli che qualcuno chiamerebbe "pipponi insciroppabili", proponendo invece una sceneggiatura ed una regia fresche ed al passo con i canoni moderni della cinematografia. Insomma, non sbadiglierete, se non siete di ghiaccio.
Il film ci illustra il percorso di rinascita della protagonista – bravissima Sandra Bullock –, dottoressa Ryan Stone, la cui vita sembra non avere più nulla da dare, impegnata in una missione spaziale mutata in tragedia che la spronerà a ritrovare la sua spinta all'autoconservazione; al contempo ci sembra di assistere alla misteriosa ed ancestrale venuta dell'essere umano sulla Terra.
L'ho trovato davvero toccante e pregno di continui rimandi ad alcune delle figure più significative della nostra storia e preistoria, se non con un reale susseguirsi logico, almeno inseguendo un percorso emotivo di suggestioni, "di pancia", non in senso negativo: stazioni spaziali "uterine", moduli di salvataggio e tute spaziali "sepolcrali" (si notino le fattezze della tuta sovietica e la posizione incrociata delle braccia, quasi un rimando al culto dei defunti, alla mummificazione), fuoco, latrati di cane e vagiti di bimbo, suoni atavici, impressi nella nostra memoria genetica… Un viaggio solitario e difficile in un non-luogo, lo spazio, la crescita della dottoressa per tornare alla vita che si era convinta di non avere più, fino alla nascita-rinascita, con la toccante scena finale che da sola penso valga almeno una visione del film. Questo epilogo è al contempo traguardo personale del personaggio e universale, quasi eroico-mitico, arrivo della razza umana sul nostro pianeta, metaforicamente caduta dal cielo, giovane ed incerta verso un avvenire misterioso. Anche qui la musica si sposa perfettamente con il finale, mescolando speranza e serenità, coronando un paesaggio primordiale e vergine. Come sempre, i caratteri non bastano, ma forse riferirsi a Gravity come ad una "genesi" è azzeccato. Da vedere; con attenzione e sensibilità. Forse vi scenderà una lacrima di gioia per la dottoressa Stone durante i titoli di coda.
È la nostra storia: "precipitati" da non si sa dove, spaesati, attaccati alla terra come a nessun altro elemento, sebbene profondamente legati a quello che sta "lassù", ai limiti dello spirituale.
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