conte di bismantova
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mercoledì 18 maggio 2016
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e se invece di diodato fosse un omofobo?
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Riferito al commento di Di Diodato che fa bella mostra di se' come copertina principale dell'area recensioni di questo film: cosa vuol dire esattamente "comoda normalizzazione della diversità omosessuale"? Cosa significa "comodo spot di lusso alla nuova politica familiare di Zapatero che vuole "normalizzare" appunto le coppie omosessuali? La sento velatamente ostile, signor Di Diodato. Una stella per un film che ha donato al suo regista un nastro d'argento non le sembra un po' una presa di parte? Non le pare una posizione isterica quella di attribuire a questa pellicola lo stesso valore di "quel gran pezzo dell'ubalda tutta nuda e tutta calda?" Ma soprattutto: perchè io sto commentando lei? Lo so che lei non è - come me - assolutamente nessuno.
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Riferito al commento di Di Diodato che fa bella mostra di se' come copertina principale dell'area recensioni di questo film: cosa vuol dire esattamente "comoda normalizzazione della diversità omosessuale"? Cosa significa "comodo spot di lusso alla nuova politica familiare di Zapatero che vuole "normalizzare" appunto le coppie omosessuali? La sento velatamente ostile, signor Di Diodato. Una stella per un film che ha donato al suo regista un nastro d'argento non le sembra un po' una presa di parte? Non le pare una posizione isterica quella di attribuire a questa pellicola lo stesso valore di "quel gran pezzo dell'ubalda tutta nuda e tutta calda?" Ma soprattutto: perchè io sto commentando lei? Lo so che lei non è - come me - assolutamente nessuno. Mi sono forsennatamente infuriato per come un sito serio ed attendibile come Mymovies possa avere messo il suo scritto - che la maggior parte dei commentatori NON condivide e che a mio avviso dimostra una superficiale conoscenza della pellicola così talmente evidente da farmi sospettare anche una profonda ignoranza in fatto di arte cinematografica in genere - in cima a tutte le recensioni, come fosse quella scelta da Mymovies come ufficiale. Inutile che io le ricordi la straordinaria poesia e umanità che si cela dietro una texture così movimentata e complessa di più trame che si sovrappongono: lei come cert'uni che conosco deve essersi fermato al primo pelo visto, inorridito. Peccato: si è perso la straordinaria sequenza di primissimo piano in cui Zahira (G.G. Bernal) canta "Quezas, quezas"... un passaggio di pura poesia visiva che vale da solo il prezzo del biglietto, fra l'altro grandiosa citazione cinematografica spagnola dove Bernal rifà la divina Sara Montiel....oh, ma che ne sa lei di Sara Montiel.
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no_data
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lunedì 20 gennaio 2014
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ammazza che recensore moderno che avete
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"Almodòvar torna ad essere trasbordante, eccessivo e perciò insincero. Il film non è la ricerca della verità, per quanto possa essere dolorosa e scomoda, ma sembra piuttosto una comoda normalizzazione della diversità omosessuale. Ed è questo che sconcerta di più: il fatto di raccontare l'omosessualità come normalità. "La gente è cambiata", grida più di una volta Enrique, un'affermazione fatta per la Spagna di oggi, che attribuisce sempre più spesso al passato gli smarrimenti e gli incubi del suo presente.
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"Almodòvar torna ad essere trasbordante, eccessivo e perciò insincero. Il film non è la ricerca della verità, per quanto possa essere dolorosa e scomoda, ma sembra piuttosto una comoda normalizzazione della diversità omosessuale. Ed è questo che sconcerta di più: il fatto di raccontare l'omosessualità come normalità. "La gente è cambiata", grida più di una volta Enrique, un'affermazione fatta per la Spagna di oggi, che attribuisce sempre più spesso al passato gli smarrimenti e gli incubi del suo presente. E se invece il film fosse solo uno spot di lusso alla nuova politica familiare di Zapatero, che vuole "normalizzare" appunto le coppie omosessuali?" Roberto Didiodato ti commenti da solo.
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matteo manganelli
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martedì 12 marzo 2013
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noir straordinario
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Che Pedro Almodóvar fosse un artista dalle limitate ma eccelse qualità, è noto a tutti quelli che hanno visto almeno un paio di suoi film. Io l'ho conosciuto con questa pellicola e, pur non avendo visto tutte le altre, la ritengo comunque un capolavoro irripetibile nel suo genere, molto superiore anche a "Tutto su mia madre", premiato con l'Oscar come Miglior film straniero, che soffre della mancanza di quel'aura di esagerazione che qui regna sovrana.
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Che Pedro Almodóvar fosse un artista dalle limitate ma eccelse qualità, è noto a tutti quelli che hanno visto almeno un paio di suoi film. Io l'ho conosciuto con questa pellicola e, pur non avendo visto tutte le altre, la ritengo comunque un capolavoro irripetibile nel suo genere, molto superiore anche a "Tutto su mia madre", premiato con l'Oscar come Miglior film straniero, che soffre della mancanza di quel'aura di esagerazione che qui regna sovrana. Nella Madrid degli anni 80 Enrique, regista affermato, riceve la visita di un vecchio compagno d'infanzia che gli offre una sceneggiatura da lui stesso redatta, 'La visita', la cui lettura lo riporta ai tempi del collegio. Da qui prende avvio la narrazione fra presente e passato. La mala educación non è ordinario, non è per tutti, è una storia forte, narrata a tratti con ironica leggerezza e a tratti come un vero noir. Il film si complica, tra flashback e metacinema, i ruoli si confondono narrando 2 versioni della stessa storia in 2 modi diversi. E' un film duro, che non si vergogna di mostrare un universo estraneo alla "normalità" (o almeno a quella che io soggettivamente percepisco come normalità), che parla di amore, di violenza, di ambizione e lo fa in un modo che costringe lo spettatore ad entrare all'interno di quel microcosmo che non gli appartiene. Consigliato solo a chi è veramente di mentalità aperta. Per i bigotti e per gli omofobi c'è sempre Rambo e Conan il barbaro.
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matteo manganelli
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mercoledì 6 marzo 2013
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il meraviglioso microcosmo di almodòvar
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Che Pedro Almodóvar fosse un artista dalle limitate ma eccelse qualità, è noto a tutti quelli che hanno visto almeno un paio di suoi film. Io l'ho conosciuto con questa pellicola e, pur non avendo visto tutte le altre, la ritengo comunque un capolavoro irripetibile nel suo genere, molto superiore anche a "Tutto su mia madre", premiato con l'Oscar come Miglior film straniero, che soffre della mancanza di quel'aura di esagerazione che qui regna sovrana. La mala educación non è ordinario, non è per tutti, è una storia forte, narrata a tratti con ironica leggerezza e a tratti come un vero noir.
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Che Pedro Almodóvar fosse un artista dalle limitate ma eccelse qualità, è noto a tutti quelli che hanno visto almeno un paio di suoi film. Io l'ho conosciuto con questa pellicola e, pur non avendo visto tutte le altre, la ritengo comunque un capolavoro irripetibile nel suo genere, molto superiore anche a "Tutto su mia madre", premiato con l'Oscar come Miglior film straniero, che soffre della mancanza di quel'aura di esagerazione che qui regna sovrana. La mala educación non è ordinario, non è per tutti, è una storia forte, narrata a tratti con ironica leggerezza e a tratti come un vero noir. Il film si complica, tra flashback e metacinema, i ruoli si confondono narrando 2 versioni della stessa storia in 2 modi diversi. E' un film duro, che non si vergogna di mostrare un universo estraneo alla "normalità" (o almeno a quella che io soggettivamente percepisco come normalità), che parla di amore, di violenza, di ambizione e lo fa in un modo che costringe lo spettatore ad entrare all'interno di quel microcosmo che non gli appartiene. Consigliato solo a chi è veramente di mentalità aperta. Per i bigotti e per gli omofobi c'è sempre Rambo e Conan il barbaro.
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ganymedes
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domenica 6 gennaio 2013
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la mala recensione di roberto di diodato
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Questo è un film che sovverte e allo stesso tempo rispetta le regole del cinema classico. La femme fatale diventa homme, la vittima diventa anche carnefice e il carnefice finisce per essere vittima di se stesso in ogni caso; alla Chiesa Cattolica viene assegnato il suo ruolo reale: quello di un'istituzione che crede di poter commettere qualsiasi crimine nascondendosi dietro il nome di Dio.
Per quanto riguarda l'omosessualità, il film non ne parla, semplicemente racconta una storia senza toccare il tema sociale e lasciando il giudizio dello spettatore alle azioni che i personaggi compiono, e i gay non sono vittime della società ma persone che operano scelte (sbagliate o meno). Finalmente l'universo omosessuale è privo di autocommiserazione, e gli omosessuali vengono descritti, anzi fotografati, per ciò che sono realmente: persone con forze e debolezze, pregi e difetti (come tutti, come Sharon Stone in "Basic Instinct", come Rochester in "Jane Eyre", come Rossella O'Hara in "Via col vento").
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Questo è un film che sovverte e allo stesso tempo rispetta le regole del cinema classico. La femme fatale diventa homme, la vittima diventa anche carnefice e il carnefice finisce per essere vittima di se stesso in ogni caso; alla Chiesa Cattolica viene assegnato il suo ruolo reale: quello di un'istituzione che crede di poter commettere qualsiasi crimine nascondendosi dietro il nome di Dio.
Per quanto riguarda l'omosessualità, il film non ne parla, semplicemente racconta una storia senza toccare il tema sociale e lasciando il giudizio dello spettatore alle azioni che i personaggi compiono, e i gay non sono vittime della società ma persone che operano scelte (sbagliate o meno). Finalmente l'universo omosessuale è privo di autocommiserazione, e gli omosessuali vengono descritti, anzi fotografati, per ciò che sono realmente: persone con forze e debolezze, pregi e difetti (come tutti, come Sharon Stone in "Basic Instinct", come Rochester in "Jane Eyre", come Rossella O'Hara in "Via col vento"). E' un film che tra 100 anni sarà semplicemente considerato un "noir", non un "noir gay che cerca di normalizzare l'omosessualità", questo è il giudizio di una persona retrograda che crede realmente che esista la normalità e che non tollera le novità, siano esse sociali, culturali o artistiche.
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maximilione
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martedì 16 ottobre 2012
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il doppio e il simulacro
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Doppio film di doppi. Doppio film di specchi, rifrazioni e metamorfosi. Doppio film immerso in una struttura duale, rievocata sin dai titoli di testa che tanto sembrano omaggiare quelli tipici dei film di Alfred Hitchcock e in particolare di "La donna che visse due volte" (titolo italiano che per una volta sembra calzare a pennello).
"La mala educacion" si muove in modo tutt'altro che lineare, imm
ergendosi sempre più profondamente nella logica binaria del due o dei suoi multipli, in quella della trasformazione, dello scambio e della modificazione di connotati.
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Doppio film di doppi. Doppio film di specchi, rifrazioni e metamorfosi. Doppio film immerso in una struttura duale, rievocata sin dai titoli di testa che tanto sembrano omaggiare quelli tipici dei film di Alfred Hitchcock e in particolare di "La donna che visse due volte" (titolo italiano che per una volta sembra calzare a pennello).
"La mala educacion" si muove in modo tutt'altro che lineare, imm
ergendosi sempre più profondamente nella logica binaria del due o dei suoi multipli, in quella della trasformazione, dello scambio e della modificazione di connotati. Ogni elemento filmico -narrativo e strutturale, diegetico e stilistico- viene avvolto da questa doppiezza di fondo a cominciare dai protagonisti che, caso raro nella seconda fase della filmografia di Almodovar, sono tutti uomini. I segni della duplicità e della metamorfosi sono rintracciabili in ogni fibra del loro essere. Il massimo rappresentante di questa tendenza è il personaggio interpretato da Gael Garcia Bernal -forse alla migliore prova della sua ancor breve carriera- che in esordio si presenta a Enrique come attore, professione che indicizza in modo immediato il cambiamento e lo spostamento di identità, e sotto il nome di Ignacio, precisando poco dopo, però, il suo nome d'arte -altro spostamento- Angel Andrave. Questa vena metamorfica, rafforzata in modo prepotente durante l'evolversi della narrazione, coglie sotto la sua ala anche il vero Ignacio ("Un filo di sangue divideva la mia fronte in due e ho avuto il presentimento che lo stesso sarebbe successo con la mia vita. Sarebbe stata sempre divisa e io non avrei potuto far niente per evitarlo"), divenuto l'eroinomane trans-gender Zahara, unico autore del racconto autobiografico "La visita" che va a coincidere con la prima parte del film. Proprio la visualizzazione filmica di questo racconto, inoltre, sdoppia ontologicamente il personaggio di Padre Manolo, il quale viene presentato attraverso due differenti interpreti che concretizzano rispettivamente l'autobiografica controparte letteraria tratta dalle memorie del suo vecchio allievo e l'uomo in carne ed ossa che si presenta sul set di Enrique, ormai trasformato in un marito e padre laico e infedele, proprietario di una casa editrice -simbolico porto da cui si dipartono esistenze parallele, nuove, plasmate da zero, come quelle assunte dai protagonisti. Non è affatto un caso, allora, che in occasione della premeditazione dell'omicidio di Ignatio-Zahara, Angel e l'ex parroco s'incontrino in un affollato e simbolico museo di mascheroni giganti, che sembrano reduplicare all'infinito il gioco di apparenze e ricostruzione identitaria in cui sono coinvolti i personaggi. Solo Enrique, in questo complesso universo incerto e traballante, si presenta come uomo completo, dall'identità inviolata, unitaria. Probabilmente questa scelta narrativa è da riferire di nuovo alla professione esercitata dal personaggio, quella di regista. "La figura del regista è importante. Fare film non è solo una professione. E' una ricerca di verità. Il cineasta è come un detective che cerca una storia" chiarisce Almodovar, riferendosi direttamente al suo protagonista, che in effetti non smette mai di sondare la realtà multiprospettica che lo circonda per rintracciare quella scintilla di assolutezza che tutto tende a nascondere.
La figura strutturale del doppio da cui Enrique è sciolto tuttavia, contamina l'intera narrazione che, anche tematicamente sembra profondamente scissa verso due fronti: lo scottante tema ecclesiastico e il morboso e ossessivo orizzonte della passione, così caro ad Almodovar. La prima sezione tematica trova il suo centro nella prima parte del film, quella corrispondente al racconto di Ignacio, che rievoca la sua infanzia in un collegio, il suo amore per Enrique e l'interesse di Padre Manolo nei suoi confronti. Nonostante la natura profondamente dolorosa del tema della violenza vescovile sui minori, Almodovar affronta con una grazia poetica intensa la scena del primo rapporto, tralasciandolo nel fuori campo ed epifanizzando in ralenti i giochi acquatici degli altri collegiali così come con altrettanta lirica intelligenza mette in scena il primo tenero contatto amoroso tra i due dodicenni, ripresi di spalle con gli sguardi rivolti a uno schermo cinematografico dominato da una suora. Eppure, il discorso di critica religiosa e morale che sembrerebbe così pregnante in questa prima parte della pellicola è stemperato, offuscato e ridimensionato notevolmente dalla presenza ingombrante del primo interesse per eccellenza del regista spagnolo: la descrizione del ventaglio pulsante e multiforme delle passioni umane. Così, se il desiderio che anima Enrique è propriamente fisico, sessuale ("Juan mi ha permesso di penetrarlo con frequenza ma solo fisicamente") mirabilmente espresso nella scena della piscina in cui i corpi nudi e ormai adulti risaltano nella loro evidenza plastica ed erotica senza mai produrre cadute di stile, quello di Juan è più oscuro e inquietante. La sua passione è indirizzata all'auto-realizzazione, al principio di comodo e a quello del guadagno. Juan, l'attore, si barcamena continuamente fra diverse identità perchè non ne possiede una propria ("Sono molto malleabile, faccio quello che vuoi"), vive il proprio essere solo in funzione dell'agire, in cambio di un risultato concreto (non esita a immedesimarsi nel fratello morto per ottenere una parte, nè a concedersi sessualmente al signor Berenger in cambio di un tornaconto economico). Le stesse figure di Padre Manolo e del suo prolungamento, il signor Berenger, non rappresentano, per Almodovar, semplici strumenti "per attaccare la Chiesa" ma "elementi che permettono di parlare di due molteplici volti della passione". A ben guardare -paradossalmente- solo con la figura di questo parroco ormai laicizzato, il desiderio assume un'orientamento sano, sublimandosi in una scelta d'amore vero, inteso come sentimento puro, appassionato e disinteressato, prima indirizzato verso il piccolo Ignatio, poi spostato verso il fratello Juan, il quale sembra, sin dalla sua prima apparizione, far debordare dal corpo compatto e seducente i caratteri più tipici della letteraria femme fatale. Figura, questa, riecheggiata in modo voluto dallo stesso Almodovar che, con "La mala educacion", mira a realizzare un noir. Anche in un eventuale definizione di genere però la pellicola del regista spagnolo non può fare a meno di venir travolta dal principio del doppio: se proprio dal noir, infatti, il film ricava in modo evidente una struttura fatta di storie che s'intersecano, un'atmosfera di mistero perturbante e un complesso di personaggi -con tanto di "homme fatale"- che accettano il rischio di passioni spesso proibite, debiti considerevoli vanno evidenziati anche nei confronti del melodramma, da cui la pellicola riprende in special modo la rappresentazione dei rapporti amorosi e, sul piano figurativo, la profusione incessante di colori vivissimi (opposti a quelli tetri del noir). In un certo senso, dunque, "La mala educacion" si costituisce nel personalissimo itinerario di Almodovar come punto di fusione di due diverse tendenze: da un lato un tuffo nel passato verso le atmosfere oscure e morbose di film come "Matador" o "La legge del desiderio" (che vede inoltre la presenza, diversamente concepita, di un triangolo omosessuale), dall'altro il forte legame con i sublimi melodrammi più recenti ("Tutto su mia madre" e "Parla con lei").
Lo stesso titolo di questo film coraggioso e provocatorio porta poi in seno un'ambiguità intrinseca e un doppio riferimento, religioso e politico. La "mala educacion" sembra richiamare tanto l'istruzione religiosa -che lo stesso Almodovar ricevette da bambino- quanto il regime politico franchista con la sua ideologia chiusa e bigotta e la conseguente oppressione nel costume e nell'educazione -a cui seguì la libertà espressiva e sociale dei primi anni '70 che videro l'avvento della democrazia. Il film, descrivendo questa evoluzione storico-culturale, può anche esser visto come un eccellente affresco antropologico della società spagnola di fine '900.
Ora, tutta questa struttura fatta di “doppioni” va ricondotta alla natura metacinematografica dell'opera. "La mala educacion" si propone infatti come gigantesca messa in abisso, come svelamento cercato e voluto della finzione creata dalla settima arte. Al di là degli espliciti riferimenti alla macchina cinema (rintracciabili nei mestieri di Juan e Enrique, rispettivamente un attore e un regista, e nel continuo richiamo al "Cine Olympo" in cui i collegiali si recavano per passare il pomeriggio), il film di Almodovar tende a richiamarla proprio attraverso la figura del doppio in cui la pellicola sembra immergersi da cima a fondo. La tendenza impellente dei protagonisti alla metamorfosi, all'esser altro, non fa che illustrare in scena, velatamente, il meccanismo che fonda la fruizione filmica (come la recitazione), ovvero quello dell'immedesimazione, intesa come scomparsa di sè e sublimazione in quell'altro di celluloide che appare sullo schermo. D'altronde, dice Almodovar, "il cinema è protagonista. Per me è stata una grande alternativa a una pessima educazione".
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emanuela22
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domenica 8 luglio 2012
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meritevole
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Il film è estremamente intenso e caratterizzato da un continuo intreccio di presente e passato, la cui concatenazione non risulta immediatamente comprensibile allo spettatore. La composita trama ,dominata da un linguaggio meta-cinematrografico, necessita di particolare attenzione e di una mente sgombra da qualsiasi penalizzante pregiudizio di sorta. Il dolore e la sofferenza di esistenze sconvolte da una mala educación non avrebbero potuto essere trattate con un linguaggio più chiaro e incisivo di quello adoperato da Pedro Almodovàr. Leitmotiv di una molteplicità di nodi tematici, è l’amore-passione, in grado di superare qualsiasi costrizione etica e razionale e di affermarsi in tutta la sua forza.
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Il film è estremamente intenso e caratterizzato da un continuo intreccio di presente e passato, la cui concatenazione non risulta immediatamente comprensibile allo spettatore. La composita trama ,dominata da un linguaggio meta-cinematrografico, necessita di particolare attenzione e di una mente sgombra da qualsiasi penalizzante pregiudizio di sorta. Il dolore e la sofferenza di esistenze sconvolte da una mala educación non avrebbero potuto essere trattate con un linguaggio più chiaro e incisivo di quello adoperato da Pedro Almodovàr. Leitmotiv di una molteplicità di nodi tematici, è l’amore-passione, in grado di superare qualsiasi costrizione etica e razionale e di affermarsi in tutta la sua forza. Impossibile rimanere inerti nell’assistere alla rappresentazione dei ricordi di Ignacio, ragazzino cresciuto in un istituto religioso negli anni della Spagna franchista. Sublime la tenerezza provata dinnanzi al giovinetto che, in procinto di tirare in porta un rigore sbaglia per amore nei confronti dell’altrettanto giovane portiere Enrique. Sono ricordi precisi quelli impressi nella memoria del protagonista, tutt’altro che sfocato è il sentimento che segna una intera esistenza, nel bene e nel male. La storia dei due adolescenti è raccontata in una sceneggiatura “la Visita” che un sedicente Ignacio recapita all’oramai adulto Enrique, regista affermato nella Madrid degli anni ottanta. Nel leggere insieme ad Enrique la Visita, noi spettatori siamo proiettati in un gioco di scatole cinesi che finisce per trasformarsi in un labirinto, da cui solo alla fine sarà possibile trovare una via d’uscita. La storia narra di Zahara, nuova identità di Ignacio che si imbatte casualmente nel suo primo amore Enrique, trascorrendo con lui la notte e concretizzando così il suo irrealizzato desiderio erotico. La rimembranza dei tempi trascorsi in collegio spingono Zahara a vendicarsi dell’uomo che ha marchiato indelebilmente la sua vita, padre Manolo. Costui aveva sempre ostentato una particolare e ossessiva predilezione per l’allievo Ignacio. Da considerarsi centrale è il momento in cui il giovine è invitato a cantare Moon River, accompagnato dalla chitarra del parroco, mentre gli altri ragazzi dell’orfanotrofio si tuffano gaiamente nel lago. La voce di Ignacio riecheggia melodiosa incantando l’insegnante, che già in questo frangente rivela il suo sentimento estremo, sconfinante poi nella pederastia. Pian piano il regista costruisce dei profili da thriller psicologico, in grado di coinvolgere e nel contempo turbare lo spettatore, travolto da innumerevoli interrogativi, primo dei quali “Dov’è la realtà? Dove la finzione?”. Nei confronti di Padre Manolo, colpevole tra le altre cose di aver allontanato dall’istituto Enrique per gelosia, si riversa tutto il rancore di Zahara, che fingendosi sorella di Ignacio ricatta il prete, dicendosi pronta a pubblicare le verità del fratello. La “Visita” si conclude con l’uccisione di Zahara da parte di Manolo e di un suo confratello. Dopo la lettura della scenografia Enrique si mostra intenzionato a produrla, scontrandosi però con Ignacio, pronto a tutto pur di impersonare la donna. In seguito ad una indagine compiuta nella Galizia, terra originaria di Ignacio, Enrique scopre che l’uomo in cui si è imbattuto non è il suo amico di infanzia, bensì il fratello minore Juan. Quest’ultimo avrebbe realmente proposto uno scritto fraterno, del quale, tra gli altri, sarebbe stato a conoscenza padre Manolo, oramai dimesso dallo stato clericale. È proprio quest’ultimo, caratterizzato come un omosessuale dissennato e attratto da qualsiasi manifestazione di beltà virile, a svelare sul finale il vero prosieguo della vita tormentata di Ignacio. L’amorevole collegiale era divenuto un travestito tossicodipendente, attanagliato dai ricordi adolescenziali e miseramente infelice. Costui aveva realmente ricattato l’ex parroco, ora José Manuel Berenguer , costringendolo a versare una ingente somma di denaro onde evitare la pubblicazione di una vera storia di abusi e perversioni in cui egli era coinvolto in prima persona. Per dilazionare il pagamento Berenguer frequentò assiduamente la casa di Zahara-Ignacio e del fratello, invaghendosi di quest’ultimo, divenendone amante e pattuendo con lo stesso l’omicidio di Ignacio. Un profondo malessere caratterizza la vita di personaggi che non riescono in alcun modo a far convergere vita e forma, vivendo prigionieri entro una gabbia culturale omologante, incapaci di essere realmente se stessi e di riconoscersi negli occhi altrui. Nel film tutti i personaggi fingono di essere altro rispetto a quello che sono, l’unico che mantiene una parte è Ignacio, colui che in giovane età ha vissuto una forte e indelebile iniziazione sessuale. Il dramma di Ignacio affonda le sue radici nella torbidezza dell’ambiente ecclesiastico in cui da bambino è vissuto, un contesto che nasconde le sue bramosie e pulsioni dietro una ipocrita condanna dell’omosessualità. Nella scena in cui Zahara è uccisa il confratello di padre Manolo, afferma presuntuosamente “Ma Dio è dalla nostra parte”. L’anticlericalismo è un motivo continuamente ricorrente per tutto lo svolgimento del film . È facile pensare che l’obbligo del celibato e la repressione della sessualità possano favorire situazioni come quella ivi rappresentata, purtroppo lungi dall’essere classificata come improbabile o surreale. Senza alcuna banalità o retorica Almodovar riesce a tratteggiare la realtà dei ragazzi protagonisti, per cui sembra essersi ispirato alla propria biografia, in particolar modo per il personaggio di Enrique, regista omosessuale cresciuto in un collegio cattolico. La frantumazione delle personalità, l’accurata indagine delle pieghe recondite e oscure della memoria, l’utilizzo del flashback, l’intrecciarsi di colpi di scena e la limpidezza della fotografia rendono tale opera cinematografica, un capolavoro degno di essere guardato più di una volta, piuttosto che essere censurato a priori.
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il brandani
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martedì 22 febbraio 2011
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il noir di almodovar
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Un giovane aspirante attore si reca nello studio di un regista per proporgli una sceneggiatura. Il racconto narra la storia di due compagni di collegio negli anni sessanta. I due protagonisti, Ignacio ed Enrique, hanno condiviso i primi turbamenti adolescenziali e la scoperta della loro omosessualità. Padre Manolo, il direttore del collegio, ha un interesse per Ignacio, del quale abusa, e per questo fa allontanare Enrique dal collegio. Il giovane attore altri non è che Ignacio e il regista è Enrique, finalmente ritrovatisi dopo tanti anni. Il racconto quindi parla del loro amore passato. Enrique, dopo un primo momento di titubanza, si convince della qualità del progetto.
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Un giovane aspirante attore si reca nello studio di un regista per proporgli una sceneggiatura. Il racconto narra la storia di due compagni di collegio negli anni sessanta. I due protagonisti, Ignacio ed Enrique, hanno condiviso i primi turbamenti adolescenziali e la scoperta della loro omosessualità. Padre Manolo, il direttore del collegio, ha un interesse per Ignacio, del quale abusa, e per questo fa allontanare Enrique dal collegio. Il giovane attore altri non è che Ignacio e il regista è Enrique, finalmente ritrovatisi dopo tanti anni. Il racconto quindi parla del loro amore passato. Enrique, dopo un primo momento di titubanza, si convince della qualità del progetto. Il film si farà dunque, ma egli non sa delle tante sorprese che lo attendono..
Almodovar abbandona la delicata dimensione introspettiva de Tutto su mia madre e Parla con lei per partorire una sceneggiatura che non conosce tempi morti, dove la dinamica del colpo di scena è la parola d’ordine. Il film si muove al di sopra dei generi che investe, impossessandosene, metabolizzandoli e rielaborandoli a proprio piacimento, ecco perché si ha l’impressione di assistere ad un ibrido ben riuscito che a tratti sfocia persino nel noir. Il tutto è ovviamente condito dalle inconfondibili spezie di Almodovar, che non rinunciano a far risaltare, in talune situazioni, il tipico retrogusto kitsch che da sempre ha caratterizzato il suo cinema sin dai tempi di Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio. Il film cattura l’attenzione dello spettatore e mantiene questo pregio con disinvoltura fino alla fine. Inoltre diverte, ma non è una risata in serenità, anzi, è la tipica risata che fuoriesce dalla bocca di una persona immersa in una atmosfera drammatica improvvisamente spezzata dall’avvento di un elemento inaspettato, quasi surreale (un uomo vestito da femme fatale, un travestito con un colorito turpiloquio, fulminanti battute volgari estemporanee). Geniali ed efficaci le soluzioni di allacciamento tra i diversi piani di narrazione, suggestiva la colonna sonora, bella la fotografia e funzionali le inquadrature e i movimenti della telecamera. Molto bravo tutto il cast di attori, in particolar modo Gael Garcia Bernal. Poco dopo l’intensa interpretazione di un giovane Ernesto Che Guevara ne I diari della motocicletta di Walter Salles, Bernal ci fa un regalo ancora più grande, calandosi perfettamente nel difficile ruolo di un aspirante attore gay disposto a tutto pur di ottenere fama e successo. Cresciuto parecchio dalla comunque bella prova del 2000 in Amores perros di Alejandro Gonzales Inarritu, l’attore si muove con destrezza nei panni di questo ambiguo personaggio, dimostrando grande padronanza scenica, dosando con attenzione assoluta senza mai esagerare.
Una particolarità da evidenziare infine, è la decontestualizzazione del tutto. A parte due o tre frecciatine all’età contemporanea (come la sarcastica, ma al tempo stesso bivalente frase “La gente è cambiata” pronunciata da Enrique, riferita alla Spagna di Zapatero), Almodovar si concentra prevalentemente sui meccanismi cerebrali dei personaggi, fatti scattare dalle loro relazioni e dalle conseguenze delle loro azioni. Egli non vuole fare un film che parla del problema della pedofilia all’interno della Chiesa o dell’accettazione della condizione omosessuale, questi ultimi sono solo pretesti per delineare caratterizzazione e disposizioni dei personaggi. Non gli va di far riflettere, né di far discutere. Vuole solo fare un noir e, rimanendo comunque fedele al suo stile, ci riesce.
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conte di bismantova
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lunedì 31 gennaio 2011
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è un film incredibile.
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va guardato due volte, per capire bene le meccaniche del "film sul film dentro il film", ma è, come sempre, un'altra puntata del suo grande viaggio dentro la società e la persona della Spagna in trasformazione post-moderna, stavolta in chiave trans. E' un film forte, per adulti di mentalità libera, generoso e abbondante di etica - nonostante le sequenze sul filo del gay-hard - amicizia ed amore. Imperdibile, non lo dico io ma l'Academy Awards.
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teo '93
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giovedì 20 agosto 2009
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le anime oscure di almodòvar
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La frantumazione della personalità è sempre stata una delle carte vincenti di Almodòvar. Ogni personaggio ha in sé un’infinità di sfumature, pieghe recondite e oscure, pronte a riemergere violentemente a frantumare ogni certezza. E qui il passato gioca come sempre un ruolo predominante. “La mala educacion” non è un film estremamente riuscito; l’intrecciarsi asfissiante di colpi di scena, salti nel passato, prolissità varie allontanano lo spettatore dalla vicenda fin quasi ad annoiarlo. Eppure l’universo tormentato di Almodòvar non può che lasciare qualche fastidiosa incertezza sul nostro presente. Un universo che non perde negli anni la voglia di sconvolgere coinvolgendo. Alzi la mano chi non ha provato un brivido durante la scena in cui Ignacio canta fuori campo Moon River accompagnato alla chitarra da padre Manolo, mentre scorrono le immagini a ralenti dei ragazzi dell’orfanotrofio che si tuffano nel lago.
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La frantumazione della personalità è sempre stata una delle carte vincenti di Almodòvar. Ogni personaggio ha in sé un’infinità di sfumature, pieghe recondite e oscure, pronte a riemergere violentemente a frantumare ogni certezza. E qui il passato gioca come sempre un ruolo predominante. “La mala educacion” non è un film estremamente riuscito; l’intrecciarsi asfissiante di colpi di scena, salti nel passato, prolissità varie allontanano lo spettatore dalla vicenda fin quasi ad annoiarlo. Eppure l’universo tormentato di Almodòvar non può che lasciare qualche fastidiosa incertezza sul nostro presente. Un universo che non perde negli anni la voglia di sconvolgere coinvolgendo. Alzi la mano chi non ha provato un brivido durante la scena in cui Ignacio canta fuori campo Moon River accompagnato alla chitarra da padre Manolo, mentre scorrono le immagini a ralenti dei ragazzi dell’orfanotrofio che si tuffano nel lago. Come a dimostrare che la purezza della gioventù porta a “tuffarsi” in un mare apparentemente cristallino, ma che nasconde sotto la sua spuma un mondo di nefandezze dove è tremendamente facile annegare. E in questo la chiesa, reclusa nel suo mondo di opportunismi e voltafaccia, non fa che allontanare noi stessi dagli altri e viceversa. Peccato. Ciò che manca al film è una focalizzazione all’altezza di un soggetto del genere. Una focalizzazione che (ne siamo certi) avrebbe turbato più di quanto sia stato capace di fare l’insuperabile “Carne tremula”.
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