Il ritorno |
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Un film di Andrey Zvyagintsev.
Con Vladimir Garin, Ivan Dobronravov, Konstantin Lavronenko, Nataliya Vdovina, Galina Popova.
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Titolo originale Vozvraschenye.
Drammatico,
durata 105 min.
- Russia 2003.
MYMONETRO
Il ritorno
valutazione media:
3,47
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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russian beautydi dionisoFeedback: 0 |
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domenica 24 luglio 2005 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
È l'assenza che si fa concreta e conduce verso luoghi inesplorati e selvaggi; è un'infanzia avvolta da colori pallidi e smorti; è l'acqua, la linfa vitale, il mare, custode del mistero che nasconde segreti che non vanno svelati: sono queste alcune suggestioni del primo film del regista russo Andreij Zvyagintsev, che ha vinto a sorpresa il Leone d'Oro a Venezia nel 2003 e il Leone del Futuro per la migliore opera prima. Il Ritorno è soprattutto un film di profondissime suggestioni, girato con un'opportuna sintesi di ispirato lirismo ed elegante accademismo. Una pellicola degna di certa tradizione russa, che parla un linguaggio intenso ed allusivo, memore del Tarkovskij di Stalker, immerso panicamente in una natura grigia ma vitale e pulsante, autentica protagonista del film. La natura, ostile e affascinante, accoglie i due piccoli fratelli educandoli al mistero, attraverso un enigmatico padre, quasi un sacerdote che conduce i suoi figli alla scoperta di un'altra possibile esistenza: un viaggio iniziatico che si consuma in pochi, scanditi giorni. Il film ha un ritmo perfetto, ipnotico e lento, che cattura lo spettatore accompagnandolo misteriosamente in una morbida sequenza d'immagini: è un trascorrere fluido e liquido, che passa sui corpi dei protagonisti, inzuppandoli d'acqua e fango e scivolando fin dentro l'anima. Un trascorrere lungo le sconfinate linee dell'orizzonte russo, tagliato dalla necessaria verticalità di una torre d'avvistamento, segno di un'altra fondamentale prova iniziatica che il piccolo Ivàn (davvero bravo il giovanissimo Ivan Dobronravov) riuscirà a superare provocando l'estremo sacrificio del padre, che a quel punto, consumata la sua funzione iniziatica, può (e deve) scomparire di nuovo: assenza evocata anche dalla fotografia che, alla fine, i due fratelli trovano nell'auto del padre. Il Ritorno è un film che si fonda sul domandare (e, si sa, le domande senza risposta sono quelle più affascinati), un costante ed ambiguo interrogarsi sull'essenza stessa del mistero, celato nella sfuggente relazione tra il padre e i suoi figli, che si sviluppa attraverso un gioco di scatole cinesi avvolte dall'acqua: c'è una vecchia casa abbandonata e dentro la casa, sottoterra, un baule e dentro il baule, una misteriosa cassetta che non sarà mai aperta e che s'inabisserà insieme a chi l'aveva dissotterrata. Questo è il cuore pulsante del film, un trascorrere dell'immagine, un rimandare ad altro, una costante evocazione coi toni sommessi della preghiera, che, aldilà di certi controllati tecnicismi del regista, cattura i sensi ed avvicina al sacro
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