chiara mencarelli
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sabato 17 novembre 2018
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il film più inutile che abbia mai visto
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Non riesco proprio a capire come si faccia a giudicare positivamente questo film. Lento, cupo, pedante. L’interpretazione della trama è lasciata completamente allo spettatore. Non sono riuscita a trovare un senso a questa storia. Film privo di significato.
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chiara mencarelli
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sabato 17 novembre 2018
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Non riesco proprio a capire come si faccia a giudicare positivamente questo film. Lento, cupo, pedante. L’interpretazione della trama è lasciata completamente allo spettatore. Non sono riuscita a trovare un senso a questa storia. Film privo di significato.
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gianleo67
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domenica 16 novembre 2014
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triste elegia dell'amore perduto
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Ivan e Andrey sono cresciuti da soli insieme alla madre, ancora giovane e bella, ed alla nonna materna in un piccolo villaggio lacustre nel cuore della Russia. Un giorno si presenta un uomo che dice di essere il padre e li conduce con sè per una gita di un paio di giorni che gli consenta di recuperare il tempo perduto e conoscersi meglio. Lungo il tragitto, in auto prima ed in barca dopo, iniziano però a crescere ed acuirsi tensioni e dissapori che fanno dubitare i due sulla reale identità dell'uomo e sui suoi veri scopi. Finale tragico.
Trhiller intimistico e familiare, giocato sui toni lirici del racconto di formazione e sulle ambiguità di un'ambientazione sospesa tra le drammatiche contingenze del reale le immaginifiche prospettive del plausibile, l'opera prima del 'siberiano' Zviagintsev è uno sgomento (spiazzante) viaggio alla ricerca di una memoria di sè che si smarrisce nello sradicamento di un'infanzia tradita e nella dolorosa accettazione di legami di sangue che il tempo e la lontananza hanno inesorabilmente mutato nel rancore e nella diffidenza di una inesplicabile separazione.
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Ivan e Andrey sono cresciuti da soli insieme alla madre, ancora giovane e bella, ed alla nonna materna in un piccolo villaggio lacustre nel cuore della Russia. Un giorno si presenta un uomo che dice di essere il padre e li conduce con sè per una gita di un paio di giorni che gli consenta di recuperare il tempo perduto e conoscersi meglio. Lungo il tragitto, in auto prima ed in barca dopo, iniziano però a crescere ed acuirsi tensioni e dissapori che fanno dubitare i due sulla reale identità dell'uomo e sui suoi veri scopi. Finale tragico.
Trhiller intimistico e familiare, giocato sui toni lirici del racconto di formazione e sulle ambiguità di un'ambientazione sospesa tra le drammatiche contingenze del reale le immaginifiche prospettive del plausibile, l'opera prima del 'siberiano' Zviagintsev è uno sgomento (spiazzante) viaggio alla ricerca di una memoria di sè che si smarrisce nello sradicamento di un'infanzia tradita e nella dolorosa accettazione di legami di sangue che il tempo e la lontananza hanno inesorabilmente mutato nel rancore e nella diffidenza di una inesplicabile separazione. Nel paesaggio irreale di una dimensione raggelata e distante, che affida al sogno ed agli sbiaditi ritratti di foto ingiallite dal tempo gli unici indizi di una inconfessabile verità, si muovono i personaggi di questa triste favola dell'impostura e dell'amore incompreso, lungo un viaggio,reale e simbolico assieme, per terra e per mare che li condurrà alla scoperta del tesoro nascosto in uno scrigno segreto, custode e depositario insieme di un'amore paterno che non sa più reclamare il diritto alla propria autorità ed affida alla memoria di un passato felice i reperti tangibili di un indissolubile legame filiale. Ciò che è perduto non sa più ritornare, sembra dirci l'autore, mettendo in scena con incredibile maturità espressiva le direttrici parallele di una verità ondivaga e sfuggente, divisa tra le esitazioni di una verosimile diffidenza e gli slanci di una incompresa sincerità che finiscono per confluire nel finale ,drammatico e banale insieme, dove i nodi si sciolgono e l'amore tradito può finalmente rivendicare la sua triste e dolorosa vendetta. Cinema stratificato quello di Zviagintsev, dove convergono mirabilmente i valori di una tradizione che ricerca nella realtà il riflesso di una dimensione altra e insondabile, come nelle foto (quelle di un'infanzia felice e di un presente incerto) sembrano esse stesse costruire il percorso di un destino ineluttabile, segnato dall'assenza e dalla perdita di un padre che ritorna per andarsene per sempre, il cui corpo, come inghiottito dai gorghi del tempo e della memoria sprofonda inesorabile nell'abisso dell'oblio; come quello del giovane Vladimir Garin (Andrey nel film) anch'esso tragicamente annegato alla fine delle riprese e che l'autore volle ricordare ritirando il premio per il Leone d'oro alla 60ª Mostra Cinematografica di Venezia.
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theophilus
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mercoledì 29 gennaio 2014
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estraneità ed angoscia
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VOZVRASCENIE - IL RITORNO
Di difficile pronuncia – almeno per noi italiani - il titolo del film vincitore del Leone d’oro alla 60. mostra internazionale del cinema di Venezia: esso ci obbliga a inserire immediatamente a fianco la traduzione. Ancora più problematico il nome del regista, Andrei Zvyagintsev.
Potrebbe, metaforicamente, essere visto tutto in questi termini il senso di estraneità che il Cinema dell’Est europeo, così come quello asiatico in generale, procura al pubblico occidentale. Un cinema povero, perché fatto con scarsità di mezzi ma anche perché ha nella cruda bellezza delle immagini la sua forza principale, lascia sconcertata l’intellighenzia del vecchio mondo che ama cimentarsi con storie più complesse, più costruite, più filosoficamente pregnanti.
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VOZVRASCENIE - IL RITORNO
Di difficile pronuncia – almeno per noi italiani - il titolo del film vincitore del Leone d’oro alla 60. mostra internazionale del cinema di Venezia: esso ci obbliga a inserire immediatamente a fianco la traduzione. Ancora più problematico il nome del regista, Andrei Zvyagintsev.
Potrebbe, metaforicamente, essere visto tutto in questi termini il senso di estraneità che il Cinema dell’Est europeo, così come quello asiatico in generale, procura al pubblico occidentale. Un cinema povero, perché fatto con scarsità di mezzi ma anche perché ha nella cruda bellezza delle immagini la sua forza principale, lascia sconcertata l’intellighenzia del vecchio mondo che ama cimentarsi con storie più complesse, più costruite, più filosoficamente pregnanti. La conseguenza che a volte e paradossalmente ne discende è quella per cui prende il sopravvento un senso di colpa che si insinua senza quasi far mostra di sé e ci fa chiedere se non dobbiamo allargare i nostri confini e azzardare riconoscimenti anche a patto di premiare ciò che non amiamo veramente e che non comprendiamo se non in parte. In pratica, ad un superbo complesso di superiorità se ne sostituisce un altro, pavido e accomodante, di inferiorità. Si spiegherebbero, così, anche le riottosità interne, il senso di autolesionismo di cui ci sentiamo vittime, e per la mancata assegnazione del Leone a un film italiano e, più in generale, per l’incapacità di difendere il cinema di casa nostra.
Ci pare che Il ritornorappresenti un onesto compromesso all’interno del quadro che abbiamo appena disegnato. Film dalla sceneggiatura scarna, in ossequio ai dettami di quella filmologia, ha nella bellezza a volte selvaggia e genuina della scenografia la sua principale cifra stilistica, la sua identità retorica. A questa genuinitàche non risente ancora, se non in piccola misura, della contaminazione con l’ideologia occidentale, per cui l’incanto delle immagini è probabilmente quello vero di scenari naturali che sono parte dello spirito russo, si accompagna un senso di mistero alimentato dallo svolgimento in sé della storia.
Un padre torna a casa, senza preavviso, dopo un’assenza di 12 anni. Chi è? Ce lo domandiamo subito noi, ma se lo chiedono anche i figli, che vedono irrompere nella loro vita una figura per loro nuova, prima inesistente. Soprattutto il più piccolo dei due si ribella a quella che sente come una prevaricazione. L’autoritarismo con cui il padre tenta subito d’imporsi è anch’esso ciò che resta di un retaggio culturale non ancora scontratosi con il lassismo dell’occidente o è una forzatura che non può comunque essere accettata dai figli? Il ritorno è quello dell’uomo che rientra a casa a riappropriarsi delle sue condizioni di marito e di genitore o è un riprendere possesso delle proprie origini che si sentono minacciate? Il lungo giro senza ritornoche i tre fanno partendo in automobile appare come un viaggio iniziatico, che dovrà compensare e condensare quei dodici anni in pochi giorni. L’adulto deve acquistare subito il carisma necessario a fare di lui un padre; i figli sono costretti ad apprendere rapidamente lezioni teoriche e pratiche di vita. Ma il prezzo che viene pagato è altissimo: la ferrea disciplina imposta dall’uomo, che forse vuole intimorire i ragazzi, anche per dissuaderli dal fare domande sul suo passato, spezza tragicamente e fatalmente quella corda artificiosa e il padre porterà i suoi segreti con sé in fondo al lago.
Tutti e tre gli attori, Vladimir Garin, Ivan Dabronrdvav, Konstantin Lavronenko appaiono notevolmente compresi delle loro parti, ma più incisiva delle altre ci è parsa l’interpretazione data dal bambino che impersona la parte del piccoletto: egli riesce a mostrare in modo assai credibile la rabbia e la diffidenza nei confronti di colui a cui non può concedere le prerogative di padre, che vedrà, però, sconvolto, affondare insieme con la sua barca dopo averne causato indirettamente la morte.
Enzo Vignoli,
2 dicembre, 2003.
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massoboria
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domenica 9 ottobre 2011
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un viaggio necessario
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E' senza dubbio un film visivamente molto bello, con una fotografia ricercata che sottolinea bene il carattere della vicenda. Troppo ricercata, talvolta, tanto da sembrare quasi fine a se stessa, così come un po' troppo “scoperti” risultano gli elementi simbolici nella figura del padre (tutta simbolica, per la verità) e in quella, secondaria, della madre. Tutto ciò, però, non riesce a disturbare (anzi, la fotografia ne arricchisce il godimento) lo svolgersi del percorso dei due adolescenti verso l'abbandono dell'infanzia (e del principio materno) sotto la guida del padre, il quale, morto simbolicamente al suo “apparire” all'inizio del film e di nuovo, realmente, alla fine della storia, e, dunque, non reale, ma simbolo di un principio che deve prevalere, in modo quasi violento imprime, attraverso una serie di “prove” anch'esse simboliche, una direzione irreversibile alla vita dei due protagonisti.
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E' senza dubbio un film visivamente molto bello, con una fotografia ricercata che sottolinea bene il carattere della vicenda. Troppo ricercata, talvolta, tanto da sembrare quasi fine a se stessa, così come un po' troppo “scoperti” risultano gli elementi simbolici nella figura del padre (tutta simbolica, per la verità) e in quella, secondaria, della madre. Tutto ciò, però, non riesce a disturbare (anzi, la fotografia ne arricchisce il godimento) lo svolgersi del percorso dei due adolescenti verso l'abbandono dell'infanzia (e del principio materno) sotto la guida del padre, il quale, morto simbolicamente al suo “apparire” all'inizio del film e di nuovo, realmente, alla fine della storia, e, dunque, non reale, ma simbolo di un principio che deve prevalere, in modo quasi violento imprime, attraverso una serie di “prove” anch'esse simboliche, una direzione irreversibile alla vita dei due protagonisti. Bravissimi, i due giovani attori danno vita a due reazioni apparentemente opposte, in realtà coesistenti, seppur con gradazioni diverse, in ogni adolescente: la devozione ammirata e il rigetto potenzialmente omicida. Alla fine rimangono soli, il principio paterno elaborato e acquisito dal lato (fratello) costruttivo, quello materno rievocato (la foto trovata in macchina) dal lato conflittuale cui è imposto, però, di nasconderlo.
Da vedere (come si deve, ovviamente) per la fotografia, la recitazione, il modo efficace di trattare la tematica.
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sem
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lunedì 24 dicembre 2007
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capolavoro dalla russia
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Poche volte ci capita di rimanere letteralmente catturati dalle scene di un film. Un film capace di trasmetterci tante emozioni fuse insieme attaverso cui alla fine dimentichiamo quei "banali" interrogativi che sorgono in ogni momento durante il film. Un salto dal trampolino, il ritorno di un padre misterioso e un lago. Semplicità e immensità. Fotografia eccellente.
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(di matteo78)
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conte_di_bismantova
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sabato 15 settembre 2007
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questo è grande cinema
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un film misterioso e suggestivo, originale e di una carica introspettiva di bellezza inaudita. Un abbraccio virtuale commosso alla mamma di Vladimir Garin, il ragazzino più grande che è scomparso nelle acque del lago che vediamo nel film appena una settimana dopo la fine delle riprese.
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alan
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lunedì 21 maggio 2007
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il mio film preferito
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(di matteo78)
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angelo1955
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sabato 21 ottobre 2006
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emozionante
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ho visto il film un videocassetta e la sera dopo ho dovuto rivederlo.
Erano anni che non mi emozionavo per un film.
Ottima e ben narratata la storia con tutti i punti interrogativi che rimangono, ottima la fotografia fredda e surreale, ottimi gli attori, bella la citazione del Cristo Morto del Mantegna e straordinaria la scena della morte del padre.
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davide
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giovedì 27 luglio 2006
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quasi un capolavoro
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Raramente, la rappresentazione dello scontro padre e figli è stato di tale spettrale e raggelante bellezza.
[+] hai ragione
(di angelo1955)
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