dunedin
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mercoledì 4 gennaio 2006
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la linea d' ombra
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Buttarsi nell’acqua gelata da quell’altezza fa paura. Ivan ha paura. Inutile che il fratello maggiore, Andej, lo sproni.
Per Ivan non é ancora tempo di uscire dal mondo ovattato e protettivo dell’infanzia, non é preparato a quel “tuffo” che cambierà la sua vita di bambino a quella di uomo.
Il padre, figura misteriosa e misteriosamente riapparsa dal nulla, li aspetta a casa. Subito vuole che ai figli venga versato il vino. Subito dà il segnale che li vuole adulti.
Andrej é pronto, o vuole sentirsi pronto, a questo passo. Ivan, no.
Il viaggio verso una meta sconosciuta (un’isola deserta) in cui il padre li accompagna, li vede ora complici ora nemici.
Complici e uniti nel tenere un diario di viaggio, nello scattare foto, nel divertirsi a pescare, nel difendersi a vicenda da quel cerbero sconosciuto che ha dato loro la vita.
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Buttarsi nell’acqua gelata da quell’altezza fa paura. Ivan ha paura. Inutile che il fratello maggiore, Andej, lo sproni.
Per Ivan non é ancora tempo di uscire dal mondo ovattato e protettivo dell’infanzia, non é preparato a quel “tuffo” che cambierà la sua vita di bambino a quella di uomo.
Il padre, figura misteriosa e misteriosamente riapparsa dal nulla, li aspetta a casa. Subito vuole che ai figli venga versato il vino. Subito dà il segnale che li vuole adulti.
Andrej é pronto, o vuole sentirsi pronto, a questo passo. Ivan, no.
Il viaggio verso una meta sconosciuta (un’isola deserta) in cui il padre li accompagna, li vede ora complici ora nemici.
Complici e uniti nel tenere un diario di viaggio, nello scattare foto, nel divertirsi a pescare, nel difendersi a vicenda da quel cerbero sconosciuto che ha dato loro la vita.
Divisi e litigiosi sull’atteggiamento da tenere verso “papà”, che in Andrej é di morbida attesa, in Ivan di deciso rifiuto.
L’uomo alleva e sevizia i figli, é sadico e poi protettivo, insegna loro mille cose ma altrettante pretende che già sappiano.
L’educazione é violenza.
Quando l’ineluttabile li sorprende, i ragazzi sapranno far tesoro dei suoi insegnamenti, sia sul piano pratico che su quello morale.
Di quel viaggio iniziatico resteranno un album di foto e l’infanzia perduta.
“Il ritorno” é un film di liquidi (il lago, il vino, la pioggia che inzuppa le acerbe figure dei protagonisti) in cui l’occhio perdutamente si annega, in cui la mente si smarrisce nell’affannosa, quanto infeconda, ricerca di rubarne l’anima profonda.
Solo due sono i personaggi: Andej e Ivan che hanno un nome, una personalità definita e leggibile.
Il padre, onnipresente, l’evanescente madre, la nonna, a mala pena citata, non sono che “ruoli”.
Ma sono “ruoli malamente giocati”, per difetto o per eccesso.
Così accade che i due ragazzi crescano da soli, nell’accecante luce di una campagna abbandonata, nel buio pauroso della notte, nel silenzio umido della tenda, nell’insopportabile profluvio di pioggia che annega i loro sforzi di adeguarsi alla vita.
La macchina li scruta sfocando il viso ora dell’uno ora dell’altro; usando i loro volti come anello di congiunzione dell’ininterrotto dialogo in cui si interrogano a vicenda sul senso delle cose.
Alcuni critici si sono domandati se il giovane regista de “Il ritorno”, Andej Zvyagintsev, sia o non sia il nuovo Tarkovskj. Personalmente lo ritengo un quesito poco sensato e un tantino insultante.
Se sia o non sia un genio come Tarkovskj mi sembra problema di piccolo momento.
Certo é ancorato alla tradizione iconografica del cinema russo che comporta squarci visionari, citazioni pittoriche e che trasuda religiosità da tutti i pori.
Ma Zvyagintsev ha personalità da vendere e la sublime modestia di confezionare un’opera-prima di tutto rispetto, dal taglio quasi minimalista, senza eccessi, sbrodolature, autocompiacimenti.
Alcuni critici si sono domandati se “Il ritorno” abbia vinto giustamente un ambìto e prestigioso premio come il Leone d’Oro.
Si sono chiesti se la storia piena di tenero pathos dei bambini vittimizzati fosse o non fosse una trovata furbetta, per non dir di peggio, impalcata ad arte per commuovere la giuria.
Credo che un’opera vada vista e valutata a prescindere da qualsivoglia supposizione o supponenza.
Ho letto critiche che hanno dato a “Il ritorno” interpretazioni psicoanalitiche, che parlavano di richiami al teatro greco o alla tragedia elisabettiana.
Guardatelo e basta.
Beatevi della sua complessa semplicità.
Non squartatelo con avide indagini.
Ascoltate la voce che parla della linea d’ombra che separa l’infanzia dalla giovinezza.
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dioniso
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domenica 24 luglio 2005
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russian beauty
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È l'assenza che si fa concreta e conduce verso luoghi inesplorati e selvaggi; è un'infanzia avvolta da colori pallidi e smorti; è l'acqua, la linfa vitale, il mare, custode del mistero che nasconde segreti che non vanno svelati: sono queste alcune suggestioni del primo film del regista russo Andreij Zvyagintsev, che ha vinto a sorpresa il Leone d'Oro a Venezia nel 2003 e il Leone del Futuro per la migliore opera prima. Il Ritorno è soprattutto un film di profondissime suggestioni, girato con un'opportuna sintesi di ispirato lirismo ed elegante accademismo. Una pellicola degna di certa tradizione russa, che parla un linguaggio intenso ed allusivo, memore del Tarkovskij di Stalker, immerso panicamente in una natura grigia ma vitale e pulsante, autentica protagonista del film.
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È l'assenza che si fa concreta e conduce verso luoghi inesplorati e selvaggi; è un'infanzia avvolta da colori pallidi e smorti; è l'acqua, la linfa vitale, il mare, custode del mistero che nasconde segreti che non vanno svelati: sono queste alcune suggestioni del primo film del regista russo Andreij Zvyagintsev, che ha vinto a sorpresa il Leone d'Oro a Venezia nel 2003 e il Leone del Futuro per la migliore opera prima. Il Ritorno è soprattutto un film di profondissime suggestioni, girato con un'opportuna sintesi di ispirato lirismo ed elegante accademismo. Una pellicola degna di certa tradizione russa, che parla un linguaggio intenso ed allusivo, memore del Tarkovskij di Stalker, immerso panicamente in una natura grigia ma vitale e pulsante, autentica protagonista del film. La natura, ostile e affascinante, accoglie i due piccoli fratelli educandoli al mistero, attraverso un enigmatico padre, quasi un sacerdote che conduce i suoi figli alla scoperta di un'altra possibile esistenza: un viaggio iniziatico che si consuma in pochi, scanditi giorni. Il film ha un ritmo perfetto, ipnotico e lento, che cattura lo spettatore accompagnandolo misteriosamente in una morbida sequenza d'immagini: è un trascorrere fluido e liquido, che passa sui corpi dei protagonisti, inzuppandoli d'acqua e fango e scivolando fin dentro l'anima. Un trascorrere lungo le sconfinate linee dell'orizzonte russo, tagliato dalla necessaria verticalità di una torre d'avvistamento, segno di un'altra fondamentale prova iniziatica che il piccolo Ivàn (davvero bravo il giovanissimo Ivan Dobronravov) riuscirà a superare provocando l'estremo sacrificio del padre, che a quel punto, consumata la sua funzione iniziatica, può (e deve) scomparire di nuovo: assenza evocata anche dalla fotografia che, alla fine, i due fratelli trovano nell'auto del padre. Il Ritorno è un film che si fonda sul domandare (e, si sa, le domande senza risposta sono quelle più affascinati), un costante ed ambiguo interrogarsi sull'essenza stessa del mistero, celato nella sfuggente relazione tra il padre e i suoi figli, che si sviluppa attraverso un gioco di scatole cinesi avvolte dall'acqua: c'è una vecchia casa abbandonata e dentro la casa, sottoterra, un baule e dentro il baule, una misteriosa cassetta che non sarà mai aperta e che s'inabisserà insieme a chi l'aveva dissotterrata. Questo è il cuore pulsante del film, un trascorrere dell'immagine, un rimandare ad altro, una costante evocazione coi toni sommessi della preghiera, che, aldilà di certi controllati tecnicismi del regista, cattura i sensi ed avvicina al sacro
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gianleo67
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domenica 16 novembre 2014
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triste elegia dell'amore perduto
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Ivan e Andrey sono cresciuti da soli insieme alla madre, ancora giovane e bella, ed alla nonna materna in un piccolo villaggio lacustre nel cuore della Russia. Un giorno si presenta un uomo che dice di essere il padre e li conduce con sè per una gita di un paio di giorni che gli consenta di recuperare il tempo perduto e conoscersi meglio. Lungo il tragitto, in auto prima ed in barca dopo, iniziano però a crescere ed acuirsi tensioni e dissapori che fanno dubitare i due sulla reale identità dell'uomo e sui suoi veri scopi. Finale tragico.
Trhiller intimistico e familiare, giocato sui toni lirici del racconto di formazione e sulle ambiguità di un'ambientazione sospesa tra le drammatiche contingenze del reale le immaginifiche prospettive del plausibile, l'opera prima del 'siberiano' Zviagintsev è uno sgomento (spiazzante) viaggio alla ricerca di una memoria di sè che si smarrisce nello sradicamento di un'infanzia tradita e nella dolorosa accettazione di legami di sangue che il tempo e la lontananza hanno inesorabilmente mutato nel rancore e nella diffidenza di una inesplicabile separazione.
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Ivan e Andrey sono cresciuti da soli insieme alla madre, ancora giovane e bella, ed alla nonna materna in un piccolo villaggio lacustre nel cuore della Russia. Un giorno si presenta un uomo che dice di essere il padre e li conduce con sè per una gita di un paio di giorni che gli consenta di recuperare il tempo perduto e conoscersi meglio. Lungo il tragitto, in auto prima ed in barca dopo, iniziano però a crescere ed acuirsi tensioni e dissapori che fanno dubitare i due sulla reale identità dell'uomo e sui suoi veri scopi. Finale tragico.
Trhiller intimistico e familiare, giocato sui toni lirici del racconto di formazione e sulle ambiguità di un'ambientazione sospesa tra le drammatiche contingenze del reale le immaginifiche prospettive del plausibile, l'opera prima del 'siberiano' Zviagintsev è uno sgomento (spiazzante) viaggio alla ricerca di una memoria di sè che si smarrisce nello sradicamento di un'infanzia tradita e nella dolorosa accettazione di legami di sangue che il tempo e la lontananza hanno inesorabilmente mutato nel rancore e nella diffidenza di una inesplicabile separazione. Nel paesaggio irreale di una dimensione raggelata e distante, che affida al sogno ed agli sbiaditi ritratti di foto ingiallite dal tempo gli unici indizi di una inconfessabile verità, si muovono i personaggi di questa triste favola dell'impostura e dell'amore incompreso, lungo un viaggio,reale e simbolico assieme, per terra e per mare che li condurrà alla scoperta del tesoro nascosto in uno scrigno segreto, custode e depositario insieme di un'amore paterno che non sa più reclamare il diritto alla propria autorità ed affida alla memoria di un passato felice i reperti tangibili di un indissolubile legame filiale. Ciò che è perduto non sa più ritornare, sembra dirci l'autore, mettendo in scena con incredibile maturità espressiva le direttrici parallele di una verità ondivaga e sfuggente, divisa tra le esitazioni di una verosimile diffidenza e gli slanci di una incompresa sincerità che finiscono per confluire nel finale ,drammatico e banale insieme, dove i nodi si sciolgono e l'amore tradito può finalmente rivendicare la sua triste e dolorosa vendetta. Cinema stratificato quello di Zviagintsev, dove convergono mirabilmente i valori di una tradizione che ricerca nella realtà il riflesso di una dimensione altra e insondabile, come nelle foto (quelle di un'infanzia felice e di un presente incerto) sembrano esse stesse costruire il percorso di un destino ineluttabile, segnato dall'assenza e dalla perdita di un padre che ritorna per andarsene per sempre, il cui corpo, come inghiottito dai gorghi del tempo e della memoria sprofonda inesorabile nell'abisso dell'oblio; come quello del giovane Vladimir Garin (Andrey nel film) anch'esso tragicamente annegato alla fine delle riprese e che l'autore volle ricordare ritirando il premio per il Leone d'oro alla 60ª Mostra Cinematografica di Venezia.
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