L'angelo ubriaco

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Un film di Akira Kurosawa. Con Toshirô Mifune, Takashi Shimura, Reisaburo Yamamoto, Chieko Nakakita Titolo originale Yoidore tenshi. Drammatico, b/n durata 98 min. - Giappone 1948. MYMONETRO L'angelo ubriaco * * * 1/2 - valutazione media: 3,77 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

L'angelo ubriaco. Valutazione 3 stelle su cinque

di Nicolas Bilchi


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sabato 7 maggio 2011

Meno riuscito di "Sugata Sanshiro" per via dell'influsso pessimistico che i terribili eventi della Guerra ebbero sul Giappone, "L'angelo ubriaco" è comunque un'opera notevole che conferma l'abilità di Akira Kurosawa e che segna il debutto di Toshiro Mifune, dando il là ad uno dei sodalizi più fortunati e spettacolari della storia del cinema. Il film è permeato, come di consueto, dalla toccante e meditativa riflessione del regista attorno all'uomo, questa volta concretizzata dal rapporto di amicizia, spesso conflittuale, che si instaura tra il medico Sanada (Shimura) e Matsunaga (Mifune), un giovane malvivente borioso e spaccone, dalle tendenze tipicamente occidentali. Originariamente l'opera avrebbe dovuto focalizzarsi solo su Sanada, definito appunto "angelo ubriaco" per via della sua passione per il bere e per l'atteggiamento di grande disponibilità ed impegno nei riguardi dei suoi pazienti, un interessamento che va al di là dell'ambito professionale; però, quando Kurosawa notò Mifune impegnato in un provino per un altro film, rimase talmente colpito dalla sua prestazione che riscrisse la sceneggiatura, promuovendo il personaggio di Matsunaga da figura di secondo piano ad assoluto copratagonista. Questa fu una scelta che se da una parte premiò giustamente il grande Toshiro (comunque non già ai livelli cui sarebbe arrivato in seguito), dall'altra andò forse a minare la riuscita complessiva dell'opera: i due personaggi finiscono per entrare in competizione tra loro, impedendo a Kurosawa di esprimere completamente i messaggi che ognuno di essi amana; ne risulta uno spostamento dell'attenzione dalle figure prese singolarmente al rapporto che tra loro si instaura, rapporto che viene approfondito e caricato di un valore più profondo, quasi simbolico, ma che al contempo potrebbe essere visto come imperfetto e inconcluso (ad avvalorare questa possibilità, la gestione della morte di Matsugana, che avviene senza che questi abbia modo di trovarsi un'ultima volta a contatto col dottore). In un certo senso è proprio questo l'aspetto più bello, ma anche più triste, del film: nonostante tra i due protagonisti si crei un sodalizio molto forte, non c'è mai un vero dialogo, i due non riescono mai veramente a confidarsi i propri dolori e quindi a sostenersi l'un l'altro, per via dell'atteggiamento ostile di Matsunaga. Il personaggio di Mifune è impaurito dalla tubercolosi, dall'idea della morte, ma il suo desiderio di apparire coraggioso e "macho" gli impedisce di esplicitarla, incrementandola. E quando Sanada lo rimprovera per questo voler nascondere i suoi sentimenti, quel momento rappresenta una superba preghiera di Kurosawa a tutti gli uomini a non celare le proprie emozioni, ad essere sinceri e spontanei, senza temere di essere giudicati per come si è realmente.
Su un altro versante, "L'angelo ubriaco" è interessantissimo per avere un esempio di come il cinema indigeno tradusse sullo schermo la difficile condizione del Giappone dopo il conflitto mondiale; l'incubo dell'atomica, e l'indelebile cicratice che ella ha lasciato su tutti i giapponesi, è facilmente rintracciabile nel film, anche se mai esplicitamente rappresentato; troppo violenta e dolorosa per essere mostrata, essa è espressa dalla superba allegoria dell'acqua sudicia nella quale c'è una rosa che va perdendo i suoi petali, consumata dai germi. Eppure in questa superba fotografia non c'è boriosità, non c'è la minima aggressività e denuncia dell'autore nei confronti di nessuno: è invece una straziante presa di coscienza delle misere condizioni di vita del popolo giapponese, e Kurosawa si inserisce tra quelli, non si pone come "poeta vate" ergentesi al di sopra della massa (degli spettatori) ma partecipa con loro della sofferenza che quotidianamente stanno vivendo.
Tre stelle e mezzo.

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