Gunga Din |
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Un film di George Stevens.
Con Victor McLaglen, Joan Fontaine, Douglas Fairbanks jr, Cary Grant, Sam Jaffe.
continua»
Avventura,
b/n
durata 117 min.
- USA 1939.
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Gunga Din.di Nicolas BilchiFeedback: 3995 | altri commenti e recensioni di Nicolas Bilchi |
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sabato 17 settembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Singolare spettacolone hollywoodiano diretto dall'ancora acerbo George Stevens, Gunga Din è la storia di un plotone di soldati inglesi in India che, grazie ad un indigeno che vorrebbe entrare nell'esercito, si salvano dall'attacco di una crudele tribù che venera la dea Khalì, la dea del sangue. Ora, anche solo leggendo la sintesi striminzitissima del plot di questo film, è impossibile non individuarne il pretestuoso e vergognosamente di parte nazionalismo. L'India è rappresentata come un territorio selvaggio e primitivo, e gli Inglesi sono i salvatori venuti a portare civiltà e morale; gli indiani di Gunga Din o sono dei folli che venerano divinità violente istiganti al crimine, o comunque dei furbi o dei ciarlatani. Soltanto questo "eroe sconosciuto", Gunga Din, può farsi emblema di come l'India dovrebbe essere: dovrebbe cioè accettare i principi del mondo inglese. Una immagine storica così fasulla ed irrispettosa della millenaria cultura dei popoli orientali non solo potrebbe risultare addirittura stomachevole allo spettatore che cerca, al di là del famoso vero storico, che il più delle volte è solo un ideale astratto, un vero morale che esula dalla dimensione prettamente cinematografica, ma rende inevitabilmente il film anacronistico ed in parte ridicolo. In fondo Hollywood non può essere ricordata solo come la grande "madre" del cinema moderno (cioè dal 1915 in poi), ma anche come quella potentissima arma mediatica utilizzata spregiudicatamente per cercare raccontare la realtà con le dovute distorsioni, imponendo alla grande massa, spesso non acculturata, una linea di pensiero sbagliata; si pensi solo al filone del western "classico", del quale a suo modo Gunga Din è un significativo predecessore. In ogni caso, un film non è solo ideologia, anzi questo aspetto è spesso uno dei meno importanti; l'opera di Stevens è anche uno straordinario kolossal ante litteram, che, pur non nascendo da un'idea simile, di questo genere già assume le connotazioni specifiche, come il massiccio uso di comparse, la presenza di veri e propri "divi" ad affollare il cast (Grant, Fontaine, Fairbanks, McLaglen, tra l'altro tutti bravissimi), la schematizzazione rigida tra buoni e cattivi, sicuramente artificiosa ma necessaria ed affascinante nella dimensione dell'avventura, il sapiente rimescolio di comico e tragico, a creare un prodotto leggero, divertente e al contempo ricco di pathos. Stevens, che più avanti saprà perfezionare questo tipo di film fino a dirigerne alcuni dei capisaldi, come La leggenda dell'arciere di fuoco, o addirittura a trascenderne le regole con un kolossal assolutamente anomalo quale Il gigante, già mostra i semi del suo talento, in attesa di maturare e dar vita al rigoglioso albero di uno dei più importanti personaggi del cinema americano classico; dunque meriti già evidenti, ma anche limiti altrettanto ben visibili, come appunto l'immagine distorta dell'India che traspare massicciamente da Gunga Din, infuenzandone necessariamente il giudizio finale. Se lo stesso messaggio di solidarietà umana e rispetto delle diversità che permea Giant avesse trovato spazio anche in questo film, forse oggi staremmo parlando di un altro capolavoro, e non soltanto del promettente biglietto di visita di una giovane promessa di Hollywood.
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