Ma che colpa abbiamo noi

Roberto Nepoti

Ed eccolo di ritorno, dopo tre anni d'inattività (o meglio, di altra attività: osservare, studiare, scrivere e riscrivere la sceneggiatura), il Verdone della "maniera" migliore, quello dei film corali allaCompagni di scuola dove il sorriso fa coppia con la malinconia, lo sguardo disincantato e beffardo con la simpatia umana.
Terapia di gruppo in un interno. Partecipano Gegè (Verdone) cinquantenne oppresso dall'autoritarismo paterno; Ernesto (Antonio Catania), appena separato e zuppo di sensi di colpa, più altri tre campioni di fauna maschile (l'introverso, il gay, l'obeso con manie religiose). Quella femminile è rappresentata da Flavia (Margherita Buy), Chiara (Anita Caprioli) e Gabriella (Lucia Sardo), donne di età diversa ma tutte col telento di legarsi a uomini sbagliati: una è feticista, la seconda bulimica, l'ultima ninfomane.
Durante la seduta i pazienti si accorgono che la terapeuta è molto silenziosa, troppo perfino per una psicanalista: è morta, infatti. Dopo qualche tentativo di sostituzione, il gruppo decide di autogestire l'analisi; ben più della speranza di ottenere risultati terapeutici, il collante è la paura di perdersi. Vitale, divertente, in complesso ottimista,Ma che colpa abbiamo noi" (il sottinteso vittimismo del titolo non ha, in realtà, riscontro nelle situazioni) è un film tutt'altro che banale o semplificatorio.
Nessuno si aspetta da Verdone un trattato sulla psicanalisi, d'accordo: le esigenze dello spettacolo restano in primo piano; a tratti, magari, prendono un po' la mano (la scena con la fidanzata legata ai binari del treno, peraltro divertentissima), soprattutto nel personaggio di Gegè alle prese col padre-padrone, che chiude (ma non senza ironia) su un finale catartico all'americana. Ciò non toglie che le tipologie umane e relative nevrosi siano tratteggiate con sensibilità e autenticità, che lo sguardo posato sulle insicurezze contemporanee appaia maturo, comprensivo, piacevolmente rasserenato. Il tutto, poi, immerso in un bel ritmo da commedia nera (la scena della psicanalista morta fa venire in mente l'hitchcockianoLa congiura degli innocenti), di respiro più internazionale della corrente produzione italiana.
Bene assortito il gruppo degli interpreti, che stanno in parte con entusiasmo e convinzione. O sono "solo" bravi, oppure un po' di terapia di gruppo, durante le riprese, l'hanno fatta davvero.
Da La Repubblica, 11 gennaio 2003


di Roberto Nepoti, 11 gennaio 2003