Roberto Nepoti
La Repubblica
Nei versi di Sandro Penna e Attilio Bertolucci il rumore della vita è dolce. Lo è anche per Giuseppe Bertolucci, che ha intitolato Il dolce rumore della vita il suo nuovo film, visto nella sezione Cinema del Presente. Un po' come nel Leone d'oro dell'anno scorso, Così ridevano di Gianni Amelio, la storia è raccontata attraverso alcuni episodi-chiave che accadono a distanza di molti anni. Nel primo Sofia (Francesca Neri), brillante studentessa di teatro innamorata del suo maestro (Rade Serbedzija), scopre l'omosessualità del partner, fugge e, nella toilette di un treno, trova un neonato abbandonato. Sofia decide di tenerlo con sé, fingendo che sia il figlio avuto da un uomo morto in un incidente. Cinque anni dopo Bruno, il maestro di un tempo, la ritrova in un teatro assieme al bambino, cui la donna ha dato il suo stesso nome. Per vendicarsi del passato, Sofia gli insinua il dubbio che sia suo figlio. Altro taglio temporale. Bruno senior è morto di Aids e Bruno junior rimprovera alla presunta madre di averlo tenuto lontano da lui. Assieme al ragazzo, Sofia torna nel luogo del ritrovamento e gli fa incontrare la sua vera madre, Lolita (Rosalinda Celentano). Non ci sono classiche agnizioni, però, nel Dolce rumore della vita, che resta programmaticamente sospeso, come un film alla ricerca di altre risposte. La prima risposta è alla domanda: come si può raccontare, oggi, un melodramma cinematografico? Bertolucci sceglie di farlo in modo atipico e molto personale. Non soltanto perché adotta una cifra stilistica espressionista, con inquadrature oblique e obbiettivi deformanti su non-luoghi, carica i colori, gioca di primi piani serrati con i volti degli attori; ma anche perché dà alla parola "melodramma" una accezione letterale, trattando i vari temi come degli accordi musicali. Il tema del Caso e quello della Menzogna, in particolare, che determinano l'evolvere dell'azione imprimendo agli eventi direzioni complesse e impreviste. Francesca Neri è bella e intensa; un po' troppo esotico Serbedzija, in una parte di uomo di teatro tutto Ego e sregolatezza.
Da LaRepubblica, (9 settembre 1999
di Roberto Nepoti, (9 settembre 1999