L'ingresso della giovane Anita Stewart nel mondo del cinema fu favorito dal fatto che la sorella Lucille aveva sposato Ralph Ince, attore alla Vitagraph e fratello del più noto Thomas H. Ince. Fu così che bastò un semplice: «Send Anne, I haven't enough youngsters for a picture we're starting», detto da Ralph alla madre di Anita perché, nel 1911, questa biondina sedicenne di Brooklyn diventasse una regular, cioè una comparsa a venticinque dollari alla settimana. Ma non rimase a lungo ai margini: quando i dirigenti della Casa decisero che Rosemary Theby, fino ad allora la star, era ormai inadatta per la parte della giovane, fresca bellezza agreste protagonista di The Wood Violet (1912), la rimpiazzarono con Anita e promossero la diciassettenne al rango di prima attrice. Un ruolo che questa volitiva fanciulla ricoprì fin quando rimase alla Vitagraph.
«Qual è il fascino di Anita Stewart? - si chiedeva la rivista "Photoplay". Non è per caso un'ambigua idea di purezza, di adolescenza immacolata e nello stesso tempo una maturità che esprime ardore e consapevolezza?» Comunque, oltre a questa strana purezza sulla quale si interrogava «Photoplay», andava sicuramente considerata anche la signorile raffinatezza innata che non contrastava con la versatilità dell'attrice, e che le consentiva di interpretare indifferentemente donne di campagna o sofisticate signore di città.
Il film che la incoronò definitivamente come la maggiore attrice della Vitagraph fu A Million Bid (1914), dove impersonava la giovane figlia di una madre ambiziosa, costretta a sposare un milionario che non amava. Il film, dove era previsto come scena madre un naufragio che lasciò atterriti gli spettatori, ebbe un vasto successo e la Vitagraph decise di inserire nelle successive produzioni altre scene emozionanti, nelle quali Anita si trovò ben presto a dibattersi: in The Wreck (1914) v'era lo scontro tra due treni, un disastro automobilistico fu il clou di The Shadow of the Past (1914), una locomotiva impazzita concludeva Four Thirteen (1914), mentre The Juggernaut (1915) venne lanciato come «The Colossus of Modern Railroad Dramas». E da questi film catastrofici al serial pieno di scene sensazionali, come avveniva in The Goddess (1915), il passo fu quasi obbligato.
Divenuta ormai una stella di prima grandezza e, quel che più ha sempre contato a Hollywood, una «top-money-maker», Anita venne da più parti blandita da offerte economiche di gran lunga superiori a quelle della Vitagraph. L'attrice accettò quella di Louis B. Mayer e, pagata una salata penale, abbandonò la Casa nella quale era stata per tanti anni, tentando una nuova ventura.
Ma nessuno dei film girati con la First National ebbe altro pregio di quello della presenza dell'attrice. Malgrado l'elevato impegno produttivo ed i migliori registi del momento (Lois Weber, Niblo, Neilan, Stahl), i soggetti si rivelarono triti e antiquati. Nel 1922 Anita sciolse il contratto. Fu William Randolph Hearst, suo buon amico, a farle interpretare per la sua Cosmopolitan tre film tra il 1923 ed il 1925. Il terzo, Never the Twain Shall Meet (1925), con Anita nei panni di una mezzosangue che si innamora senza speranza di un bianco, grazie anche alla regia di Maurice Tourneur, fu l'ultimo bel film che Anita poté incasellare nella sua lunga filmografia. Nel 1928, dopo un'altra decina di film trascurabili, girati per case produttrici minori, Anita si ritirò da ogni attività.
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.
