L'ultimo dei Templari

Nicolas Cage è uno di quegli ormai rari attori capaci di dare una direzione, un'identità precisa alle produzioni a cui partecipa (e che a volte produce). Dovremmo sostituire il "con" con un più appartenente "di". Un film "di" Nicolas Cage si riconosce subito. Al di là delle trame (perché ostinarsi a scriverne le sinossi e cercarne i significati?) sempre inesistenti, il marchio Cage ha alcuni passaggi fondamentali. Le pietre del Cageismo sono alcune, di seguito le principali. Uno, i suoi capelli; infiammati, stondati, digitalizzati, rasati, arrabbiati, senza basette, decolorati a volte sono loro il vero protagonista (qui in versione Nickelback). Due, il prologo veloce; è dai tempi di "ConAir" che Cage imprime un ritmo vertiginoso ai primissimi minuti della pellicola (di solito materiale che basterebbe per dieci film) fino allo stop, il momentum che si interrompe per via di un evento drammatico (un'uccisione, un ritrovamento, un patto, qui dopo avere ammazzato in nome di Dio chiunque su una varietà di campi da champions league, è una presa di coscienza da brividi...forse non è giusto!). Tre, la sindrome dell'eroe solitario; Cage può sopportare qualsiasi fardello e portarne la croce fino all'inevitabile epilogo (ultimamente ama morire). Quattro, lo sguardo bollito (ma forse questa non è un'opzione). Cinque (e mi fermo qui) gli effetti digitali in abbondanza; non devono mai mancare e se gli scenari somigliano a location degne delle attrazioni di Gardaland meglio. 
Insomma Cage non sarà l'ultimo dei templari, o l'ultimo degli autori ma è, sicuramente, l'ultimo brand actor originale capace di farci piegare in due dalle risate qualunque sia il genere che attraversa. Thriller, horror, action, dramma, fantasy, qualsiasi sia il budget. Avanti Nicolas, non ti fermare.