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Rassegna stampa di Don Siegel

Don Siegel è un attore statunitense, regista, produttore, è nato il 26 ottobre 1912 a Chicago, Illinois (USA) ed è morto il 20 aprile 1991 all'età di 78 anni a San Diego, California (USA).

MAURO GERVASINI
Film TV

Il cinema è un campo di battaglia diceva Sam Fuller, che se ne intendeva. Donald Siegel è un altro che ha vissuto in trincea. Prima come galoppino di Jack Warner, che ne intuisce il talento ma lo costringe in una specie di gabbia di vetro: troppo bravo come montatore per passare dietro la macchina da presa. Don, per tutta la giovinezza, tenta di scrollarsi di dosso il peso del produttore padre-padrone, ma nel frattempo diventa il braccio destro in moviola di Raoul Walsh e Michael Curtiz. È lui che taglia e ricuce “fumetti” come Casablanca e Strada maestra (ma anche Sergente York di Howard Hawks). Grazie anche all’intercessione di Howard Hughes, che lo stimava più d’ogni altro, Siegel alla fine ce la fa. Via dalla Warner, certo, conservando però un’anomala identità di regista-montatore convinto che i film nascano dopo le riprese (quando i maestri degli anni ‘50 erano più legati al prima, alla sceneggiatura). Con un rito legato all’ingresso in moviola che non mollerà mai per tutta la carriera: “Dopo aver girato un film io scappo per molte settimane. Poi torno e niente è sacro. Non mi sento più legato alle scene che ho girato e che magari mi hanno preso un’intera giornata di lavoro. Quando torno io odio il film, e odio me stesso. Insomma, entro nella stanza della moviola e faccio sbalordire il tecnico montatore per l’irriverenza che manifesto verso i miei film”. Fatto del montaggio diventa davvero la sintesi che produce senso, la forza narrativa e quindi la vita dell’opera. Potremmo citare cento esempi, ci limitiamo a uno; l’inizio di Fuga da Alcatraz. Dieci, dodici minuti di azione, di campi, di suoni ovattati, di sguardi, di controcampi, di ferro e di acqua che insieme danno i connotati della storia, ne segnano il ritmo e predefiniscono il carattere aspro del protagonista. Senza dialoghi, naturalmente. È la consacrazione del metodo Siegel. Del resto già affinato in gioventù con un altro prison movie, Rivolta al blocco II, trasformato dalla secchezza del linguaggio in una sorta di violento documentario (frase di lancio sul manifesto italiano “Un milione di Wolts di forza bruta”). Siegel è stato regista di genere passato alla storia soprattutto per un film, L’invasione degli ultracorpi, che lui avrebbe voluto finire con Kevin McCarthy impazzito di tenore che guarda in macchina e urla allo spettatore “tu sei il prossimo”. Le letture politiche del film, di volta in volta manifesto anticomunista o antifascista, ci possono stare, ma il cineasta pensava ad altro, all’apologia delle passioni, a Shakespeare. Non a caso voleva intitolarlo Sleep No More!. Poi però insiste sul fondamentale molo dei poliziotti e dello psichiatra come divulgatori del “conformismo” di massa. È un passaggio importante per orientarsi nel suo universo poetico: il nemico normalizzatore è istituzionale, sempre e comunque. L’autorità che ti manda in guerra(L’inferno è per gli eroi), una potenza straniera(Telefon), la polizia da una parte e il mondo criminale dall’altra(Chi ucciderà Charley Varrick), il sistema carcerario e così via. La vittima è l’individuo, di solito un indipendente, un solitario, un marginale (lo è Callaghan), un alieno rispetto alla routine o al formalismo della vita sociale. Si pensi a Coogan, “l’uomo dalla cravatta di cuoio’, e alla sua allergia nei confronti della città e dei modi urbani. Oppure a Madigan(Squadra omicidi, sparate a vista!) e alla sua inadeguatezza rispetto ai doveri familiari. Il sistema sopravvive alle passioni degli uomini, quindi alla loro individualità, soltanto livellandole, annullando le singole identità, trasformando la persona in folla numerabile. Come può contrastarlo l’ami-eroe individualista siegeliano? Simulando. Fingendo di avere chissà quale strategia in mente per farla franca(L’inferno è per gli eroi) oppure giocando d’astuzia contro tutto e tutti (il titolo originale di L’uomo dalla cravatta di cuoio è Coogan’s Bluff). Oppure dando in pasto al potere quello che vuole: un manichino(Fuga da Alcatraz). Che se la ride, però. Senza utopie da Nuova Hollywood, sentimentalismi ideologici o esigenze d’introspezione psicologica, gli anti-eroi di Don Siegel sognano semplicemente la fuga, non importa dove. È la parabola di Charley Varrick, che li frega tutti con la sua impassibilità di fronte agli eventi, e naturalmente di Frank Morris: imperscrutabili e quindi imprevedibili. Unici, insomma.

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